Lo svolgimento di operazioni irregolari da parte del dipendente postale legittima il licenziamento per giusta causa
Nota a Cass. 2 maggio 2017, n. 10640
Francesco Belmonte
Il comportamento della dipendente postale che “induce con la intensa rappresentazione di forte disagio umano, le colleghe ad accettare di porre in essere una procedura di restituzione all’ufficio postale di una lettera raccomandata già recapitata, facendo risultare che la stessa non fosse mai stata recapitata” e cancellando, dalla relativa cartolina di ritorno, la data e la sottoscrizione, apposte dal proprio figlio, costituisce giusta causa di licenziamento.
Lo ha affermato la Cassazione (2 maggio 2017, n. 10640) in relazione ad una vicenda in cui una lavoratrice, dopo che la raccomandata, indirizzata al proprio marito era stata consegnata presso la sua residenza a mani del proprio figlio convivente, si era recata presso l’ufficio postale di riferimento e, qualificandosi, come collega, aveva chiesto all’impiegata addetta di riprendere la raccomandata in questione, reinserendola tra le inesitate.
Sul punto, l’art. 56 CCNL per il personale non dirigente di Poste Italiane spa, prevede il licenziamento senza preavviso nell’ipotesi di “illecito uso, manomissione, distrazione o sottrazione di somme, o beni di spettanza o di pertinenza della Società o ad essa affidati, o infine per connivente tolleranza di abusi commessi da dipendenti o da terzi”. Ciò, come sottolinea la Corte, “affinché il servizio di recapito della corrispondenza inviata con caratteri di ‘raccomandata con ricevuta di ritornò, reso in via universale dalla datrice di lavoro, sia ispirato al rispetto delle procedure regolamentari che sono poste a presidio della sicurezza del servizio di recapito della posta e della certezza delle modalità di recapito. Peraltro la fattispecie non si limita a realizzare una mera irregolarità, ma risulta aggravata dalla pressione psicologica esercitata dalla dipendente sulle colleghe, manifestata con la enfatizzazione di una propria difficoltà familiare”.
Alla luce di queste considerazioni, la Corte ha ritenuto che la condotta della lavoratrice sia stata tale da compromettere irrimediabilmente il rapporto fiduciario alla base del rapporto di lavoro ed ha affermato che, ai fini della giusta causa di licenziamento, una volta accertata la lesione del vincolo fiduciario, “è di regola irrilevante che un’analoga inadempienza, commessa da altro dipendente, sia stata diversamente valutata dal datore di lavoro”, anche se l’identità delle situazioni riscontrate può essere valutata dal giudice “per verificare la proporzionalità della sanzione adottata, privando così il provvedimento espulsivo della sua base giustificativa” (v. anche Cass. n. 10550/2013 e n. 5546/2010).