Le assenze, ripetute e costanti, del lavoratore per malattia legittimano il licenziamento per giustificato motivo oggettivo solo se è superato il periodo di comporto fissato dalla contrattazione collettiva o, in difetto, determinato secondo equità.

Nota a Cass. 7 dicembre 2018, n. 31763

Sonia Gioia

Pur nel caso di eccessiva morbilità del lavoratore, soltanto il superamento del periodo di comporto è condizione sufficiente a legittimare il recesso. Ciò, alla luce del contemperamento dell’interesse del datore di lavoro (a “mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce”) e di quello del lavoratore (a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi senza perdere i mezzi di sostentamento e l’occupazione)”. In tale ipotesi, pertanto, non è necessaria, la prova del giustificato motivo oggettivo, né della impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa, né quella della correlativa impossibilità di assegnare il prestatore a mansioni diverse (cfr. Cass. n. 1404/2012; Cass. n. 1861/2010).

È quanto affermato dalla Cassazione (n. 31763/2018), che ha sancito l’illegittimità di un provvedimento di licenziamento per scarso rendimento intimato ad una lavoratrice in seguito a ripetute e continue assenze per malattia, che, secondo la parte datoriale, avrebbero creato un obiettivo disservizio sull’organizzazione aziendale e sulla corretta erogazione da parte dell’azienda del servizio pubblico di trasporto urbano.

Per i giudici di legittimità, mentre lo scarso rendimento è caratterizzato da inadempimento, pur se incolpevole, del lavoratore, non altrettanto può dirsi per le assenze dovute a malattia e “la tutela della salute è valore preminente che ne giustifica la specialità” (v. Cass. n. 15523/2018).

La Corte, pertanto, in conformità con il consolidato e costante orientamento giurisprudenziale (v. Cass. 16582/2015; Cass. n. 1404/2012; Cass. SU. n. 2072/1980), avallato dalla recente sentenza di Cass. SU. n. 12568/2018, ha statuito che, anche in ipotesi di reiterate assenze del dipendente per malattia, il datore di lavoro non può recedere dal rapporto per giustificato motivo, ai sensi della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3,  ma può esercitare il recesso solo dopo che si sia esaurito il periodo all’uopo fissato dalla contrattazione collettiva, ovvero, in difetto, determinato secondo equità.

Secondo il Collegio, la contraria opinione (v. Cass. n. 18678/2014), secondo cui sarebbe legittimo il licenziamento intimato per scarso rendimento dovuto essenzialmente all’elevato numero di assenze, ma non tali da esaurire il periodo di comporto, si pone in contrasto sia con la corretta applicazione dell’art. 2110 c.c. che dell’art. 3, L. n. 604/1966, rispetto ai quali “non assumono rilievo le contestazioni fondate su una presunta eccessiva onerosità delle condizioni del rapporto contrattuale in relazione all’esistenza di un elevato numero di assenze discontinue per malattia”.

La citata decisione Cassazione n. 18678 del 4 settembre 2014, aveva suscitato un vivace dibattito ritenendo legittimo il licenziamento comminato ad un lavoratore per eccessiva morbilità, ovvero per aver compiuto numerose assenze dal lavoro seppure senza superare il periodo di comporto contrattualmente previsto.

In particolare, la pronunzia in questione aveva specificato che la malattia non era venuta in rilievo di per sé (anche in virtù della tutela che l’art. 2110 c.c. garantisce al lavoratore assente per malattia, il quale non può essere licenziato se non dopo aver superato il limite massimo contrattualmente stabilito), bensì in ragione del fatto che le assenze in questione, per le particolari modalità con cui erano state realizzate (ovvero reiterate nel corso del mese sempre in concomitanza con il fine settimana ovvero con il turno notturno e comunicate con scarso preavviso), davano luogo ad uno scarso rendimento (il cui onere probatorio è a carico del datore di lavoro, il quale deve dimostrare l’estrema gravità dell’inadempimento, consistente in una prestazione non sufficientemente e proficuamente utilizzabile, così da giustificare il provvedimento risolutorio).

In sintesi, quindi, il recesso del datore di lavoro può essere esercitato solo dopo il protrarsi dell’impossibilità della prestazione per il periodo di tempo stabilito dalla legge, dalle norme collettive, dagli usi e secondo equità (cosiddetto periodo di comporto). Tale periodo, come noto, va riferito non solo alla malattia a carattere unitario e continuativo, ma anche all’ipotesi di un succedersi di malattie a carattere intermittente o reiterato, ancorché frequenti e discontinue in relazione ad un stato di salute malfermo: per l’appunto la c.d. “eccessiva morbilità” (cfr. ex multis Cass. n. 14065/1999).

(Per un approfondimento relativo al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, v. S. GIOIA, Licenziamento per giustificato motivo oggettivo, Monotema, n. 15/2018, in questo sito).

Nullo il licenziamento senza il superamento del periodo di comporto
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: