Le dimissioni sono valide se il dipendente non dimostra la violenza morale con cui il datore di lavoro intende conseguire, mediante le dimissioni, un vantaggio ingiusto.

Nota a Cass. 15 febbraio 2017, n. 4006

Angela Breval

La minaccia di far valere un diritto assume i caratteri della violenza morale – invalidante il consenso prestato per la stipulazione di un contratto, ex art. 1438 cod. civ.- soltanto se è diretta a conseguire un vantaggio ingiusto, situazione che “si verifica quando il fine ultimo perseguito consista nella realizzazione di un risultato che, oltre ad essere abnorme e diverso da quello conseguibile attraverso l’esercizio del diritto medesimo, sia iniquo ed esorbiti dall’oggetto di quest’ultimo e non quando il vantaggio perseguito sia solo quello del soddisfacimento del diritto nei modi previsti dall’ordinamento”. Consegue che le dimissioni del lavoratore rassegnate sotto minaccia di far valere un diritto sono annullabili per violenza morale solo qualora venga accertata, con onore probatorio a carico del lavoratore che deduce l’invalidità dell’atto, l’inesistenza dell’invocato diritto del datore di lavoro.

Così, si è pronunciata la Cassazione (15 febbraio 2017, n. 4006), la quale, confermando le statuizioni dei Giudici di merito, ha rigettato la domanda di un lavoratore volta all’annullamento delle dimissioni intimate dalla B.N.L. S.p.A., presso la quale svolgeva la propria prestazione.

In particolare, secondo il dipendente, la Banca gli aveva estorto le dimissioni sotto la minaccia di determinare il tracollo finanziario di sua figlia, agendo in executivis per il recupero dell’esposizione debitoria maturata dalla stessa nei confronti dell’istituto. In tal modo, la Banca avrebbe ottenuto un doppio indebito vantaggio, e cioè: a) il rientro immediato del credito vantato mediante la compensazione del medesimo con quanto a lui dovuto a titolo di indennità connesse alla cessazione del rapporto e dalla risoluzione del rapporto; b) l’espulsione di un dipendente scomodo, “da tempo vessato al punto da averlo assegnato a mansioni inferiori alla qualifica professionale posseduta ed impiegato secondo modalità definite non dignitose per sè e dannose per la stessa Banca”.

Nonostante il lavoratore abbia sostenuto che “non avrebbe mai presentato le proprie dimissioni se non fosse stato per salvaguardare la figlia”-, i giudici hanno ritenuto non sussistente il denunciato vizio del consenso (ed in particolare la coazione psicologica) che lo avrebbe indotto alla firma delle dimissioni, non risultando provati “nè la limitazione della libertà di autodeterminazione nè l’essere il comportamento della Banca unicamente diretto al conseguimento di un vantaggio ingiusto né l’onere deduttivo e probatorio rispetto alla denunciata dequalificazione. (in tema di dimissioni ed in merito alle ipotesi di annullabilità delle stesse si rinvia a M. SANTUCCI, Le dimissioni, in Monotema, 1, 2017, in questo Sito).

Annullamento delle dimissioni per violenza morale
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: