L’uso del cellulare aziendale per scopi estranei alla prestazione lavorativa legittima il licenziamento per giusta causa
Nota a Cass. 17 febbraio 2017, n. 4262
Fabrizio Girolami
Il dipendente che utilizza per usi esclusivamente personali l’utenza telefonica mobile concessa in dotazione dal datore di lavoro per ragioni di servizio può essere legittimamente licenziato per giusta causa, trattandosi di condotta gravemente lesiva degli obblighi di “diligenza” (art. 2104 c.c.) e di “fedeltà” (art. 2105 c.c.) derivanti dalla sottoscrizione del contratto di lavoro subordinato.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con sentenza 17 febbraio 2017, n. 4262, in relazione alla vicenda di un dipendente di un’azienda privata operante nel settore farmaceutico, con qualifica di quadro direttivo, che aveva usato indebitamente l’utenza telefonica mobile intestata al datore di lavoro e concessa in dotazione per ragioni di servizio. Nel caso di specie, il lavoratore era stato licenziato per giusta causa per avere effettuato con il telefono cellulare aziendale oltre mille telefonate per ragioni non lavorative a spese dell’azienda.
Il lavoratore aveva proposto impugnazione avverso il provvedimento espulsivo, lamentando, tra i vari motivi, la violazione degli artt. 4 e 8 della L. 20 maggio 1970, n. 300, (cd. Statuto dei lavoratori) relativi, rispettivamente, ai limiti al controllo dell’attività dei lavoratori mediante impianti audiovisivi e al divieto di indagini sulle opinioni, nonché la mancata osservanza delle cautele prescritte dalla normativa in materia di tutela dei dati personali (ai sensi del Decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, recante “Codice in materia di protezione dei dati personali”).
La Cassazione ha confermato l’articolato iter logico-motivazionale seguito dal giudice di seconda istanza che aveva rigettato le doglianze di merito sul punto avanzate dal dipendente.
In particolare, secondo la Cassazione, il giudice di merito ha correttamente escluso, nel caso di specie, l’asserita violazione dell’art. 4 Stat. Lav. “non avendo il datore di lavoro fatto alcun uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza di lavoratori”, bensì delle risultanze “dei tabulati del traffico telefonico”, dai quali emergevano i contatti eseguiti con il cellulare aziendale in dotazione al dipendente, che, tuttavia, non consentiva di conoscere né il nome dell’interlocutore né tantomeno il contenuto delle conversazioni.
Il giudice di legittimità ha altresì ritenuto “assolutamente inconferente” la doglianza eccepita dal lavoratore in merito all’asserita violazione dell’art. 8 Stat. Lav., che prevede il divieto a carico del datore di lavoro (sia ai fini dell’assunzione, sia nel corso di svolgimento del rapporto di lavoro) di non effettuare indagini sulle opinioni politiche, religiose e sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione della sua attitudine professionale. Al riguardo, per la Cassazione è “del tutto legittimo che parte datoriale, nel controllo di gestione della sua attività, possa rilevare anomalie nell’uso dei beni concessi in dotazione ai propri dipendenti, come ad esempio i telefoni cellulari, dai cui tabulati, relativi al traffico voce o dati (trasmessi unitamente alle relative fatturazioni, peraltro con debite omissioni ed opportuni mascheramenti) emergano stranezze tali da poter indurre a ritenere abusi da parte degli affidatari”. Da ciò deriva, secondo la Corte, che non è neppure configurabile, contrariamente a quanto ritenuto dal dipendente, una violazione del diritto alla riservatezza ai sensi del sopra citato D.Lgs. n. 196/2003.
Sulla base di queste argomentazioni, la Cassazione ha rigettato l’impugnazione proposta dal dipendente e ha confermato la legittimità del licenziamento intimato dall’azienda, considerando del tutto “proporzionato” l’intimato recesso rispetto alla condotta contestata al lavoratore.