Elena De Oto

In Francia, a gennaio dell’anno prossimo entrerà in vigore una norma che prevede il diritto alla “disconnessione”. Il testo contenuto nella “Loi Travail” stabilisce che, nelle aziende con più di 50 dipendenti, le parti sociali regolamentino il diritto del lavoratore di non rispondere alle e – mail al di fuori dell’orario di lavoro.
Il tema è chiaro. In molti Paesi, viene avvertita l’esigenza di porre fine alla prassi generalizzata tra i lavoratori di essere reperibili attraverso telefoni, smartphone e tablet, anche al di fuori dell’orario di lavoro (in Italia, la materia è regolata dal disegno di legge sul lavoro “agile”).
La questione, tuttavia, nel nostro ordinamento, non riguarda la “prestazione lavorativa” o la tematica dei “controlli a distanza”, per i quali gli apparati normativi sono tutti già permeati da una completa disciplina.
In Italia, l’art. 4 della L. n. 300/1970 (come modificato dell’art 23, D.Lgs. n. 151/2015) vieta espressamente il controllo attraverso gli strumenti di lavoro; mentre, l’art. 1, D.Lgs. n. 66/2003 prevede che “l’orario di lavoro è qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore e nell’esercizio della sua attività e delle sue funzioni”.
Nel testo di legge sull’orario di lavoro, la presenza o meno del dipendente in azienda non è rilevante. Ciò che conta è il fatto che il lavoratore sia “a disposizione” dell’impresa. Al di fuori di tale ipotesi, la “pretesa datoriale alla connessione” è illegittima e, quindi, giuridicamente inesigibile.
La verità è che l’esigenza di stabilire un divieto all’invio delle sollecitazioni informatiche nasce dalla necessità di reprimere un comportamento sociale sbagliato.
La nostra vita personale si confonde e s’interseca con quella professionale, ogni giorno ci rendiamo conto dell’impossibilità di governare il continuo cambiamento soltanto attraverso le norme tipiche del diritto del lavoro, proprio come accade nel sistema delle pari opportunità, in cui le leggi poste a tutela delle donne, anziché aiutarle, le mortificano, perché il comune sentire, ad esempio, continua a vedere la maternità come un fatto privato da gestire tutto “al femminile”.
In questo senso, bisognerebbe prendere atto che non è più possibile affrontare le problematiche sottese al progresso tecnologico ricorrendo a strumenti ormai inadeguati. Peraltro, come detto, quello della “connessione” non è un tema di rilevanza lavoristica.
Con l’utilizzo smodato della tecnologia informatica (dal telefonino ai più complessi strumenti informatici, caricati di app, facebook e twitter) è la nostra stessa vita ad essere sempre “connessa” e questo spropositato atteggiamento non è causato da un vuoto normativo, ma, come molti “falsi problemi” della nostra società, deriva dalla disinformazione e dalla diseducazione.
Una legge che vieti l’utilizzo di e-mail dovrebbe essere superata nei fatti ancor prima che in diritto se si trova il coraggio di abbandonare certi  schemi comportamentali.

Il diritto alla "disconnessione": una nuova frontiera giuslavoristica?
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