Il prolungamento del rapporto di lavoro fino all’età di 70 anni non costituisce un diritto potestativo del dipendente, ma può essere attuato sulla base di un accordo fra le parti. Il consenso dell’azienda al mantenimento in servizio può essere espresso tramite comportamento concludente.

Nota a Cass. 2 agosto 2018, n. 20458 e Cass. 30 luglio 2018, n. 20089

Annarita Lardaro

La previsione che consente di proseguire il lavoro fino a 70 anni, contenuta nel D.L. n. 201/2011, conv. dalla L. n. 214/2012, non attribuisce al lavoratore un diritto soggettivo di opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre limiti ordinamentali, “ma solo una possibilità”. La disposizione cioè non “crea alcun automatismo”, ma rende possibile tale continuazione solo in caso di accordo tra le parti. In altri termini, perché si manifesti la suddetta possibilità è necessario che «le parti consensualmente stabiliscano la prosecuzione del rapporto sulla base di una reciproca valutazione di interessi».

Lo ha affermato la Corte di Cassazione (2 agosto 2018, n. 20458), la quale (confermando la sentenza di App. Milano n. 331/2016) ha statuito che l’espressione del consenso non deve necessariamente avvenire con atto scritto esplicito, potendosi tener conto del comportamento concludente delle parti, alla luce anche del canone generale di buona fede e correttezza. Tale comportamento può altresì consistere nel prolungato mantenimento in servizio del lavoratore.

La sentenza si pone in linea con Cass. 30 luglio 2018, n. 20089, per la quale la normativa sul punto, “nell’incentivare il proseguimento del rapporto sino al 70° anno, non individua un diritto soggettivo in capo al lavoratore indipendentemente dalla volontà comune del datore di lavoro. Essa dispone una situazione di semplice favor nei confronti del prolungamento del rapporto che, fermi i limiti ordinamentali dei rispettivi settori, presuppone e richiede la comune volontà delle parti del rapporto sulla prosecuzione dello stesso”.

Nel caso esaminato da Cass. n. 2458/2018, il lavoratore (un giornalista) aveva continuato a lavorare dopo il raggiungimento dei 66 anni di età (limite minimo per il pensionamento di vecchiaia) e dopo un anno, all’età di 67 anni, aveva chiesto all’azienda di proseguire l’attività fino a 70 anni, avvalendosi dell’opzione prevista dal D.L. n. 201/2011 (art. 24, co. 4). L’azienda, senza dare alcun riscontro, aveva consentito il proseguimento del rapporto di lavoro e solo dopo 16 mesi aveva proposto la risoluzione consensuale del contratto, che il dipendente aveva rifiutato.

I giudici nel ritenere illegittimo il licenziamento del dipendente si sono uniformati alla sentenza delle S.U. (n. 17859/2015), secondo cui l’art. 24, co. 4, in base all’interpretazione autentica fornita dal D.L.  n. 101/2013, conv. dalla L, n. 125/2013,  nel prevedere che “il proseguimento dell’attività lavorativa è incentivato … dall’operare dei coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di settant’anni … non attribuisce al lavoratore un diritto di opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro, né consente allo stesso di scegliere tra la quiescenza o la continuazione del rapporto, ma prevede solo la possibilità che, grazie all’operare di coefficienti di trasformazione calcolati fino all’età di settanta anni, si creino le condizioni per consentire ai lavoratori interessati la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre i limiti previsti dalla normativa di settore. E’ questo il senso della locuzione “è incentivato … dall’operare dei coefficienti di trasformazione …”, la quale presuppone che non solo si siano create dette più favorevoli condizioni previdenziali, ma anche che, grazie all’incentivo in questione, le parti consensualmente stabiliscano la prosecuzione del rapporto sulla base di una reciproca valutazione di interessi”. Pertanto, “ove siano maturate le condizioni previste dalla prima parte del comma (e quindi siano intervenuti i coefficienti di trasformazione ed il rapporto di lavoro sia consensualmente proseguito) la tutela prevista dall’art. 18 dello statuto dei lavoratori continua ad applicarsi “entro il predetto limite di flessibilità”, ovvero entro il periodo massimo consentito per il prolungamento del rapporto di lavoro, costituito dal raggiungimento del settantesimo anno di età”. (Cass. SU n. 17589/2015).

Diritto a lavorare fino a 70 anni
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