Anche nella PA è ammessa la variazione della durata e della collocazione temporale della prestazione

 

Donatella Casamassa

Un’importante innovazione introdotta dal D.Lgs. n. 81/2015 riguarda la nuova disciplina delle clausole elastiche. Nell’area pubblica, come in quella privata, è possibile variare la durata e la collocazione temporale della prestazione a tempo parziale, mediante la stipulazione di specifici accordi, sottoscritti dal lavoratore, che consentono al datore di lavoro di cambiare l’orario di lavoro del dipendente, allungando la sua durata oppure spostando la collocazione temporale della prestazione.

Scompare pertanto la distinzione tra clausole flessibili ed elastiche contemplata nel vecchio regime [prevista dall’art. 3, co. 7, D.Lgs. n. 61/2000. La decadenza della diversa regolamentazione delle clausole elastiche e flessibili (di cui all’abrogato D.Lgs. n. 61/2001) è peraltro insita nella cancellazione, da parte del D.Lgs. n. 81/2015 (art. 5, co. 2), della articolazione del part time in orizzontale, verticale e misto]. Ed è previsto, invece, il ricorso ad un’unica tipologia di clausola (elastica), comprendente sia le variazioni in aumento della prestazione concordate, sia le modifiche della collocazione della prestazione (In base all’art. 6, co. 4, D.Lgs. n. 81/2015).

Le clausole elastiche sono negoziate a livello individuale, devono essere stipulate in forma scritta e rispettare gli eventuali limiti previsti dai contratti collettivi (ove esistano) di qualsiasi livello applicabili al rapporto di lavoro.

Una volta sottoscritta la clausola elastica, il datore di lavoro non è tenuto a chiedere il consenso del dipendente ogni volta che intende dare applicazione all’accordo (allungando o spostando la prestazione), ma deve rispettare un termine di preavviso minimo di due giorni lavorativi, “fatte salve le diverse intese fra le parti” (che, data la formula utilizzata, potranno prevedere anche un preavviso minore di due giorni) e deve riconoscere specifiche compensazioni, “nella misura ovvero nelle forme determinate dai contratti collettivi” (ad es. maggiorazioni economiche o riposi) (art. 6, co. 5, D.Lgs. n. 81/2015). Tale compenso potrà sorgere sia in seguito all’effettivo esercizio della variazione dell’orario sia in ragione della mera manifestazione di disponibilità alla variazione stessa (con potenziale limitazione dello svolgimento, da parte del dipendente, di altre attività lavorative, fonti di guadagni ulteriori).

Si prevede poi la possibilità di un “ripensamento” del prestatore, il quale, per motivi di salute o familiari (di cui agli artt. 8, co. da 3 a 5, D.Lgs. n. 81/2015) e per ragioni di studio (di cui all’art.10 Stat. lav.), può revocare il proprio consenso alla clausola elastica (con il D. Lgs. n. 81 viene ampliata la platea dei lavoratori ai quali è consentito revocare il consenso al lavoro elastico, con l’inclusione dei lavoratori affetti da gravi patologie croniche degenerative), nonché la garanzia che l’eventuale rifiuto del lavoratore a pattuire variazioni dell’orario di lavoro “non costituisce giustificato motivo di licenziamento” [art. 6, co. 8, D.Lgs n 81/2015. Stante l’ampiezza del termine “variazioni” e la collocazione della disposizione (il co. 8 è parte di una disposizione, l’art. 6, intitolata “lavoro supplementare, lavoro straordinario, clausole elastiche”), il rifiuto “protetto” può riguardare una qualunque delle “variazioni” contemplate dall’art. 6  (D.Lgs. n. 81/2015)].

Variabilità dell’orario di lavoro e clausole elastiche nel part time pubblico
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