Gli organismi che indicono l’astensione collettiva di lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori hanno l’obbligo non di agire per impedire condotte illecite, bensì di dissociarsi pubblicamente da tali comportamenti, quando ne vengano a conoscenza.

Nota a Cass. 28 gennaio 2019, n. 2298

Fabrizio Girolami

Gli organismi (nella specie il Coordinamento Taxi Italiano) che indìcano un’astensione di lavoratori autonomi sono sanzionabili se non si dissociano pubblicamente da comportamenti attuativi illegittimi.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza 28 gennaio 2019, n. 2298, resa nell’ambito di una delle più delicate fattispecie di conflittualità collettiva nel settore dei servizi pubblici essenziali (servizio Taxi) registratesi negli ultimi anni e che ha ricevuto ampia risonanza sui quotidiani e notiziari nazionali.

Nell’estate del 2006, l’emanazione del decreto-legge “sulla liberalizzazione delle licenze” proposto dall’allora Ministro dello sviluppo economico, Pier Luigi Bersani (da cui il decreto prese il nome), determinò una situazione di forte tensione presso la categoria degli addetti al servizio Taxi, sfociata, oltre che nella regolare proclamazione da parte del Coordinamento Taxi Italiano di due giornate di “fermo nazionale servizi taxi” (11 luglio e 25 luglio 2006, successivamente revocate), in una serie di astensioni collettive, attuate (dal 30 giugno 2006 e nei giorni successivi, nonché 13 luglio 2006 e seguenti) nel mancato rispetto delle regole prescritte dalla normativa, nelle principali città (tra cui Milano, Roma, Genova, Torino e Firenze), con conseguente grave pregiudizio dei diritti degli utenti costituzionalmente tutelati.

Con deliberazione n. 06/497 adottata il 19 settembre 2006, la Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali – all’esito della chiusura del procedimento di “valutazione del comportamento” ai sensi dell’art.4, co. 4-quater, della L. n. 146/1990 – aveva deliberato nei riguardi del Coordinamento Taxi Italiano, nella persona del legale rappresentante (i.e. del coordinatore nazionale), l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria (di cui all’art.4, co. 4, L. n. 146/1990) fissata in € 25.000,00, prescrivendo l’applicazione di tale sanzione con ordinanza-ingiunzione della Direzione provinciale del lavoro di Roma – Sezione Ispettorato del lavoro.

Avverso la delibera della Commissione, il Coordinamento Taxi Italiano, unitamente a due sigle sindacali aderenti (ATA Casartigiani e la CNA-Fita), avevano proposto ricorso (ai sensi dell’art. 20-bis, L. n. 146/1990) dinanzi al Tribunale di Roma, in funzione di giudice del lavoro, sostenendo che le richiamate astensioni “selvagge” e illegittime, in realtà, si erano concretate in manifestazioni di protesta autonomamente decise ed attuate da gruppi di tassisti in ambito locale e in modo assolutamente spontaneo, e, quindi, da considerare del tutto avulse ed estranee da qualsivoglia forma di collegamento con il Coordinamento Taxi italiano.

Il Tribunale di Roma, con sentenza 28 maggio 2007, n. 10226, aveva accolto il ricorso, annullando la deliberazione della Commissione di garanzia.

La Corte di Appello di Roma, su gravame proposto dalla Commissione di garanzia, con sentenza 23 aprile 2012, n. 3685, aveva riformato la sentenza del giudice di primo grado, ritenendo valida l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria a suo tempo deliberata dalla Commissione medesima, affermando che l’organismo promotore dell’astensione collettiva aveva un vero e proprio “obbligo giuridico di agire” per impedire le condotte illecite verificatesi nel caso di specie.

Nel successivo giudizio di legittimità, la Cassazione, nel prendere posizione sul ricorso di impugnazione della sentenza della Corte territoriale, ha operato una preliminare ricognizione del quadro giuridico di riferimento, con l’indicazione delle disposizioni rilevanti per la controversia.

Il giudice di legittimità ha rilevato, in primis, che l’astensione collettiva dei lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori (come già ricordato dalla Corte Costituzionale con le sentenze 10 luglio 2018, n. 180, in questo sito, con nota di F. GIROLAMI, L’astensione collettiva dalle udienze degli avvocati penalisti in presenza di imputati sottoposti a custodia cautelare e 27 maggio 1996, n. 171) non è riconducibile al diritto di sciopero garantito dall’art. 40 della Costituzione bensì alla libertà di associazione tutelata dall’art. 18 della Costituzione medesima). Del resto, il legislatore volutamente ha distinto lo “sciopero” dei lavoratori subordinati dalle “astensioni collettive dalle prestazioni, a fini di protesta o di rivendicazione di categoria” attuate dai lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori (art. 2-bis, L. n. 146/1990).

Tuttavia, pur non essendo riconducibile al diritto di “sciopero”, anche questa peculiare forma di esercizio di libertà sindacale – in considerazione della sua attitudine ad incidere sul corretto funzionamento di un servizio pubblico essenziale (quale è il servizio taxi) -, deve essere esercitata nel rispetto di misure atte a garantire un equo “contemperamento” con i valori di rilievo costituzionale che in tale settore sono implicati (libertà di circolazione dei cittadini-utenti).

