Dal risarcimento dei danni in seguito ad infortunio in itinere va detratta la rendita INAIL per inabilità permanente corrisposta al danneggiato.

Nota a Cass. SU 22 maggio 2018, n. 12566

Flavia Durval

“L’importo della rendita per l’inabilità permanente corrisposta dall’INAIL per l’infortunio in itinere occorso al lavoratore va detratto dall’ammontare del risarcimento dovuto, allo stesso titolo, al danneggiato da parte del terzo responsabile del fatto illecito”.

È quanto disposto dalle S.U. della Corte di Cassazione (22 maggio 2018, n. 12566) che, dopo un’articolata ricostruzione dei principali orientamenti giurisprudenziali sul punto, si è pronunciata per la detraibilità delle somme liquidate (dall’INAIL) per l’inabilità permanente da quelle dovute dal responsabile dell’infortunio.

Nello specifico, prima della sentenza in esame, secondo un indirizzo, della Cassazione (15 ottobre 2009, n. 21897) la costituzione, da parte dell’assicuratore sociale, di una rendita in favore dei prossimi congiunti di persona deceduta in conseguenza di un sinistro stradale in itinere, non esclude né riduce il loro diritto al risarcimento del danno patrimoniale nei confronti del responsabile, non operando in tale ipotesi il principio della compensazione, a causa della diversità del titolo giustificativo della rendita rispetto a quello del risarcimento. Né può configurarsi una duplicazione del danno ex art. 1916 c.c., relativo al diritto di surrogazione dell’assicuratore verso il responsabile, e non già al diritto del medesimo di eccepire il pagamento del terzo assicuratore sociale come fatto estintivo o compensativo del proprio debito.

Diversamente, per un altro orientamento (prevalente), i giudici si sono espressi a favore del diffalco, ossia nel senso della detrazione – in base al principio indennitario – delle somme liquidate dall’INAIL in favore del danneggiato da sinistro stradale a titolo di rendita, dall’ammontare del risarcimento dovuto al danneggiato da parte del terzo responsabile, (v., da ultimo, Cass. 5 dicembre 2014, n. 25733).

Le S.U., nell’accogliere questa seconda impostazione, premettono che “se l’atto dannoso porta, accanto al danno, un vantaggio, quest’ultimo deve essere calcolato in diminuzione dell’entità del risarcimento: infatti, il danno non deve essere fonte di lucro e la misura del risarcimento non deve superare quella dell’interesse leso o condurre a sua volta ad un arricchimento ingiustificato del danneggiato”. Tale principio viene desunto dall’art. 1223 c.c. per cui: “Il risarcimento del danno per l’inadempimento o per il ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”. Mediante tale disposizione il legislatore tiene anche conto degli eventuali vantaggi collegati all’illecito in applicazione della regola della causalità giuridica, in modo da evitare che il danneggiato tragga un ingiusto profitto, oltre i limiti del risarcimento riconosciuto dall’ordinamento giuridico (v. già Cass. 11 luglio 1978, n. 3507).

Venendo alla vicenda concreta esaminata dalle S.U., i giudici precisano come il lavoratore, nell’ipotesi di infortunio scaturito da un fatto illecito di un terzo estraneo al rapporto giuridico previdenziale, possa contare su un sistema combinato di tutele, basato sul concorso delle regole della protezione sociale garantita dall’INAIL – ossia su un sistema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, che dà titolo ad ottenere le prestazioni dell’assicurazione –  e sulle regole civilistiche in materia di responsabilità nel caso di  fatto illecito del terzo.

Si tratta perciò di stabilire “se l’incremento patrimoniale realizzatosi in connessione con l’evento dannoso per effetto del beneficio collaterale avente un proprio titolo e una relazione causale con un diverso soggetto tenuto per legge o per contratto ad erogare quella provvidenza, debba restare nel patrimonio del danneggiato cumulandosi con il risarcimento del danno o debba essere considerato ai fini della corrispondente diminuzione dell’ammontare del risarcimento”.

A tale riguardo, il Collegio precisa che “il risarcimento deve coprire tutto il danno cagionato, ma non può oltrepassarlo, non potendo costituire fonte di arricchimento del danneggiato,” poiché “come l’ammontare del risarcimento non può superare quello del danno effettivamente prodotto, così occorre tener conto degli eventuali effetti vantaggiosi che il fatto dannoso ha provocato a favore del danneggiato, calcolando le poste positive in diminuzione del risarcimento”.

La rendita INAIL per inabilità permanente soddisfa, infatti, la medesima perdita al cui integrale ristoro mira la disciplina della responsabilità risarcitoria del terzo, autore del fatto illecito, al quale sia addebitabile l’infortunio in itinere subito dal lavoratore.

Il sistema normativo prevede, così, un meccanismo di riequilibrio per garantire che il terzo responsabile dell’infortunio in itinere, estraneo al rapporto assicurativo, “sia collateralmente obbligato a restituire all’INAIL l’importo corrispondente al valore della rendita per inabilità permanente costituita in favore del lavoratore assicurato”.

L’art. 1916 c.c., infatti, stabilisce che l’assicuratore che ha pagato l’indennità è surrogato, fino alla concorrenza dell’ammontare di essa, nei diritti dell’assicurato verso il terzo danneggiante. Tale disposizione (che estende il diritto di surrogazione «anche alle assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro e contro le disgrazie accidentali», v. Cass. S.U. 16 aprile 1997, n. 3288) comporta, in ragione del pagamento dell’indennità, una sostituzione personale di detto assicuratore nei diritti del danneggiato (assicurato) verso il terzo responsabile del danno (Cass. 16 gennaio 1985, n. 99).

“La surrogazione, mentre consente all’istituto di recuperare dal terzo responsabile le spese sostenute per le prestazioni assicurative erogate al lavoratore danneggiato, impedisce a costui di cumulare, per lo stesso danno, la somma già riscossa a titolo di rendita assicurativa con l’intero importo del risarcimento del danno dovutogli dal terzo, e di conseguire così due volte la riparazione del medesimo pregiudizio subito. Pertanto, le somme che il danneggiato si sia visto liquidare dall’INAIL a titolo di rendita per l’inabilità permanente vanno detratte dall’ammontare dovuto, allo stesso titolo, dal responsabile al predetto danneggiato”.

Ove mancasse tale detrazione, il danneggiato verrebbe a conseguire un importo maggiore di quello a cui ha diritto. Anche se il legislatore attraverso l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni accorda una tutela al lavoratore, addossando all’INAIL le prestazioni previdenziali, tali prestazioni assumono carattere di anticipazione rispetto all’assolvimento dell’obbligo a carico del responsabile (Corte cost. sentenza n. 134 del 1971). Il lavoratore non può reclamare un risarcimento superiore al danno effettivamente sofferto, ma gli è consentito agire nei confronti del terzo, cui è addebitabile l’infortunio in itinere, per ottenere la differenza tra il danno subito e quello indennizzato, allo stesso titolo, dall’INAIL (v. Cass. 23 novembre 2017, n. 27869).

Il risarcimento cioè resta dovuto dal responsabile del sinistro per l’intero, essendo questi tenuto a rimborsare all’ente gestore dell’assicurazione sociale le spese sostenute per le prestazioni erogate al lavoratore e a risarcire il maggior danno al danneggiato. Dal canto suo, l’ente previdenziale, avendo provveduto all’erogazione delle prestazioni indennitarie a causa del fatto illecito di un terzo estraneo al rapporto assicurativo, potrà pretendere, attraverso la surrogazione, il rimborso delle spese sostenute per erogare quelle prestazioni. Si impedisce, dunque, al responsabile civile di avvantaggiarsi ingiustamente dell’intervento della protezione previdenziale in favore dell’infortunato, versando al lavoratore soltanto il danno differenziale.

Infortunio in itinere, rendita per invalidità permanente, risarcimento del danno e compensazione
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