Gli assegni familiari spettano al lavoratore somministrato anche durante i periodi di attesa di assegnazione.

 Nota a Cass. 8 marzo 2019, n. 6870

 Flavia Durval

Con il contratto di lavoro somministrato, disciplinato per la prima volta dal D.LGS. n. 276/2003 ed attualmente regolato dagli artt. da 30 a 40 del D.LGS. 15 giugno 2015, n. 81, il lavoratore si obbliga nei confronti della agenzia di somministrazione (somministratore) a lavorare alle condizioni previste dai contratti di somministrazione che la stessa stipulerà con l’utilizzatore. Tale contratto può essere a termine o a tempo indeterminato.

La Corte di Cassazione con la sentenza 8 marzo 2019, n. 6870 rileva che, in caso di assunzione a tempo indeterminato, il rapporto di lavoro intercorrente tra prestatore e agenzia di somministrazione, ai sensi dell’art. 22 del D.LGS n. 276/2003, applicabile ratione temporis alla fattispecie esaminata, “resta in vita anche quando il lavoratore non è inviato in missione, ma rimane in attesa di assegnazione”, con diritto a percepire un’indennità di disponibilità “che ha natura retributiva e di corrispettivo” dell’obbligazione assunta con la sua messa a disposizione del somministratore. Tale indennità di disponibilità è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo (mensilità aggiuntive, ferie, festività, TFR, ecc.) ed è soggetta a contribuzione previdenziale e all’imposta sul reddito da lavoro dipendente (art. 22, co. 3, D.LGS n. 276/2003).

Secondo la Corte, l’“elemento caratterizzante della somministrazione a tempo indeterminato è quindi la permanenza del legame tra agenzia di somministrazione e lavoratore in somministrazione anche nei periodi di inutilizzazione tra un’assegnazione e l’altra” e “la persistenza del vincolo si manifesta in concreto nel diritto del lavoratore somministrato a percepire dall’agenzia di somministrazione l’indennità di disponibilità pur in mancanza di prestazione lavorativa, fino alla successiva assegnazione, senza limiti di durata”.

Considerata la natura retributiva del compenso percepito a titolo di indennità di disponibilità, la sua misura deve essere “conforme ai parametri di proporzionalità e sufficienza posti dall’articolo 36 della Costituzione, anche in relazione alla dimensione familiare del lavoratore”.

Sulla base di tali principi, la Cassazione, rigettando il ricorso dell’INPS, ha rilevato che l’assegno per il nucleo familiare (ANF), disciplinato dalla L. 13 maggio 1988, n, 153, quale prestazione economica a sostegno del reddito delle famiglie dei lavoratori dipendenti, deve essere riconosciuto anche ai lavoratori somministrati a tempo indeterminato sia nei periodi di utilizzazione, in rapporto alla retribuzione, sia nella fase di attesa di assegnazione, in rapporto all’indennità di disponibilità. La posizione del lavoratore somministrato in situazione di disponibilità, ai fini del riconoscimento degli ANF deve, infatti, “essere parificata ai lavoratori che prestano lavoro retribuito alle dipendenze altrui”.

Somministrazione di lavoro e diritto agli assegni al nucleo familiare
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