La lavoratrice, costretta a subire un rapporto sessuale da parte del suo datore di lavoro, la quale ricorra al profilattico, non per questo acconsente alla violenza sessuale.

Donatella Casamassa

“In tema di violenza sessuale, non vale ad escludere il dissenso della donna il fatto di offrire un profilattico all’uomo che sia accinga a consumare il rapporto sessuale, posto che anche la donna violentata nella sua libertà sessuale può cercare di evitare ulteriori danni o pericoli, connessi alla possibilità di gravidanze indesiderate o di malattie trasmissibili per via genitale”. Peraltro “nulla esclude che la donna che abbia subito per violenza o minaccia un primo rapporto sessuale indesiderato acconsenta poi liberamente a ulteriori rapporti con la stesso uomo per i motivi più vari (sentimentali, edonistici età)”.

Il principio è stato affermato da Cass. pen ,sez. III, 6 maggio 2008, n. 22719 (in Foro it. 2009, I, 111) in relazione al ricorso contro la decisione del Tribunale di Macerata, che – procedendo col rito abbreviato – aveva dichiarato il gestore di un bar colpevole del reato di cui all’art. 609 bis c.p., per aver costretto una dipendente ad acconsentire alle sue richieste sessuali con la minaccia che, in caso di rifiuto, non l’avrebbe più fatta lavorare alle sua dipendenze (la Corte territoriale, concesse le attenuanti generiche, aveva condannato il molestatore alla pena di due anni, due mesi e venti giorni di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge. Nel senso che l’offerta del profilattico al momento della consumazione del rapporto non esclude il reato di violenza sessuale, v. Trib. Genova 26 giugno 2001, in Giur. merito, 2002, 508).

La decisione si pone in linea con l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui integra il delitto di violenza sessuale non soltanto il comportamento che mette il soggetto passivo nell’impossibilità di opporre tutta la resistenza possibile, concretizzandosi in uno stato vero e proprio di costringimento fisico, ma anche quello che si manifesta con il compimento di atti idonei a superare la volontà contraria della persona offesa. Ciò, soprattutto, quando la condotta criminosa si esplichi in un contesto ambientale idoneo a vanificare ogni reazione della vittima con la coazione della sua libera volontà .

In particolare, circa la necessità o meno della persistenza di un atteggiamento di opposizione nei confronti dell’aggressore per l’intera durata del rapporto sessuale, la prevalente giurisprudenza si è espressa nel senso che il reato di cui all’art. 609 bis c.p. non viene meno a causa della progressiva diminuzione della resistenza da parte della vittima, essendo sufficiente che il dissenso venga esplicitato all’inizio della condotta antigiuridica.

Violenza sessuale del datore di lavoro nei confronti di una dipendente.
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