Non basta il raggiungimento dell’anzianità di servizio per licenziare un dipendente pubblico: l’Amministrazione deve motivare il provvedimento con ragioni organizzative specifiche.

Gennaro Ilias Vigliotti

Le norme vigenti in materia di risoluzione del rapporto di lavoro pubblico per il raggiungimento dell’età pensionabile prevedono che le Amministrazioni possano recedere dal contratto con i dipendenti che raggiungano i requisiti contributivi (età ed anzianità contributiva) solo «con decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi» (art. 72, co. 11, primo periodo, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, come riformato dal D.L. n. 90/2014, conv., con modificaz., in L. n. 114/2014). Ciò significa che il potere della PA di licenziare i dipendenti pensionabili è vincolato a specifici adempimenti procedurali, primo fra tutti quello della motivazione, la quale deve tenere in considerazione le complessive esigenze dell’Amministrazione, nonché la sua struttura e dimensione, salvo il caso in cui l’Ente interessato «abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi di controllo» (art. 16, co. 11, D. L. 6 luglio 2011, n. 98, conv. in L. n. 111/2011).

La PA, dunque, ha due strade per licenziare il dipendente pensionabile: adottare un atto generale che fissi i criteri per la risoluzione o, in assenza di un simile atto, motivare specificamente.

Secondo il consolidato indirizzo della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione (di recente, Cass. 23 ottobre 2015, n. 21626 e Cass. 6 giugno 2016, n. 11595, già annotata su questo Blog),  tale obbligo motivazionale è desumibile non solo dal dettato normativo, bensì anche dai principi di buona fede e correttezza (art. 1175 e 1375 c. c.), da quello di necessaria rispondenza dell’azione amministrativa al pubblico interesse (art. 5, co. 2, D.Lgs. n. 165/2001) e da quelli di imparzialità e buon andamento dell’Amministrazione (art. 97 Cost.). In sostanza, nel provvedimento di recesso devono essere inderogabilmente indicate le ragioni organizzative, inerenti l’ufficio pubblico di appartenenza del dipendente, che hanno determinato il datore di lavoro allo scioglimento del rapporto contrattuale.

Quando un Ente Pubblico licenzia un lavoratore pensionabile senza motivare o, in alternativa, senza dettare i criteri applicativi della risoluzione per anzianità, espone l’atto di recesso alla censura di illegittimità, con conseguente applicazione dell’apparato sanzionatorio previsto dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (sul regime applicabile, si v. G. I. Vigliotti, Licenziamenti pubblici: non si applica la Fornero, in questo Blog).

I principi in commento sono stati confermati da due recentissime sentenze della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione: con gli arresti del 14 settembre 2016, n. 18099 (riferita alla vicenda di un dipendente del Comune di Campione d’Italia) e del 23 settembre 2016, n. 18723 (incentrata sul licenziamento di un dirigente della Presidenza del Consiglio dei Ministri), i giudici di legittimità hanno condannato il datore di lavoro pubblico che non argomenti specificamente le ragioni organizzative che hanno determinato ad esercitare il collocamento a riposo, a reintegrare i dipendenti con effetto immediato, pagando in loro favore tutte le retribuzioni maturate dalla data del recesso sino a quella della ripresa effettiva del servizio.

Pubblico impiego: il collocamento a riposo va motivato
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