La sottoscrizione apposta dal lavoratore in calce alle buste paga non ha valore di quietanza ma attesta solo la ricezione della stessa.

Nota a Cass. 2 novembre 2018, n. 28029

Rossella Coccia

“Le buste paga, ancorché sottoscritte dal lavoratore con la formula ‘per ricevuta’…, costituiscono prova solo della loro avvenuta consegna ma non anche dell’effettivo pagamento, della cui dimostrazione è onerato il datore di lavoro, attesa l’assenza di una presunzione assoluta di corrispondenza tra quanto da esse risulta e la retribuzione effettivamente percepita dal lavoratore, il quale può provare l’insussistenza del carattere di quietanza delle sottoscrizioni eventualmente apposte”.

Il principio è ribadito dalla Corte di Cassazione (2 novembre 2018 n. 28029, che conferma App. Palermo; in tale senso, v. anche Cass. n. 10306/2018; n. 25463/2017; e n. 13150/2016), la quale precisa che la sottoscrizione “per ricevuta” apposta dal lavoratore alla busta paga non implica, in maniera univoca, l’effettivo pagamento della somma indicata nel medesimo documento e, “pertanto, la suddetta espressione non è tale da potersi interpretare alla stregua del solo riscontro letterale, imponendo invece il ricorso anche agli ulteriori criteri ermeneutici dettati dagli artt. 1362 ss. c.c.” (v. già Cass. n.6267/1998).

Dal momento che, con riguardo alle sottoscrizioni eventualmente apposte dal lavoratore sulle busta paga, non esiste una presunzione assoluta di corrispondenza della retribuzione percepita dal lavoratore rispetto a quella risultante dai prospetti di paga, è sempre possibile l’accertamento della insussistenza del loro carattere di quietanza (cfr. Cass. n. 9588/2001).

La quietanza a saldo è dunque soltanto una “ mera dichiarazione di scienza”, la quale attesta che il lavoratore ha percepito una determinata somma a totale soddisfacimento di ogni sua spettanza e di non aver altro da pretendere dal proprio datore di lavoro, ma costituisce “una mera dichiarazione di scienza, non preclusiva in caso di errore, della possibilità di agire per il riconoscimento giudiziale dei propri diritti che risultassero in realtà insoddisfatti” (così, Trib. Milano 18 febbraio 2016; v. anche, Cass. n. 12983/1992).

Nella stessa linea, App. Catanzaro 18 aprile 2017, secondo cui la quietanza a saldo sottoscritta dal lavoratore, la quale “contenga una dichiarazione di rinuncia a maggiori somme riferita, in termini generici, ad una serie di titoli di pretese in astratto ipotizzabili in relazione alla prestazione di lavoro subordinato ed alla conclusione del relativo rapporto, può assumere il valore di rinuncia o di transazione, che il lavoratore ha l’onere di impugnare nel termine di cui all’art. 2113 c.c., alla condizione che risulti accertato, sulla base dell’interpretazione del documento o per il concorso di altre specifiche circostanze desumibili aliunde, che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati od obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi”.

Sulla questione, v. in questo sito, F. BELMONTE, La busta paga sottoscritta dal lavoratore non assume valore liberatorio a favore di parte datoriale, Nota a Cass. (ord.) 6 settembre 2018, n. 21699.

Busta paga e quietanze a saldo
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