L’obbligo del datore di lavoro di tutelare l’integrità psicofisica del lavoratore configura una responsabilità contrattuale con onere, a carico del datore di lavoro, di provare la non imputabilità del danno e l’adempimento delle misure di sicurezza e, a carico del lavoratore, di provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa e del danno stesso, nonché il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione.
Nota a Cass. 5 gennaio 2018, n. 146
Silvia Rossi
L’imprenditore, in base all’art. 2087 c.c., ha l’obbligo di tutelare l’integrità fisiopsichica dei dipendenti con “l’adozione – ed il mantenimento perfettamente funzionale – non solo di misure di tipo igienico-sanitario o antinfortunistico, ma anche di misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla sua lesione nell’ambiente od in costanza di lavoro in relazione ad eventi pur se allo stesso non collegati direttamente”.
Tale principio, più volte affermato dalla Cassazione (fra tante, v. Cass. 19 aprile 2017, n. 9870, annotata, in questo sito, da A. TAGLIAMONTE; Cass. n. 3788/2009; Cass. 13 agosto 2008, n. 21590) è stato ribadito con espressa puntualizzazione di alcuni aspetti importanti che discendono dalla disposizione in parola (Cass. 5 gennaio 2018, n. 146).
Anzitutto, la responsabilità del datore di lavoro che discende dall’art. 2087 c.c. è di carattere contrattuale, posto che il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge, (ex art. 1374 c.c.) da tale norma, che impone l’obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale.
L’art. 2087, quindi, non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, poiché la responsabilità del datore di lavoro viene collegata alla violazione degli obblighi relativi a comportamenti imposti da norme di legge “o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento” (v. Cass. 29 gennaio 2013, n. 3288).
Dal principio di contrattualità discende che, nella domanda di danno da infortunio sul lavoro, il riparto degli oneri probatori si pone nei medesimi termini dell’art. 1218 c.c. relativamente all’inadempimento delle obbligazioni.
Pertanto, il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente all’obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno stesso.
Mentre il lavoratore, il quale lamenti di aver subito un danno da infortunio sul lavoro, deve allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’esistenza del danno ed il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione. Sul lavoratore grava dunque l‘onere di “dimostrare l’esistenza del fatto materiale ed anche le regole di condotta che assume essere state violate, provando che l’asserito debitore ha posto in essere un comportamento contrario o alle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto o a norme inderogabili di legge o alle regole generali di correttezza e buona fede o alle misure che, nell’esercizio dell’impresa, debbono essere adottate per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” (v. Cass. 11 aprile 2013, n. 8855).
Nella fattispecie in esame (caduta al suolo di un operaio, durante le operazioni di taglio di un albero nell’ambito di un’attività d’impianto di cavi elettrici) i giudici non hanno ravvisato un rapporto di causalità materiale con il danno subito dal lavoratore, determinato da un’operazione non prevista nel programma di lavoro, né alcuna violazione dell’obbligo di vigilanza sull’osservanza delle misure di sicurezza atte a preservare l’incolumità dei lavoratori. Infatti, né “il ricorrente (che rivestiva il ruolo di caposquadra), né gli altri operai, avevano doverosamente interpellato la società – tramite il personale all’uopo designato in relazione all’ insorgenza di problematiche lavorative – per ricevere l’attrezzatura necessaria a compiere l’ulteriore, imprevista attività”.