Il c.d. tempo tuta va retribuito quando sia eterodiretto dal datore di lavoro.

 Nota a Cass. ord. 25 febbraio 2019, n. 5437

 Sonia Gioia

Il tempo tuta, necessario ad indossare e dismettere la divisa aziendale, rientra nella definizione di orario di lavoro ed è, pertanto, remunerato solo quando è soggetto al potere conformativo dell’imprenditore che, sulla base di specifiche disposizioni contrattuali (collettive o individuali), determina il tempo e il luogo in cui indossare gli abiti da lavoro, senza che residui alcun margine di autonomia decisionale per i prestatori. L’eterodirezione, nello specifico, può derivare dall’esplicita disciplina d’impresa, nonché risultare implicitamente dalla natura degli indumenti o dalla funzione che devono assolvere.

Al contrario, laddove sia data al prestatore la facoltà di scegliere ove indossare la tuta, la relativa attività fa parte degli atti di diligenza preparatoria (c.d. attività prodromica  all’esecuzione della prestazione) e, come tale, non dev’essere retribuita.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione (ord. 25 febbraio 2019, n. 5437), confermando il proprio orientamento consolidato (V. Cass. n. 7738/2018, annotata in questo sito da F. GIROLAMI, La computabilità e la retribuibilità del c.d. “tempo- tuta” nell’orario di lavoro; Cass. n. 1352/2016; Cass. n. 9215/2012; Cass. n. 19273/2006) e allineandosi alla giurisprudenza comunitaria in materia di orario di lavoro, disciplinato dalla Dir. 2003/88/CE (cfr. CGUE 10 settembre 2015, C-266/14).

Secondo i giudici, la Corte distrettuale (App. Firenze n. 418/2014) aveva correttamente applicato i principi  in materia, avendo accertato che, nel caso di specie, l’attività di vestizione e svestizione dei lavoratori era assoggettata, in ordine al luogo e alle modalità, a specifiche prescrizioni datoriali (con conseguente “eterodeterminazione” della stessa). In particolare:

  • il regolamento aziendale imponeva l’obbligo di custodia degli indumenti da lavoro presso l’azienda (all’interno dell’armadietto assegnato a ciascun lavoratore nello spogliatoio);
  • era pacificamente vietato l’impiego di tali abiti al di fuori dei luoghi di lavoro;
  • il regolamento relativo all’utilizzo dell’orologio marcatempo prevedeva che tali operazioni dovessero avvenire prima della timbratura in entrata e dopo la timbratura in uscita.

Pertanto, dal momento che i prestatori erano tenuti alla vestizione e svestizione sul luogo di lavoro, secondo le condizioni e i limiti stabili dalla società, la relativa operazione (quantificata in complessivi 10 minuti per ogni giornata di lavoro) andava necessariamente retribuita. Ciò  in quanto la stessa si manifestava come attività strumentale e ausiliaria al corretto svolgimento della prestazione lavorativa e, dunque, rientrante nella nozione di orario di lavoro, definito come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o funzione” (art. 1, co. 2, lett. a, D.Lgs. n. 66/2003).

 

Tempi di vestizione/svestizione e retribuzione
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