L’indennità sostitutiva delle ferie è dovuta anche nel pubblico impiego e anche in caso di dimissioni volontarie del lavoratore. Tale emolumento è inoltre rilevante ai fini del calcolo del trattamento di fine rapporto (TFR).

 Nota a Trib. Roma 14 febbraio 2019, n. 1474

 Maria Novella Bettini

In seguito alla pronunzia della Corte di Giustizia UE del 20 luglio 2016 (C-341/15), il lavoratore “che non sia stato posto in grado di usufruire di tutte le ferie retribuite prima della cessazione del suo rapporto di lavoro, ha diritto ad un’indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute”. Pertanto, anche se un lavoratore pone fine al proprio rapporto di lavoro di sua iniziativa, ciò non incide sul suo diritto a percepire un’indennità sostitutiva delle ferie annuali retribuite di cui non abbia potuto beneficiare prima della cessazione del rapporto di lavoro. Ne consegue che, per ottenere la c.d. monetizzazione delle ferie, è irrilevante il motivo della cessazione del rapporto (che può avvenire, quindi, anche per dimissioni).

È quanto ha stabilito il Tribunale di Roma (14 febbraio 2019, n. 1474) che ha ripercorso l’iter normativo e giurisprudenziale in materia, osservando che:

a) La disciplina delle ferie è anzitutto contenuta nel codice civile che, all’art. 2109 c.c., dispone: 1. “Il prestatore di lavoro ha diritto ad un giorno di riposo ogni settimana, di regola in coincidenza con la domenica. 2. Ha anche diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore di lavoro. La durata di tale periodo è stabilita dalla legge, dagli usi o secondo equità (ndr: la Corte costituzionale con sentenza 16-22 dicembre 1980, n. 189 ha dichiarato l’illegittimità della norma nella parte in cui non prevede il diritto a ferie retribuite anche per il lavoratore assunto in prova in caso di recesso dal contratto durante il suddetto periodo). 3. L’imprenditore deve preventivamente comunicare al prestatore di lavoro il periodo stabilito per il godimento delle ferie. 4. Non può essere computato nelle ferie il periodo di preavviso indicato nell’articolo 2118” (ndr: c.d. recesso ad nutum o libero).

b) In base all’art. 10, D.LGS. n. 66/2003 (che ha attuato le Direttive 93/104/CE e 2000/34/CE): “1. Fermo restando quanto previsto dall’ articolo 2109 del codice civile , il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane. Tale periodo, salvo quanto previsto dalla contrattazione collettiva o dalla specifica disciplina riferita alle categorie di cui all’articolo 2, comma 2, va goduto per almeno due settimane, consecutive in caso di richiesta del lavoratore, nel corso dell’anno di maturazione e, per le restanti due settimane, nei 18 mesi successivi al termine dell’anno di maturazione. 2. Il predetto periodo minimo di quattro settimane non può essere sostituito dalla relativa indennità per ferie non godute, salvo il caso di risoluzione del rapporto di lavoro. 3. Nel caso di orario espresso come media ai sensi dell’articolo 3, comma 2, contratti collettivi stabiliscono criteri e modalità di regolazione”.

c) Ai sensi della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 4 novembre 2003, 2003/88/CE, ogni lavoratore deve beneficiare di “ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane….e il periodo minimo di ferie annuali retribuite non può essere sostituito da un’indennità finanziaria, salvo in caso di fine del rapporto di lavoro”.

d) Con specifico riguardo al rapporto di pubblico impiego, “le ferie, i riposi ed i permessi spettanti al personale, anche di qualifica dirigenziale,…sono obbligatoriamente fruiti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti, e non danno luogo in nessun caso alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi…anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età” (art. 5, co. 8, DL. n. 95/2012, conv. con modifiche dalla L. n. 135/2012 e, successivamente, dall’ 1, co. 55, L. n. 228/2012). La norma prevede altresì la responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente che violi le suddette disposizioni oltre al recupero delle somme indebitamente erogate.

e)La Corte Costituzionale (6 maggio 2016, n. 95) si è pronunziata a favore dell’inapplicabilità della norma in questione alle ipotesi in cui la mancata fruizione delle ferie non sia addebitabile al lavoratore. Il che significa che in caso di dimissioni non è applicabile la c.d. monetizzazione delle ferie.

f) Successivamente, però, è intervenuta la sentenza della Corte di Giustizia UE 20 luglio 2016 (C-314/15) che, come detto, ha riconosciuto il pieno diritto alla percezione dell’indennità sostitutiva delle ferie non godute anche al lavoratore che, di propria iniziativa, abbia posto fine al rapporto di lavoro.

g) Alla luce di questa decisione, il Tribunale di Roma ha disapplicato l’art. 5, co. 8, DL n. 95/2012, che esclude, nel pubblico impiego, il diritto all’indennità sostitutiva delle ferie non godute e permessi non fruiti in caso di “dimissioni” del lavoratore e riconosce tale diritto in ogni caso di “cessazione del rapporto di lavoro”.

h) Contestualmente i giudici affrontano il tema della natura della suddetta indennità, confermandone il carattere misto, retributivo e risarcitorio (v. anche Cass. n. 1757/2016), con la conseguenza che, ai fini della prescrizione prevale la natura risarcitoria (volta a compensare il danno derivante dalla perdita del diritto al riposo) con applicazione del termine ordinario decennale, mentre, in relazione al corrispettivo dell’attività lavorativa resa in un periodo che avrebbe dovuto essere retribuito ma non lavorato, prevale l’aspetto retributivo per cui “ne va valutata l’incidenza sul trattamento di fine rapporto, ai fini del calcolo degli accessori o dell’assoggettamento a contribuzione”.

Ferie e indennità sostitutiva: spettanza e computabilità
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: