Anche se il datore di lavoro lascia trascorre quasi un anno fra infrazione e contestazione disciplinare, la legittimità del licenziamento (per gravi irregolarità di cassa) può essere desunta da misure cautelari (come la sospensione) adottate dal datore di lavoro
Nota a Cass. 19 aprile 2017, n. 9838
Alfonso Tagliamonte
I requisiti fondamentali della contestazione disciplinare – la cui violazione vizia il procedimento disciplinare determinando la nullità del provvedimento sanzionatorio irrogato – consistono nella immediatezza, specificità ed immutabilità della sanzione (art. 7 Stat. Lav.).
In particolare, il principio di immediatezza della contestazione è volto a tutelare non solo il diritto di difesa, ma anche l’affidamento del prestatore in caso di ritardo nella contestazione, che il fatto addebitato possa non rivestire una connotazione disciplinare. L’onere di tempestività si connette, peraltro, “al principio di buona fede oggettiva e più specificamente al dovere di non vanificare la consolidata aspettativa, generata nel lavoratore, di rinuncia all’esercizio del potere disciplinare” (v., in motivaz., Cass. n. 29480/2008 e Cass. n. 11095/1997).
Tale requisiti hanno lo scopo di garantire il diritto di difesa del lavoratore incolpato, diritto che sarebbe compromesso qualora si consentisse al datore di lavoro di intimare il licenziamento in relazione a condotte rispetto alle quali il dipendente non è stato messo in condizione di discolparsi, perché non tempestivamente contestate, ovvero non adeguatamente definite nelle loro modalità essenziali o diverse dalle condotte oggetto della iniziale contestazione.
In materia si è pronunciata la Cassazione (19 aprile 2017, n. 9838) che, con peculiare riferimento al criterio dell’immediatezza, ha precisato che, nonostante il differimento del recesso (il datore di lavoro aveva lasciato trascorrere quasi un anno dal momento in cui aveva avuto piena contezza dell’effettivo svolgimento dei fatti, prima di contestarli al lavoratore), la ritenuta incompatibilità, con la prosecuzione del rapporto di lavoro, degli addebiti mossi al lavoratore poteva essere desunta da misure cautelari (come la sospensione) adottate dal datore di lavoro nell’intervallo di tempo fra fatto contestato (gravi irregolarità di cassa) e intimazione del licenziamento. Ciò, in quanto, tali misure – specialmente se previste dalla disciplina collettiva del rapporto – “dimostrano la permanente volontà datoriale di irrogare (eventualmente) la sanzione del licenziamento” (così, Cass. 19 giugno 2014, n. 13955; Cass. 2 febbraio 2009, n. 2580; Cass. 19 agosto 2004, n. 16291).
Ciò, anche se i giudici hanno aderito, in via generale, al consolidato orientamento per il quale, l’incolpazione ritardata, ossia formulata a notevole distanza di tempo dal fatto addebitato, è non solo pregiudizievole per un pieno esercizio del diritto di difesa, ma anche idonea a fondare la presunzione di pretestuosità del motivo addotto ovvero di mancanza di concreto interesse del datore di lavoro all’esercizio del potere di recesso (fra le tante, v. Cass. 17 dicembre 2008, n. 29480 e Cass. 23 giugno 1999, n. 6408). In altri termini, un eccessivo intervallo temporale fra l’intimazione del licenziamento disciplinare e il fatto contestato al lavoratore può rivelare una implicita valutazione, da parte del datore, di scarsa gravità dei fatti contestati (ovvero di una sopravvenuta mancanza di interesse del datore di lavoro all’esercizio della facoltà di recesso).