Indennizzo per il licenziamento: illegittimo il criterio dell’anzianità.

Nota a Corte Cost. 8 novembre 2018, n. 194

 Paolo Pizzuti

La Corte Costituzionale è intervenuta sulla disciplina delle c.d. tutele crescenti stabilendo che l’indennizzo in caso di licenziamento ingiustificato non può essere commisurato esclusivamente all’anzianità di servizio del lavoratore licenziato (Corte Cost. 8 novembre 2018, n. 194). Dunque, ad essere dichiarato incostituzionale è il fulcro della disciplina introdotta dal Jobs Act, e cioè il meccanismo di determinazione del risarcimento del danno da licenziamento, che attribuiva al dipendente 2 mensilità di retribuzione per ogni anno di anzianità di servizio (art. 3, co. 1, D.LGS. n. 23/2015).

Secondo la Corte, questo meccanismo automatico di commisurazione del risarcimento presenta due profili di illegittimità. Da un lato, l’automatismo in questione contrasta con il principio di uguaglianza, perché non consente di tenere in considerazione situazioni diverse. La previsione di una misura risarcitoria uniforme, indipendente dalle peculiarità del singolo licenziamento e dalle condizioni delle parti, costituisce infatti una indebita omologazione di contesti che possono essere del tutto differenti. Dall’altro lato, esso contrasta anche con il principio di ragionevolezza, perché non rappresenta un adeguato ristoro del concreto pregiudizio subìto dal lavoratore, né rappresenta un’adeguata dissuasione per il datore di lavoro dal licenziare ingiustamente. E ciò anche ai sensi dell’art. 24 della Carta sociale europea, secondo cui deve essere riconosciuto “il diritto dei lavoratori licenziati senza un valido motivo ad un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione”.

Queste mancanze della disciplina sulle tutele crescenti (in particolare dell’art. 3, co. 1, del D.LGS. n. 23/2015) contrastano con gli art. 3, 4 e 35 della Costituzione, nonché, con riferimento agli obblighi internazionali, anche con gli artt. 76 e 117, co. 1, della stessa Costituzione.

Beninteso, la normativa sulle tutele crescenti rimane in essere, sicché per i lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015 è esclusa sia la tutela reale (art. 18 St. lav.) che la tutela obbligatoria per le aziende di minori dimensioni (L. n. 604/1966), le quali continuano a trovare applicazione per i lavoratori assunti prima di quella data.

Tuttavia, nelle tutele crescenti la misura del risarcimento del danno da licenziamento ingiustificato non potrà più essere commisurata soltanto all’anzianità di servizio del dipendente ma dovrà tenere conto anche di altri parametri, che la Corte Costituzionale ha espressamente indicato. Si tratta di parametri tradizionali, già presenti nel nostro ordinamento (art. 8. L. n. 604/1966; art. 18 St. lav.), e cioè: l’anzianità di servizio; il numero di dipendenti occupati dall’impresa, le dimensioni dell’attività economica, il comportamento e le condizioni delle parti.

Da oggi in poi sarà quindi il giudice a decidere l’entità del risarcimento, tenendo conto di tutti questi elementi, nonché dei limiti stabiliti dalla legge (l’indennizzo minimo è stato di recente elevato da 4 a 6 mensilità, mentre quello massimo è passato da 24 a 36 mensilità).

Dunque, se il lavoratore è stato assunto a partire dal 7 marzo 2015 e il licenziamento ingiustificato è stato irrogato dal 14 luglio 2018, egli avrà diritto ad una indennità che va da 6 a 36 mensilità, con quantificazione rimessa al giudice del lavoro in base ai parametri sopra indicati. Se invece il licenziamento è stato irrogato prima del 14 luglio 2018, il lavoratore avrà diritto ad una indennità che va da 4 a 24 mensilità, sempre a scelta del giudice. Poiché la sentenza della Corte Costituzionale vale anche per il passato, queste regole si applicano ai licenziamenti già irrogati ed ai giudizi in corso di svolgimento. La reintegrazione, invece, per questi lavoratori “nuovi assunti” (cioè dal 7 marzo 2015) può essere chiesta soltanto nell’ipotesi di licenziamento disciplinare basato su un fatto del tutto insussistente, oppure nel caso di licenziamento nullo (discriminatorio, ritorsivo, in violazione di legge, verbale, ecc.).

Si tenga presente, però, che nelle unità produttive fino a 15 dipendenti (se l’azienda complessivamente non supera i 60 dipendenti) il lavoratore può tuttora godere soltanto delle “tutele crescenti dimezzate”, cioè di un indennizzo che va da un minimo di 1,5 mensilità fino ad un massimo di 6 mensilità, a scelta del giudice (da 1 a 6 mensilità per i licenziamenti irrogati prima del 14 luglio 2018), mentre la reintegrazione è esclusa, salvi i casi di licenziamento nullo.

Infine, la disciplina delle tutele crescenti non riguarda i contratti di lavoro stipulati dalle pubbliche amministrazioni, per le quali continua ad essere applicabile l’art. 18 nella versione precedente alla L. n. 92/2012 (come previsto dalla riforma Madia nel 2017).

La Corte Costituzionale cambia le tutele crescenti
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