A cura di M.N. Bettini con la collaborazione di: Francesca Albiniano e Kevin Puntillo

Addetti a particolari mansioni, discriminazione e ritorsione. In capo al datore di lavoro non sembra gravare alcun obbligo di fornire, all’interno della comunicazione di avvio della procedura di riduzione del personale, una descrizione completa circa la situazione di tutti i dipendenti impiegati dall’impresa, essendo invece necessario comunicare solo la posizione di coloro che sono coinvolti nel licenziamento collettivo. In tal modo, sembra che il datore di lavoro abbia la facoltà di circoscrivere senza limitazioni la platea dei lavoratori, che potrebbe anche riguardare i soli «addetti a particolari mansioni» e di limitare ai soli dipendenti così individuati l’applicazione degli eventuali accordi raggiunti in sede sindacale o l’applicazione dei criteri di scelta dettati dalla legge.

Ciò, senza alcun obbligo di effettuare una comparazione tra i lavoratori interessati dalla riduzione di personale e quelli estranei alla platea dei lavoratori identificata nella comunicazione introduttiva. E sul datore di lavoro graverà soltanto l’onere di allegare i criteri utilizzati nonché la prova della loro piena applicazione, mentre spetterà al lavoratore che impugni il licenziamento dimostrare l’illegittimità della scelta datoriale, allegando l’altrui inadempimento ossia il rifiuto illegittimo alla prosecuzione del rapporto opposto dal datore di lavoro, con onere di indicare puntualmente i lavoratori nei confronti dei quali la scelta avrebbe dovuto essere realizzata (Cass. 24 agosto 2017, n. 20335, annotata in questo sito da S. ROSSI, Licenziamenti collettivi: la scelta dei lavoratori coinvolti). Nel senso che per il datore di lavoro che proceda ad una riduzione di personale è escluso l’obbligo di confronto con tutti i profili professionali presenti nel complesso aziendale, limitando la scelta dei lavoratori da licenziare alla platea dei soli dipendenti di uno specifico ramo o settore (Cass. 16 febbraio 2012, n. 2255, cit.), ovvero anche ai soli addetti a particolari mansioni (Cass. 24 agosto 2017, n. 20335, cit.; v. anche Cass. 23 dicembre 2009, n. 27165; Cass. 26 settembre 2000, n.12711). Tuttavia, è stato considerato discriminatorio il criterio di scelta che aveva limitato la selezione dei lavoratori in eccedenza all’unità produttiva in cui si era manifestata una indisponibilità dei lavoratori alla riduzione del salario. In questo senso, Trib. Roma 16 novembre 2017, GLav., 2017, n. 47, 23, con nota di A. MONTEMARANO, Almaviva, disposta la reintegrazione nel posto di lavoro per 153 licenziati. Secondo i giudici, infatti, il maggior costo del personale in una certa sede rispetto alle altre non risponde alle specifiche esigenze tecnico-produttive ed organizzative richieste dalla L. n. 223/1991 (art. 5, co.1).

Tuttavia, i criteri fissati dai contratti collettivi (obbligatoriamente obiettivi e generali) non possono violare norme imperative, né il divieto di discriminazioni previsto dall’art. 15 Stat. Lav. (v. Corte Cost. 30 giugno 1994, n. 268, DL, 1994, II, 160, con nota di M. N. BETTINI, Accordi sindacali sui criteri di scelta dei lavoratori in mobilità; MGL, 1994, 473, con nota di G. MANNACIO, Legittimità costituzionale della normativa sui contrati collettivi che individuano i criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità; e Cass. 16 maggio 2011, n. 10729), mentre possono legittimamente prevedere la prevalenza delle esigenze tecnico produttive (Cass. 29 novembre 1999, n. 13346, MGL, 2000, 115) e l’espulsione prioritaria dei lavoratori prepensionabili o prossimi alla pensione, in quanto meno pregiudicati dal licenziamento poiché sostituiscono il reddito da lavoro con quello previdenziale.

Così, il parametro dell’anzianità di servizio senza soluzione di continuità, adottato con accordo sindacale (ex art. 5, L. n. 223/1991) per individuare i lavoratori in eccedenza, costituisce un criterio oggettivo, in quanto applicabile all’intera platea di lavoratori con esclusione, dunque, in radice, del carattere discriminatorio e risponde all’esigenza di prediligere i dipendenti che, “non avendo mai interrotto il rapporto professionale nel settore, hanno acquisito un bagaglio culturale più consistente rispetto a chi abbia vissuto un’esperienza nel comparto discontinua o risalente nel tempo, ancorché quantitativamente più rilevante” (in questo senso, Cass. 23 agosto 2016, n. 17249).

È stato invece ritenuto discriminatorio il licenziamento collettivo in cui la quasi totalità del personale espulso per riduzione di personale coincideva con quello precedentemente sospeso in cassa integrazione guadagni (Trib. Civitavecchia 1 marzo 2018, annotata in questo sito da F. IACOBONE, Licenziamento collettivo discriminatorio atipico e cassa integrazione guadagni).

Allo stesso modo è nullo il licenziamento collettivo intimato per motivo ritorsivo (Cass. 14 novembre 2016, n. 23149, con riferimento ad una fattispecie in cui i lavoratori in esubero erano stati individuati in quanto vincitori di un precedente contenzioso).

Mansioni e discriminazioni nei licenziamenti collettivi per riduzione di personale
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