Il licenziamento determinato dalla prevista eliminazione di una posizione lavorativa per trasferimento del posto in altra sede, a seguito di una futura incorporazione di altra società, è annullabile.

Nota a Cass. 4 febbraio 2019, n. 3186

Fabio Iacobone

Nell’ipotesi di cessione d’azienda il datore di lavoro alienante conserva il potere di recesso previsto dalla normativa generale. Pertanto, il trasferimento d’azienda (pur se non possa essere l’unica ragione giustificativa del recesso) non può impedire il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Ciò, però, vale solo se la risoluzione del rapporto ha fondamento “nella struttura aziendale autonomamente considerata e non nella connessione con il trasferimento o nella finalità di agevolarlo”.

Ne consegue che il licenziamento intimato per soppressione del posto di lavoro in ragione di una programmata, futura fusione societaria è illegittimo.

Al riguardo, la Corte di Cassazione (4 febbraio 2019, n. 3186; v. anche Cass. n. 11410/2018) precisa che l’art. 2112 c.c. stabilisce solo che il trasferimento di azienda non integra di per sé motivo di licenziamento. Pertanto, il predetto licenziamento illegittimo non rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 18, co. 1, Stat. Lav. (come modificato dalla Legge Fornero e dunque riferito ai lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015), che prevede la c.d. tutela reale forte, ossia la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro nelle ipotesi di licenziamento nullo “perché discriminatorio ai sensi dell’articolo 3 della legge 11 maggio 1990, n. 108, ovvero intimato in concomitanza col matrimonio ai sensi dell’articolo 35 del codice delle pari opportunità tra uomo e donna, di cui al decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, o in violazione dei divieti di licenziamento di cui all’articolo 54, commi 1, 6, 7 e 9, del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, ovvero perché riconducibile ad altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell’articolo 1345 del codice civile …”.

Sicché il predetto art. 2112 c.c. “non prevede affatto la nullità del recesso, ma, in conformità della lettera della legge, da interpretarsi restrittivamente, una ipotesi di annullabilità per difetto di giustificato motivo.”

Nella specifica fattispecie sottoposta al suo giudizio, la Cassazione ha configurato una ipotesi di manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (di cui al secondo periodo dell’art. 18, co. 7, Stat. Lav.) poiché al momento del recesso le ragioni poste a fondamento dello stesso non solo non sussistevano, essendo correlate ad un futuro accorpamento di mansioni conseguibile in seguito ad una prossima fusione societaria, che, come rilevano i giudici, “a sua volta non costituisce per legge (art. 2112, co. 4, c.c.) un giustificato motivo di licenziamento.”

La Corte ha perciò cassato la sentenza di merito stabilendo che quest’ultima avrebbe dovuto applicare la tutela di cui all’art. 18, co. 4, Stat. Lav. (c.d. reintegra attenuata), con annullamento del licenziamento, condanna alla reintegrazione del lavoratore ed al versamento a carico della società di una indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello della reintegrazione, detratto l’eventuale aliunde perceptum e percipiendum, in ogni caso non superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali come stabilito dal detto co. 4.

Licenziamento per futura soppressione del posto di lavoro e tutela reintegratoria
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