Il tempo-tuta svolto dal lavoratore part time rientra nell’orario e va retribuito quando è assoggettato al potere di conformazione del datore di lavoro.

Nota a Trib. Milano, sez. lav., 10 ottobre 2018, n. 2064

Fabrizio Girolami

In relazione alla retribuibilità o meno del cd. tempo-tuta, il Tribunale di Milano, sez. lav, con sentenza 10 ottobre 2018, n. 2064, ha affrontato – nell’ambito dell’istituto del lavoro a tempo parziale (part time) – due (delicate) questioni:

a) la prima, riguardante le conseguenze derivanti dalla mancata individuazione, nel contratto part time, della precisa distribuzione dell’orario di lavoro nel giorno, nell’ora, nella settimana e nell’anno, da osservare da parte del lavoratore a tempo parziale;

b) la seconda, concernente la computabilità del tempo impiegato dal lavoratore a tempo parziale per indossare e dismettere la divisa aziendale (cd. “tempo-tuta”) nell’ambito dell’“orario di lavoro” – come definito e disciplinato dal D.LGS. 8 aprile 2003, n. 66 – e, di conseguenza, la retribuibilità o meno del segmento temporale necessario al compimento delle relative operazioni.

Nel caso sottoposto all’attenzione del giudice milanese, una lavoratrice era stata assunta con un contratto di lavoro subordinato a tempo parziale (stipulato ai sensi della normativa allora vigente, ovverosia del D.LGS. 25 febbraio 2000, n. 61, ora abrogato dal D.LGS. 15 giugno 2015, n. 81, che costituisce l’attuale fonte normativa di riferimento dell’istituto: cfr. artt. 4-12) della durata di 24 ore settimanali, con inquadramento al VI livello del c.c.n.l. del settore “turismo e pubblici esercizi” e con mansioni di banconiera presso un locale adibito a servizio di tavola calda. In merito alla disciplina di lavoro, il contratto individuale non prevedeva una precisa distribuzione dell’orario da rispettare da parte della lavoratrice, attribuendo al datore di lavoro il potere unilaterale di definire la distribuzione dei turni settimanali, dandone comunicazione con adeguato preavviso al lavoratore interessato.

Nell’affrontare le questioni indicate in epigrafe, il Tribunale di Milano ha enucleato, per ciascuna di essa, rilevanti principi in punto di diritto.

Con riferimento alla prima questione, la Corte territoriale ha accertato e dichiarato il diritto della lavoratrice alla determinazione delle modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa, stabilendo – in attuazione di un equo contemperamento tra le esigenze connesse alle responsabilità familiari della lavoratrice e le esigenze produttive della società datrice di lavoro – specifici e dettagliati turni di lavoro ed ha condannato, in via equitativa, la società datrice di lavoro a corrispondere la somma di euro 4.584,00 a titolo di risarcimento del danno subito dalla lavoratrice.

Quanto alla seconda questione, relativa alla computabilità del tempo impiegato per indossare e dismettere la divisa aziendale (cd. “tempo-tuta”) nell’orario di lavoro (con conseguente diritto del lavoratore alla retribuzione), il Tribunale, richiamandosi ai consolidati principi già enunciati dalla Corte di Cassazione (cfr., tra le altre, Cass. 28 marzo 2018, n. 7738, in questo sito, con nota di F. GIROLAMI, La computabilità del c.d. “tempo-tuta” nell’orario di lavoro; Cass. 2 dicembre 2016, n. 24684; Cass. 13 aprile 2015, nn. 7396 e 7397; Cass. 7 febbraio 2014, n. 2837; Cass. 16 gennaio 2014, n. 801; Cass. 21 ottobre 2003, n. 15734), ha affermato che, nel rapporto di lavoro subordinato, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (cfr. CGUE, 10 settembre 2015, C-266/14), il tempo-tuta rientra nell’“orario di lavoro” quando l’attività di vestizione (e svestizione) risulta assoggettata ad uno specifico potere di conformazione del datore di lavoro (cd. eterodirezione).

Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, al fine di valutare la sussistenza o meno del requisito della “eterodirezione” del tempo-tuta, occorre fare riferimento alla disciplina contrattuale specifica applicata in azienda. Nel caso di specie – come emerso dalle risultanze istruttorie nonché dal regolamento interno che era affisso nella bacheca aziendale – il datore di lavoro aveva disposto espressamente che la divisa aziendale dovesse essere indossata dai dipendenti soltanto in servizio, essendo fatto divieto ai dipendenti medesimi di indossarla presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro. In particolare, secondo le prescrizioni del datore di lavoro, la divisa doveva essere indossata esclusivamente in luoghi appositi (lo spogliatoio) prima della timbratura della presenza e, addirittura, era stato chiesto alla lavoratrice ricorrente di presentarsi in anticipo rispetto all’orario di inizio turno, in modo da poter indossare la divisa in tempo utile prima dell’inizio della prestazione lavorativa.

Alla luce di tali circostanze, il Tribunale ha ritenuto che il tempo dedicato dalla ricorrente ad indossare e dismettere la divisa era assoggettato al potere di conformazione del datore di lavoro e connotato da eterodirezione, non avendo la lavoratrice la facoltà di determinarne il luogo e le modalità esecutive. Ne deriva, dunque, che le suddette operazioni di vestizione e svestizione rientrano nell’ambito dell’“orario di lavoro” e il tempo necessario al loro compimento deve essere regolarmente retribuito.

Lavoro a tempo parziale: mancata individuazione della distribuzione dell’orario di lavoro e retribuibilità del c.d. “tempo-tuta”
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