Il docente di discipline giuridiche ed economiche (delle università, degli istituti superiori e delle scuole secondarie) non può patrocinare cause a favore o contro l’amministrazione di appartenenza.

Nota a Cass. 17 ottobre 2018, n. 26016

Kevin Puntillo

La valutazione in concreto della legittimità dell’assunzione del patrocinio legale, da parte dell’insegnante dipendente pubblico, nonché l’individuazione delle attività che, “in ragione dell’interferenza con i compiti istituzionali”, non sono consentite ai lavoratori, “con particolare riferimento all’assunzione di difese in controversie di cui la stessa amministrazione scolastica è parte”, è di competenza dell’amministrazione. Ciò, per effetto della mancata disapplicazione del co. 58 bis dell’art. 1 del D.LGS. n. 662/1996 da parte dell’art. 1, co. 1, della L. n.339/2003.

L’importante principio è affermato dalla Corte di Cassazione (17 ottobre 2018, n. 26016), la quale, nel ripercorrere i ripetuti interventi legislativi operati in tema d’incompatibilità dell’esercizio della professione forense, evidenzia come il legislatore, attraverso l’art. 1 della L. n. 339/2003, ha ripristinato il divieto originariamente previsto in capo ai dipendenti pubblici (richiamando i limiti sanciti dal R.D. n. 1578/1933); ha disapplicato l’art. 1 co. 56, 56 bis e 57 della L. n. 662/1996, che ammettevano la compatibilità tra la professione forense e lo status di pubblico dipendente, a condizione della trasformazione del rapporto d’impiego in part time; ed ha mantenuto la deroga in favore dei docenti delle scuole superiori.

La mancata disapplicazione del solo co. 58 bis della L. n. 662/1996 (operata dall’art. 1, L. n. 339/2003) induce a ritenere che – nei residui casi in cui tuttora la legge consente l’esercizio della professione forense, ossia nell’ipotesi dei docenti delle università, degli istituti superiori e delle scuole secondarie – il legislatore abbia inteso conservare in capo alle amministrazioni di appartenenza un margine di discrezionalità nella valutazione della possibile interferenza tra l’attività professionale e lo status di pubblico dipendente. In altre parole, ferma restando la valutazione in concreto dei singoli casi di conflitto d’interesse, alle amministrazioni compete indicare tutte quelle attività che in ragione dell’interferenza con i compiti istituzionali non sono consentite ai dipendenti.

In sintesi, come confermato dall’evolversi della disciplina sulle incompatibilità di cui alla L. n. 339/2003, nonostante il ripristino generale del divieto di svolgimento delle libere professioni in capo ai dipendenti pubblici (anche con rapporto d’impiego part-time) resta in vita la facoltà per i docenti delle scuole superiori di svolgere la professione forense, anche se sussiste la possibilità, affidata alle amministrazioni scolastiche, di valutare in concreto i singoli casi di conflitto d’interesse o comunque d’interferenza con i compiti istituzionali del docente.

Nello specifico, la Cassazione ha ritenuto erronea la conclusione cui era pervenuta la Corte territoriale, secondo la quale, l’eccezionale previsione di compatibilità per i docenti, che ha resistito a ogni riforma limitativa intervenuta in materia, implicherebbe l’esclusione di qual si voglia limitazione, anche qualora l’attività forense si eserciti in giudizi di cui sia parte l’amministrazione scolastica, poiché tale statuizione mal si concilia con il dettato dell’art. 1, co. 58 bis, della L. n. 662/1996, mantenuto in vigore dalla L. n. 339/2003.

Docente di discipline giuridiche ed economiche e attività libero professionale
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