È illegittimo il recesso se il datore non prova la negligenza del lavoratore

Nota a Cass. 10 novembre 2017, n. 26676

Francesco Belmonte

Il datore di lavoro è tenuto a provare, al fine della legittimità del licenziamento, che lo scarso rendimento sia imputabile alla condotta negligente del dipendente (in quanto elemento costitutivo del recesso per giustificato motivo soggettivo) e che l’inadeguatezza della prestazione non sia ascrivibile all’organizzazione del lavoro ed a fattori socio-ambientali.

A statuirlo è la Corte di Cassazione (10 novembre 2017, n. 26676), in relazione al licenziamento intimato da una società di autovetture ad un proprio dipendente, il quale, ferma restando la mansione di venditore generico, era stato adibito, in qualità di responsabile, alla vendita di flotte aziendali di autovetture, non raggiungendo, tuttavia, gli obiettivi prefissati dall’azienda.

Secondo i Giudici di legittimità, come correttamente rilevato dalla Corte d’Appello, il datore di lavoro non aveva dimostrato, oltre alla circostanza che “il mancato raggiungimento dell’auspicato risultato produttivo fosse derivato da colpevole e negligente inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore nell’espletamento della sua normale attività”, la ricorrenza di taluni indici legittimanti il recesso in questione, quali: 1) la presenza di un’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il dipendente e quanto effettivamente realizzato, tenuto conto della media di attività dei vari dipendenti; 2) l’irrilevanza di una soglia minima di produzione. [in merito si v. le recenti, Cass. n. 3855/2017, con nota di D. CASAMASSA, Scarso rendimento, inadempimento del lavoratore e illeciti precedenti, in questo sito; Cass. n. 18317/2016, con nota di M. SANTUCCI, Licenziamento per scarso rendimento, in questo sito; v. anche Cass. n. 18678/2014 e Cass. n. 1632/2009. Circa, invece, la configurabilità del recesso in questione come giustificato motivo oggettivo di licenziamento, si v. le ricostruzioni di F. BELMONTE, Scarso rendimento e licenziamento, in M.N. BETTINI (a cura di), La nozione di licenziamento per giustificato motivo fra tutela del lavoratore e ragioni d’impresa, E.S., 2017, 213 ed i riferimenti dottrinali e giurisprudenziali ivi contenuti].

In particolare, nel caso di specie, i Giudici di merito avevano rilevato come le nuove mansioni assegnate al dipendente costituissero una novità in azienda, difficilmente comparabili con l’attività e i risultati conseguiti dagli altri lavoratori. «Ciò non significava che non vi fossero state in passato vendite di vetture anche a clienti appartenenti al gruppo “flotte aziendali”», ma il fatto che il prestatore licenziato avesse evidenziato la mancanza di statistiche di vendite, «così come di procedure di contatto e strategie di vendita (esclusi gli sconti e i contributi, gestiti peraltro dalla casa madre) per quel particolare settore – senza smentite da parte aziendale, che non aveva prodotto significativi e rilevanti documenti al riguardo – dimostrava la totale novità della “strategia commerciale di attacco” all’epoca decisa dalla società».

Pertanto, a giudizio della Corte distrettuale, il datore di lavoro non poteva dimostrare il sottorendimento del lavoratore, sulla base degli standard invocati per la generalità dei dipendenti (“12/15 macchine vendute per mese da ogni venditore, sulla base di 60/80 trattative incardinate”). Di conseguenza, “era difficile sostenere che vi fosse prova di una negligenza e di una inattività da parte del prestatore, il quale comunque risultava documentalmente aver redatto 27 preventivi. Per giunta, da tutta la corrispondenza intercorsa con la dirigenza, e segnatamente dai report pretesi con cadenza settimanale, emergeva che il dipendente non era mai stato inattivo, dedicandosi in maniera prevalente ad un compito che, così come voluto da parte datoriale, non era stato mai praticato.”

Licenziamento per scarso rendimento soggettivo: gli indici che lo legittimano
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