Donatella Casamassa

Il D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81 (in attuazione di quanto previsto dall’art. 1, co. 7 della Legge delega 10 dicembre 2014, n. 183 (c.d. Jobs Act)), abrogando la precedente regolamentazione contenuta nel D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, delinea, agli artt. 4-12, la nuova disciplina del lavoro a tempo parziale, applicabile, ad eccezione di taluni istituti (il lavoro supplementare e le clausole elastiche non disciplinati dalla contrattazione collettiva e l’apparato sanzionatorio) “e, comunque, fermo restando quanto previsto da disposizioni speciali in materia”, anche al lavoro pubblico (art. 12, co. 1).
Il Legislatore stabilisce,con una formulazione più snella rispetto alla previgente normativa, che nel rapporto di lavoro subordinato, anche a tempo determinato, l’assunzione del prestatore può avvenire sia a tempo pieno (ai sensi dell’art. 3, D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66) che a tempo parziale (art. 4).
Rimane, pertanto, confermata una nozione di part-time per così dire “negativa” rispetto al full-time, in quanto è considerato lavoratore a tempo parziale chi lavora al di sotto dell’orario normale di lavoro, pari a 40 ore settimanali, o al minore orario eventualmente previsto dai contratti collettivi.
La nuova normativa, invece, omette di riproporre la classica tripartizione del part-time in orizzontale, verticale e misto, che, però, potrà essere ancora richiamata dalla prassi contrattuale individuale e collettiva (v. VOZA, Il “riordino” del contratto di lavoro a tempo parziale, in LG, 2015, 1116).
Il Legislatore conferma, poi, che il contratto di lavoro part-time deve essere stipulato per iscritto, ai fini della prova, e deve contenere la puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione dell’orario di svolgimento della stessa, con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno (art. 5, co. 1 e 2).
In difetto di prova scritta del contratto non è più ammessa la prova testimoniale (ex art. 8, co. 1, D.Lgs. n. 61/2000, abrogato) e il part-timer potrà chiedere al giudice la sussistenza di un rapporto a tempo pieno con decorrenza dalla data della pronuncia (art. 10, co. 1) e non più, come in precedenza, dalla data in cui la mancanza della forma scritta veniva giudizialmente accertata.
Inoltre, il lavoratore avrà diritto, non solo “alle retribuzioni dovute per le prestazioni effettivamente rese antecedentemente alla data suddetta”, come già previsto dal D.Lgs. n. 61/2000 (art. 8, co. 1, abrogato), ma anche al versamento dei contributi previdenziali (art. 10, co. 1).
La medesima sanzione “conversiva” sarà applicabile anche nel caso in cui nel contratto non sia indicata la durata della prestazione lavorativa (art. 10, co. 2).
Qualora, invece, l’omissione riguardi la sola collocazione temporale dell’orario, il contratto di lavoro rimarrà a tempo parziale, ma sarà il giudice a determinare le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa, “tenendo conto delle responsabilità familiari del lavoratore interessato e della sua necessità di integrazione del reddito mediante lo svolgimento di altra attività lavorativa, nonché delle esigenze del datore di lavoro” (art. 10, co. 2).
L’omissione tanto della durata, quanto della collocazione temporale della prestazione lavorativa comportano per il lavoratore il diritto, per il periodo antecedente alla pronuncia giudiziale, “in aggiunta alla retribuzione dovuta per le prestazioni effettivamente rese, a un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno” (art. 10, co. 2).

Part time: nozione, forma e contenuto del contratto
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