La mera designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, non costituendo una delega di funzioni, non solleva il datore di lavoro ed i suoi preposti dalla responsabilità in tema di violazione degli obblighi di sicurezza.

 Nota a Cass. 12 novembre 2018, n. 51321

 Donato Martino

In tema di prevenzione degli infortuni, “il datore di lavoro, avvalendosi della consulenza del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, ha l’obbligo giuridico di analizzare ed individuare esperienze e la migliore evoluzione della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all’interno dell’azienda, e redigere e sottoporre periodicamente ad aggiornamento il documento di valutazione dei rischi (D.S.S.), di cui all’art. 28, D.LGS. n. 81/2008 (TU in materia di sicurezza sul lavoro) all’interno del quale è tenuto a indicare le misure precauzionali e i dispositivi di protezione adottati per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori” (Cass. S.U. n. 38343/2014).

Il principio è richiamato dalla Corte di Cassazione (12 novembre 2018, n. 51321, in conformità, v. Cass. n. 7364/2014), la quale afferma che la mera designazione del responsabile del servizio di protezione – quale consulente in materia antinfortunistica del datore di lavoro, privo di effettivo potere decisionale -, “non costituisce una delega di funzioni e non è dunque sufficiente a sollevare il datore di lavoro ed i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro” (v. in tal senso, Cass. n. 24958/2017).

Secondo i predetti chiarimenti delle SU della Cassazione (n. 38343/2014), “il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, pur svolgendo all’interno della struttura aziendale un ruolo non gestionale ma di consulenza, ha l’obbligo giuridico di adempiere diligentemente l’incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, all’occorrenza disincentivando eventuali soluzioni economicamente più convenienti ma rischiose per la sicurezza dei lavoratori, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino per effetto della violazione dei suoi doveri”. Sicché la redazione, da parte del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, di un documento di valutazione dei rischi che indichi “misure organizzative inappropriate”, ad esempio sottovalutando il pericolo d’incendio e omettendo di indicare ai dipendenti le opportune istruzioni per la salvaguardia della loro incolumità, costituisce una condotta penalmente rilevante.

È, dunque, consolidato il principio secondo cui “il responsabile del servizio di prevenzione e protezione risponde a titolo di colpa professionale, unitamente al datore di lavoro, degli eventi dannosi derivati dai suoi suggerimenti sbagliati o dalla mancata segnalazione di situazioni di rischio, dovuti ad imperizia, negligenza, inosservanza di leggi o discipline, che abbiano indotto il secondo ad omettere l’adozione di misure prevenzionistiche doverose.

“Il responsabile della sicurezza sul lavoro, che ha negligentemente omesso di attivarsi per impedire l’evento, non può invocare, quale causa di esenzione dalla colpa, l’errore sulla legittima aspettativa che non si verifichino condotte imprudenti da parte dei lavoratori” (Cass. n. 18998/2009). Ciò, in quanto il rispetto della normativa antinfortunistica è finalizzata a salvaguardare l’incolumità del lavoratore “anche dai rischi derivanti dalle sue stesse disattenzioni, imprudenze o disubbedienze, purché connesse allo svolgimento dell’attività lavorativa” (v. Cass. n. 18998/2009).

È dunque configurabile una responsabilità del RSPP (pur in assenza di una previsione normativa di sanzioni penali a suo specifico carico), sia a titolo esclusivo che in concorso con il datore di lavoro, circa il verificarsi di un infortunio, “ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle iniziative idonee a neutralizzare tale situazione” (Così, Cass. n. 32195/2010).

La Corte considera altresì che, in linea generale, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il datore di lavoro, quale responsabile della sicurezza, è onerato dell’obbligo di predisporre le misure antinfortunistiche e di sorvegliare continuamente la loro adozione da parte degli eventuali preposti e dei lavoratori, in quanto, in virtù dell’art. 2087 c. c., rappresenta il garante dell’incolumità fisica dei prestatori di lavoro. Inoltre, qualora sussista la possibilità di ricorrere a plurime misure di prevenzione di eventi dannosi, egli è tenuto ad adottare il sistema antinfortunistico sul cui utilizzo incida meno la scelta discrezionale del lavoratore, al fine di garantire il maggior livello di sicurezza possibile.

Inoltre, il comportamento negligente del lavoratore infortunato che abbia causato l’evento non esclude la responsabilità del datore di lavoro, “quando questo sia riconducibile comunque all’insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio derivante da tale comportamento imprudente”.

Il datore di lavoro, in quanto titolare di una posizione di garanzia in ordine all’incolumità fisica dei lavoratori, “ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici vigilando sulla sussistenza e persistenza delle condizioni di sicurezza ed esigendo dagli stessi lavoratori il rispetto delle regole di cautela, sicché la sua responsabilità può essere esclusa solo in virtù di un comportamento del lavoratore avente i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità e, comunque, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, connotandosi come del tutto imprevedibile o inopinabile” (Cass. 24 ottobre 2018, n. 27034; Cass. n. 37986/2012 e Cass. n. 3787/2014). In altre parole, la colpa del lavoratore, “concorrente con la violazione della normativa antinfortunistica ascritta al datore di lavoro ovvero al destinatario dell’obbligo di adottare le misure di prevenzione, esime questi ultimi dalle loro responsabilità solo allorquando il comportamento anomalo del primo sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante ed imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere” (Cass. n. 13397/2015).

Sicurezza: obblighi del datore di lavoro e del servizio di prevenzione e protezione
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