Il licenziamento derivante dalla soppressione del posto di lavoro è legittimo se scaturente da scelte datoriali effettive e non simulate

Nota a Cass. 20 ottobre 2017, n. 24882 e 27 ottobre 2017, n. 25649

Annarita Lardaro

La soppressione del posto di lavoro deve essere riferibile, sul piano causale, a progetti o scelte datoriali – non sindacabili in sede giudiziale quanto ai profili di congruità e opportunità, purché connotati da effettività e assenza di simulazione – diretti a incidere sulla struttura e sulla organizzazione dell’impresa o sui processi produttivi.

Non è, invece, onere del datore di lavoro provare anche la sussistenza di un andamento economico negativo dell’azienda, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore gestione o ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento nell’organizzazione dell’azienda, tale da giustificare la soppressione dell’individuata posizione lavorativa.

È quanto ha ribadito la Corte di Cassazione, la quale è tornata sul tema del licenziamento per giustificato motivo oggettivo derivante dalla soppressione del posto di lavoro in due recenti pronunce, la n. 24882 del 20 ottobre 2017 e la n. 25649 del 27 ottobre 2017.

In ambedue le ipotesi sottoposte all’attenzione della Cassazione, i dipendenti erano stati licenziati dal datore di lavoro sulla base di un’asserita soppressione del loro posto di lavoro. In sintesi, nel primo caso, il redattore di una casa editrice era stato licenziato a causa dello stato di crisi in cui versava l’azienda, con conseguente necessità di contenimento dei costi. Nella seconda fattispecie, invece, il responsabile del sistema informatico di una società, a seguito di un colloquio con l’amministratore delegato che gli aveva annunciato che lo avrebbe licenziato perché “nessuno lo sopportava più in azienda”, si era visto comminare il licenziamento “per ragioni organizzative” consistenti nell’intervenuta decisione di esternalizzare il sistema di cui era a capo.

La Suprema Corte ha così delineato i requisiti di legittimità del recesso per soppressione del posto di lavoro nei seguenti termini:

a) la posizione di lavoro del dipendente licenziato deve essere venuta meno per effetto della soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui il dipendente era addetto, soppressione che non richiede però il venir meno delle mansioni già assegnate al lavoratore che possono essere ripartite tra gli altri dipendenti;

b) la soppressione del posto di lavoro deve discendere da progetti o scelte datoriali insindacabili nella loro congruità e opportunità, purché siano effettivi e non simulati, senza che il datore debba necessariamente provare un andamento economico negativo dell’azienda, potendo la riorganizzazione essere volta a realizzare una migliore efficienza gestionale o un incremento della redditività;

c) impossibilità di adibire il lavoratore ad altre mansioni, che deve essere provata dal datore di lavoro a prescindere da ogni deduzione ed allegazione del lavoratore circa la disponibilità in azienda di posizioni lavorative cui avrebbe potuto essere adibito.

Pertanto, alla luce dei suindicati postulati, la Cassazione ha ritenuto, nel caso del licenziamento comminato al giornalista, non corretta la pronuncia della Corte di merito; infatti sulla base di un’erronea equazione tra stato di crisi aziendale e giustificazione del licenziamento, la Corte territoriale aveva omesso di verificare in concreto quale fosse il posto di lavoro occupato dal ricorrente e se tale posto di lavoro dovesse ritenersi effettivamente e specificamente soppresso in conseguenza dell’attuazione di programmi diretti alla riorganizzazione e al risanamento dell’impresa, trattandosi di elementi qualificanti la fattispecie legale di cui all’art. 3, L. n. 604/1966 e non superabili attraverso il riferimento alla scelta dimensionale e alla sua ragionevolezza.

Nel secondo caso, la Cassazione ha, invece, confermato quanto già statuito dalla Corte d’Appello essendo risultata smentita “quella improcrastinabile riorganizzazione del servizio addotta come motivo di licenziamento”. La simulazione del giustificato motivo oggettivo era in tal caso resa evidente dall’esternalizzazione del servizio avvenuta solo due anni dopo l’avvenuto licenziamento del responsabile informatico (nel caso di specie, la Corte ha, inoltre, acclarato la natura persecutoria e vessatoria del licenziamento e la sua idoneità ad arrecare anche un danno non patrimoniale al lavoratore).

Infine, la Cassazione, nell’adeguarsi all’orientamento maggioritario della giurisprudenza, relativo all’onere della prova in materia di repêchage, ha affermato che esso incombe sul datore di lavoro, il quale deve dimostrare l’impossibilità di una diversa collocazione del dipendente all’interno dell’impresa ristrutturata o rimodulata nei suoi aspetti tecnico-organizzativi, senza che il lavoratore sia tenuto ad allegare i posti assegnabili (Cass. 22 marzo 2016, n. 5592; Cass. 13 giugno 2016,12101; in tema v. in questo sito: F. BELMONTE, L’obbligo di repêchage nel licenziamento per ragioni economiche; G. I. VIGLIOTTI, Impossibilità di ricollocare il dipendente: è il datore a fornirne la prova; F. BELMONTE, Repêchage e onere della prova nel licenziamento per motivi oggettivi).

(Per un approfondimento relativo al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, v. P. PIZZUTI, Interesse dell’impresa e prestazione lavorativa, Giappichelli, 2017, 149 ss.; F. BELMONTE, Effettività delle ragioni alla base del licenziamento, nesso causale e soppressione della posizione lavorativa, in M.N. BETTINI (a cura di), La nozione di licenziamento per giustificato motivo fra tutela del lavoratore e ragioni d’impresa, E.S., 2017, 303; S. CIUCCIOVINO, Giustificato motivo oggettivo e repêchage dopo il jobs act, in MGL, 2016, 432; M. FERRARESI, Il giustificato motivo oggettivo di licenziamento. Dalla legge 604 del 1966 al contratto a tutele crescenti, Giappichelli, 2016, 69; v. anche M. PERSIANI, Giustificato motivo oggettivo di licenziamento e autorità del punto di vista giuridico, in ADL, 2017, 136).

I requisiti di legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo
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