Il datore di lavoro non può addurre a giustificazione del recesso fatti diversi da quelli già indicati nella lettera di licenziamento.

Nota a Cass. 20 marzo 2019, n. 7851

Sonia Gioia

In materia di provvedimenti espulsivi, sull’imprenditore grava un onere di comunicazione dei motivi contestuale all’atto di intimazione del recesso. Ciò, a pena di inefficacia, ai sensi dell’art. 2, L. n. 604/1966, come novellato dall’art. 1, co. 37, L. n. 92/2012.

Le ragioni ivi indicate sono immodificabili, nel senso che il datore di lavoro non potrà indicarne altre ma soltanto aggiungere “mere circostanze confermative o integrative che non mutino la oggettiva consistenza storica dei fatti anzidetti”, al fine di consentire al prestatore di individuare le motivazioni poste alla base del provvedimento espulsivo e di poter esercitare pienamente, anche in fase stragiudiziale, il diritto di difesa.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione (20 marzo 2019, n. 7851), confermando la sentenza del giudice di merito (App. Napoli n. 5906/2017), in relazione al caso di un datore di lavoro che aveva licenziato una dipendente per “crisi aziendale” e, nel successivo giudizio di impugnazione, introdotto nuove circostanze fondanti il medesimo recesso.

Nello specifico, il rappresentante legale della società, in sede di interrogatorio libero, aveva introdotto una nuova e diversa giustificazione consistente “nell’oggettiva impossibilità di piena ed efficiente collaborazione”, riconducibile al precario stato di salute della donna. La dipendente, conseguentemente, proponeva domanda di nullità, per motivi discriminatori, dello stesso atto espulsivo, ritenendo peraltro che la nuova motivazione avrebbe dovuto far decorrere un secondo termine di impugnazione a partire dalla data di conoscenza delle reali ragioni del recesso, ex art. 6, L. n. 604/1966.

In proposito la Corte ha precisato che:

a) ai sensi dell’art. 2, L. cit., la comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato, in modo che il lavoratore possa comprendere le effettive ragioni del provvedimento e organizzare la propria difesa;

b) vale, “per tutti i casi di assoggettamento del rapporto di lavoro a norme limitatrici del potere di recesso del datore di lavoro”, “il principio dell’immodificabilità delle ragioni comunicate come motivo del licenziamento, che è posto come “fondamentale garanzia giuridica per il lavoratore, che vedrebbe, altrimenti, frustrata la possibilità di contestare la risoluzione unilateralmente attuata dal datore” (v. Cass. n. 6012/2009);

c) pertanto, quest’ultimo non può “addurre a giustificazione del recesso fatti diversi da quelli già indicati nella motivazione enunciata al momento della intimazione del recesso medesimo”, ma soltanto aggiungere una circostanza confermativa o di contorno (v. Cass. n. 5401/2010; Cass. n. 2935/2010; Cass. n. 6012/2009; Cass. n. 25270/2007);

d) la violazione del principio di contestuale e immodificabile motivazione del licenziamento è causa di inefficacia dell’atto datoriale e comporta, in base ad una interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata, l’applicazione dell’art. 8, L. cit., il quale prevede una tutela esclusivamente risarcitoria (Cass. n. 17589/2016).

Quanto ai limiti temporali per l’impugnazione dell’atto datoriale, la Corte ha precisato che il termine di 180 giorni, di cui all’art. 6, co. 2, L. cit., decorre dalla data di trasmissione dell’atto scritto di contestazione del licenziamento di cui all’art. 6, co. 1, L. cit. (v. Cass. n. 20666/2018; Cass. n. 16899/2016; Cass. n. 5717/2015).

Nel caso di specie, la dipendente era stata licenziata per ragioni economiche: “di fronte a questa che era la ragione, unica, sostanziale dell’atto, nessun altro motivo poteva essere aggiunto dal datore di lavoro, stante il divieto di modificabilità dei motivi del recesso, principio posto a garanzia del diritto di certezza giuridica del lavoratore”. Risultano, in altri termini, irrilevanti le ulteriori circostanze dedotte dal datore di lavoro in sede di interrogatorio libero, in ordine ai criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, e pertanto, inammissibile la domanda di nullità del licenziamento per motivi discriminatori, proposta ben oltre il termine ex art. 6, L. cit.

Immodificabilità delle ragioni del licenziamento
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