La lesione del vincolo fiduciario fra attribuzioni fittizie di pagamenti; espressioni irriguardose, concussione, tenuità del danno ed alterco violento non provato.

 

Silvia Rossi

 

Sono stati ritenuti sussistenti i requisiti soggettivi ed oggettivi del licenziamento per giusta causa in una serie di condotte diverse ed articolate, quali:

Attribuzioni fittizie. In questa ipotesi il comportamento sanzionato è quello di un funzionario dell’Inps responsabile del servizio inerente le procedure concorsuali ed i recuperi crediti per anticipazioni del T.F.R., consistito in plurime attribuzioni fittizie di pagamenti da parte di società aventi debiti con l’ente previdenziale (Cass. 22 marzo 2017, n. 7351 (che ha ritenuto inammissibile il ricorso presentato dal lavoratore avverso le sentenze di merito pronunziatesi per la legittimità del licenziamento).

Frasi irriguardose. Del pari legittimanti il licenziamento in quanto lesive del vincolo fiduciario che caratterizza il rapporto di lavoro sono state ritenute le espressioni irriguardose nei confronti di un cliente contestate ad una lavoratrice (v. Cass. 22 marzo 2017, n. 7346, a conferma di App. Roma 28 luglio 2014).

Concussione e sospensione cautelare. La Cassazione (21 marzo 2017, n. 7178)), inoltre, in relazione ad un licenziamento intimato per episodi plurimi di concussione, ha ritenuto che, ove vi sia un procedimento di sospensione cautelare che si concluda in senso sfavorevole al dipendente con l’adozione della sanzione del licenziamento, “la precedente sospensione dal servizio – pur strutturalmente e funzionalmente autonoma rispetto al provvedimento risolutivo del rapporto, giacché adottata in via meramente cautelare in attesa del secondo – si salda con il licenziamento, tramutandosi in definitiva interruzione del rapporto legittimando il recesso del datore di lavoro retroattivamente, con perdita ex tunc del diritto alle retribuzioni a far data dal momento della sospensione medesima” (v. Cass. n. 20685/2016; n. 9618/2015, n. 15444/2014 e n. 22863/2008). La fattispecie riguardava un ex funzionario del Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo licenziato in data 3.10.2011 con preavviso, pari a 4 mesi, decorrente dalla data iniziale della sospensione dal servizio (ossia dal 30.9.2010), a seguito di sentenza penale di patteggiamento in ordine a plurimi episodi di concussione commessi nell’espletamento della sua attività lavorativa. Il Tribunale di Roma ha respinto il ricorso e la Corte di Appello – con sentenza pubblicata il 24 marzo 2015 – ha confermato la pronunzia, rilevando che “la sentenza emessa in sede di patteggiamento – sulla scorta dell’art. 10 della L. n. 97 del 2001 e delle pronunce nn. 294/2002 e 186/2004 della Corte Costituzionale – esplica funzione di giudicato nel procedimento disciplinare quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che lo ha commesso e che la sospensione dal servizio – concluso il procedimento disciplinare in senso sfavorevole al dipendente – si salda con il licenziamento, che opera con effetto ex tunc”.

Secondo la Cassazione (Cass. 5 aprile 2017, n. 8816), inoltre, “la tenuità del danno non è da sola sufficiente ad escludere la lesione del vincolo fiduciario e …ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso viene in considerazione non già l’assenza o la speciale tenuità del danno patrimoniale, ma la ripercussione sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti”. Sicché opera correttamente la Corte territoriale nel valorizzare la oggettiva gravità della condotta di sottrazione di un bene aziendale, sotto il profilo della patente violazione dell’obbligo di fedeltà e la intensità del dolo (ex plurimis, Cass. n. 13168/2015, Cass. n. 19684/14, Cass. n. 16864/06 e Cass. n. 16260/04).

La Cassazione (4 aprile 2017, n. 8710) ha inoltre ritenuto inammissibile, per mancanza di prova dell’addebito contestato, il licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore, accusato di essere passato alle vie di fatto nel corso di un violento alterco con un collega avvenuto nella cella frigorifera del reparto macelleria ed aver cagionato al medesimo lesioni personali.

I giudici hanno infatti sottolineato la necessità di accertare la riferibilità al lavoratore licenziato dell’iniziativa del passaggio alle vie di fatto, precisando che l’elemento “relativo alle modalità con le quali ha avuto inizio il contrasto fisico tra i due lavoratori è di fondamentale importanza al fine di stabilire la ricorrenza, in concreto, degli elementi della giusta causa, in quanto, altro è passare alle vie di fatto per difendersi dall’aggressione fisica subita dall’antagonista, altro è farlo per aggredire l’altro fisicamente”.

Giusta causa di licenziamento
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