I trattamenti aggiuntivi corrisposti dall’azienda al dipendente bancario trasferito, al fine di compensare le spese connesse al trasferimento, non rientrano nella deroga prevista dal c.c.n.l.di categoria ai fini del calcolo del t.f.r., ma ricadono sotto la disciplina dell’art. 2120 c.c.

Nota a Cass. (ord.) 26 ottobre 2018, n. 27241

 Francesca Albiniano

Ai fini del calcolo del t.f.r ai sensi dell’art. 2120. co.2, c.c., ove i contratti collettivi non contengano diversa previsione, la retribuzione annua “comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese”.

Pertanto, qualora non vi siano precise ed inequivoche clausole contrattuali pattuite in vista del trasferimento del lavoratore, ai fini della individuazione della natura di retribuzione ovvero di rimborso spese di una voce del trattamento corrisposto “per lo svolgimento di lavoro all’estero o in altra sede lavorativa, deve aversi riguardo ad indici sintomatici, che consentano una valutazione della suddetta natura in via induttiva, senza trascurare, in tale indagine, anche elementi che emergano in sede di stipulazione del contratto individuale, che assumono…valore orientativo ai fini considerati”.

È quanto stabilito dalla Cassazione, con ordinanza n. 27241 del 26 ottobre 2018, secondo la quale nel calcolo del trattamento di fine rapporto, ai fini dell’identificazione dei caratteri propri della retribuzione, rilevano:

“a) la continuità, periodicità ed obbligatorietà della somma corrisposta o del beneficio riconosciuto;

b) l’assenza di giustificativi di spesa;

c) la natura compensativa del disagio o della penosità della prestazione resa;

d) il rapporto di necessaria funzionalità con la prestazione lavorativa;

e) la sottesa garanzia di salvaguardia del livello retributivo e di adeguamento ai maggiori oneri derivanti dal nuovo ambiente di lavoro;

f) il prelievo contributivo effettuato (la cui mancanza non può, tuttavia, deporre necessariamente nel senso della connotazione quale esborso della indennità riconosciuta e della esclusione della natura retributiva)”.

Invece, un emolumento non ha natura retributiva se è finalizzato ad evitare che gravino sul lavoratore spese che egli non avrebbe sostenuto se non fosse stato trasferito e che ha affrontato nell’interesse dell’imprenditore. Tali spese, perciò, non attengono all’adempimento degli obblighi impliciti nella prestazione lavorativa, cui il prestatore è contrattualmente tenuto.

È questo il caso di somme “normalmente collegate ad una modalità della prestazione lavorativa richiesta per esigenze straordinarie, priva dei caratteri della continuità e determinatezza (o determinabilità) e fondate su una causa autonoma rispetto a quella retributiva, con tendenziale esclusione, per volontà collettiva, dalla base di computo del t.f.r.”.

Nella fattispecie, i giudici, confermando la sentenza di merito, hanno affermato che con riguardo al trattamento economico aggiuntivo attribuito al lavoratore che presti la propria opera all’estero (o sia trasferito presso altra sede lavorativa,va riconosciuta natura retributiva alle somme erogate al suddetto titolo, qualora queste siano compensative della “maggiore gravosità e del disagio morale ed ambientale dell’attività lavorativa prestata presso la sede oggetto di trasferimento” (v. Cass. n. 4340/2018 e n. 1314/2017).

Ne consegue che i trattamenti corrisposti al funzionario trasferito o in missione, come erogazioni della società al fine di compensare il lavoratore delle spese connesse al trasferimento, non rientrano nella deroga prevista dal ccnl ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto, ma ricadono sotto la disciplina generale dell’art. 2120 c.c.

Voci retributive incidenti sul calcolo del trattamento di fine rapporto
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