In questa prospettiva, come evidenziato dalla Cassazione, le astensioni collettive dalle prestazioni, a fini di protesta o di rivendicazione, nel settore del servizio taxi devono essere esercitate nel rispetto delle regole prescritte dalla “normativa primaria” di cui alla L. n. 146/1990 (rispetto di un preavviso minimo di 10 giorni; obbligo di proclamazione scritta, con indicazione della durata e della motivazione dell’astensione; garanzia delle prestazioni indispensabili), nonché delle misure prescritte dalla “normativa subprimaria” di cui alla “Regolamentazione provvisoria delle prestazioni indispensabili” adottata dalla Commissione di garanzia con delibera 24 gennaio 2002, n. 02/11 (pubblicata sulla G.U. 23 marzo 2002, n. 70).

A tutela dell’effettività di questo apparato di regole primarie/subprimarie, l’art. 4, co. 4, seconda parte, della L. n. 146/1990 stabilisce che le associazioni e gli organismi rappresentativi dei lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori – in solido con i singoli lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, che aderendo alla protesta si siano astenuti dalle prestazioni, in violazione della disciplina di legge o delle misure prescritte dalla Regolamentazione provvisoria – sono soggetti alla “sanzione amministrativa pecuniaria” da € 2.500 a € 50.000, tenuto conto della gravità della violazione, dell’eventuale recidiva, dell’incidenza di essa sull’insorgenza o sull’aggravamento di conflitti e del pregiudizio eventualmente arrecato agli utenti. L’applicazione di tale sanzione è deliberata, come detto, dalla Commissione di garanzia all’esito di un procedimento di valutazione del comportamento, in contraddittorio con tutte le parti interessate.

Operata questa fondamentale attività di ricostruzione normativa, la Cassazione, soffermandosi sul caso di specie, evidenzia che “laddove nell’ambito di uno stato di mobilitazione in cui è programmata un’astensione di appartenenti a categorie di lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, si inseriscano forme anomale di protesta collettiva finalisticamente indirizzate alla stessa rivendicazione di categoria, in palese violazione della regolamentazione che garantisce le prestazioni indispensabili, il soggetto collettivo che ha indetto o comunque promosso lo stato di agitazione ha il dovere di dissociarsi pubblicamente ed in modo inequivoco da tali episodi, dal momento in cui ne viene a conoscenza”.

Secondo la Corte – pur non potendosi esigere a carico delle associazioni rappresentative un indiscriminato ed inesigibile obbligo di impedire che qualsivoglia singolo manifestante ponga in essere una protesta deviata e irrispettosa delle regole, che inevitabilmente sconfinerebbe in una forma di “responsabilità oggettiva” o “per fatto altrui” – è doveroso per le associazioni medesime dissociarsi apertamente dalle manifestazioni di protesta che, nel solco della medesima rivendicazione di categoria, siano attuate in violazione delle regole che governano il rispetto della funzionalità dei servizi pubblici essenziali.

Il comportamento omissivo attuato dai soggetti collettivi (mancata dissociazione dalle astensioni collettive selvagge poste dai tassisti), secondo il giudice di legittimità, costituisce “comportamento valutabile” dalla Commissione di garanzia che, all’esito dell’istruttoria, può deliberare, in caso di valutazione negativa, l’applicazione della prevista sanzione amministrativa pecuniaria (art. 4, co. 4, seconda parte, L. n. 146/1990).

In definitiva, la controversia in esame, rileva la Corte, va risolta sulla base del seguente principio di diritto: “In ipotesi di astensione collettiva dalle prestazioni delle associazioni e degli organismi rappresentativi dei lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori, l’articolo 4, comma 4, seconda parte, della legge 12 giugno 1990, n. 146, recante norme sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, deve essere interpretato nel senso che costituisce comportamento valutabile dalla Commissione di garanzia, ai fini della eventuale deliberazione della sanzione amministrativa pecuniaria prevista dalla disposizione richiamata, ogni condotta, attiva od omissiva, in violazione dei precetti desumibili dalla disciplina che regolamenta tale astensione collettiva, tra cui anche il comportamento omissivo attuato da detti soggetti in violazione del dovere di dissociarsi pubblicamente ed in modo inequivoco da forme di protesta che, inserendosi nella rivendicazione di categoria indetta dalle associazioni e dagli organismi rappresentativi, siano esercitate senza il rispetto delle misure dirette a consentire l’erogazione delle prestazioni indispensabili al fine di garantire nei servizi pubblici essenziali il godimento di diritti della persona costituzionalmente tutelati”.

Alla luce di tale articolato iter argomentativo, la Cassazione ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata e rinviando ad altra sezione della Corte di Appello di Roma per un nuovo esame della controversia sulla base del principio di diritto sopra indicato.

Astensioni di lavoratori autonomi che non si dissociano pubblicamente da comportamenti attuativi illeciti
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