Qualora l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa strettamente connessa al ciclo produttivo dello stesso committente, mantenendo la sola gestione amministrativa del rapporto senza una reale organizzazione della prestazione stessa, si verte nell’ipotesi di divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro.

Nota a Cass. 26 ottobre 2018, n. 27213

Flavia Durval

In base alla vigente disciplina del fenomeno di interposizione illecita di manodopera (D.LGS. n. 276/2003), qualora l’interposizione nelle prestazioni di lavoro si realizzi in violazione dei limiti e delle condizioni legislative “si riespande il divieto, immanente all’ordinamento, di dissociazione tra l’imputazione formale del rapporto di lavoro e l’utilizzazione della prestazione lavorativa, con diritto dei lavoratori di rivendicare direttamente nei confronti dell’utilizzatore la costituzione di un rapporto di natura subordinata…”.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione (26 ottobre 2018, n. 27213) in relazione all’appalto, endoaziendale e labour intensive, avente ad oggetto il trattamento e l’inserimento della documentazione bancaria gestita dalla Federazione banche di credito cooperativo dell’Abbruzzo e del Molise nella piattaforma informatica per conto delle banche associate.

Secondo la giurisprudenza consolidata, seppur formatasi in merito  alla L. n. 1369/1960, “il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro in riferimento agli appalti “endoaziendali”, caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di attività strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, opera tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore – datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo (Cass. n. 5648/2009; Cass. n. 18281/2007; Cass. n. 14302/2002).

Nello specifico, a tutt’oggi, per verificare se si verta in un’ipotesi di intermediazione e di interposizione nelle prestazioni di lavoro occorre accertare puntualmente:

a) se l’impresa appaltatrice assume su di sé il rischio economico dell’impresa, ossia l’alea economica insita nell’attività produttiva oggetto dell’appalto;

b) se l’impresa stessa opera concretamente in condizioni di reale autonomia organizzativa e gestionale rispetto all’impresa committente ed è provvista di una propria organizzazione d’impresa. Sotto tale profilo, ai fini della qualificazione di un appalto genuino oppure di una interposizione fittizia, o somministrazione irregolare, di manodopera rilevano l’esercizio della facoltà di istruire il personale sulle concrete modalità di esecuzione della prestazione, l’organizzazione in concreto della manodopera attraverso anche la presenza in loco con poteri di gestione e soluzione dei problemi;

c) se i lavoratori impiegati per il raggiungimento dei risultati produttivi sono effettivamente diretti dall’appaltatore ed agiscono alle sue dipendenze. L’assoggettamento dei dipendenti dello pseudo appaltatore al potere direttivo e di controllo dell’effettivo utilizzatore (appaltante) delle prestazioni lavorative costituisce, infatti, uno degli indici principali dell’interposizione e, quindi, della non genuinità dell’appalto (v. Cass. n. 18281/2007; Cass. n. 86431/2001; Cass. n. 11957/2000);

d) a chi faccia capo la proprietà degli strumenti e delle attrezzature di lavoro;

e) quale sia il contenuto della prestazione svolta in relazione all’oggetto dell’attività appaltata;

f) e l’eventuale sovrapponibilità o interscambiabilità tra mansioni dei dipendenti dell’appaltatore e dell’appaltante.

Tali parametri sono sempre attuali. Infatti, l’art. 29, co.1, D.LGS. n. 276/2003 prevede che, al fine della verifica della ricorrenza o meno di un contratto di appalto attraverso cui si intenda eludere le disposizioni che disciplinano il mercato del lavoro e, quindi, di una somministrazione irregolare di manodopera, rileva “l’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa” (v. Cass. n. 16515/2011).

In questo quadro, i giudici hanno ritenuto che la Corte d’appello dell’Aquila (n. 1425/2012) avesse correttamente individuato ed applicato i criteri generali e astratti ai fini dell’imputazione soggettiva del rapporto di lavoro del personale formalmente assunto dall’appaltatore ed impiegato nell’esecuzione dell’appalto presso la Federazione di Banche, poiché la ditta appaltatrice si era limitata a fornite manodopera in tutto gestita dalla Federazione con piena fungibilità  tra le operazioni attribuite ai dipendenti della Federazione stessa e quelle svolte dai dipendenti dell’appaltatore, peraltro privo di reale potere di organizzazione e gestione.

Criteri identificativi della interposizione fittizia di manodopera
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