Il lavoratore che, fuori dell’azienda, viene trovato in possesso di una notevole quantità di droga e poi si finge malato perché “ai domiciliari per spaccio” può essere licenziato in tronco.

Nota a Cass. 9 marzo 2016, n. 4633.

Francesca Albiniano

La detenzione, in ambito extralavorativo, di un significativo quantitativo di sostanze stupefacenti (duecento grammi di hashish) a fine di spaccio è idonea ad integrare la giusta causa di licenziamento, poiché il lavoratore è tenuto, non solo a fornire la prestazione lavorativa richiesta, ma anche a non porre in essere, fuori dall’ambito lavorativo, comportamenti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o da comprometterne il rapporto fiduciario. (v. Cass. 6 agosto 2015, n. 16524).

Lo ha affermato la Cassazione (9 marzo 2016, n. 4633 relativamente al licenziamento di un dipendente della FIAT GROUP AUTOMOBILES S.p.A.), secondo cui il lavoratore deve, non solo rendere la prestazione, ma anche “tenere un comportamento extralavorativo che sia tale da non ledere né gli interessi morali e patrimoniali del datore di lavoro né la fiducia che, in diversa misura e in diversa forma, lega le parti del rapporto di durata”. Altrimenti, la condotta illecita del dipendente, pur se esterna all’azienda ed estranea all’esercizio delle sue mansioni, può avere un rilievo disciplinare e comportare la sanzione espulsiva qualora “presenti caratteri di gravità, che debbono essere apprezzati, tra l’altro, in relazione alla natura dell’attività svolta dall’impresa datrice di lavoro ed all’ attività in cui s’ inserisce la prestazione resa dal lavoratore subordinato” (v. Cass, n. 776/2015).

Il dovere di diligenza che grava sul lavoratore comprende, infatti, anche i vari doveri strumentali e complementari che concorrono a qualificare il rapporto obbligatorio di durata e si estende a “comportamenti che per la loro natura e per le loro conseguenze appaiono in contrasto con i doveri connessi all’inserimento del lavoratore nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa o creano situazioni di conflitto con le finalità e gli interessi della stessa” (Cass. n. 3822/2011 e n. 2550/2015).

La Cassazione ha confermato la decisione della Corte territoriale, la quale aveva anche rilevato che: a) il possesso di un notevole quantitativo di droga, “in ragione del suo valore di mercato induceva a ritenere sia l’abitualità dell’attività delittuosa sia l’incompatibilità con i suoi redditi da lavoro dipendente, e quindi rendeva concreto il pericolo che il lavoratore potesse commettere reati della stessa natura anche all’interno del luogo di lavoro”; b) il lavoratore aveva attuato un’ulteriore condotta idonea ad incrinare la fiducia nella correttezza del futuro adempimento, in quanto, tacendo di essere stato tratto in arresto e di essere in detenzione domiciliare, aveva inoltrato al datore di lavoro un certificato medico, dimostrando, pur a prescindere dall’effettività della malattia, la volontà di fornire una giustificazione dell’assenza che impedisse l’emergere della situazione che già rendeva assolutamente inesigibile la prestazione.

Condotta extralavorativa e giusta causa di licenziamento.
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