Arturo Serra

  • LA DISCIPLINA GENERALE DELL’ART. 445 bis c.p.c.

L’istituto processuale dell’Accertamento Tecnico Preventivo Obbligatorio (ATPO) viene introdotto dal legislatore con il D.L. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito nella L. 15 luglio 2011, n. 111 ed entrato in vigore il 1° gennaio 2012) in risposta all’esigenza ormai diffusa di deflazionare, ridurre ed accelerare il contenzioso in materia previdenziale ed assistenziale. L’art 445 bis c.p.c. sancisce che chi intenda ottenere l’accertamento giudiziale dei propri diritti «in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, disciplinati dalla legge 12 giugno 1984, n. 222» deve proporre, con ricorso nelle forme di cui all’art 442 c.p.c. dinanzi al giudice del lavoro, istanza di accertamento tecnico per la verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere.

Il giudice competente nomina il consulente tecnico e fissa la data di inizio delle operazioni peritali. Espletata la CTU, con decreto comunicato alle parti, il giudice fissa un termine perentorio non superiore a 30 giorni, entro il quale le medesime devono dichiarare, con atto scritto depositato in cancelleria, se intendono contestare le conclusioni del CTU.

A questo punto possono verificarsi due ipotesi:

a. Nessuna delle parti deposita, nel termine fissato, la c.d. “dichiarazione di dissenso” e il giudice, con decreto pronunciato fuori udienza, «omologa l’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico d’ufficio provvedendo sulle spese». In tal caso, la norma rimette all’ente competente la verifica dei requisiti diversi da quello sanitario e l’erogazione delle prestazioni eventualmente spettanti, entro e non oltre il termine perentorio di 120 giorni;

b. Una parte (o entrambe) formula la dichiarazione di dissenso. In tale circostanza, «la parte che abbia dichiarato di contestare le conclusioni del consulente tecnico dell’ufficio deve depositare dinanzi al medesimo giudice, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla formulazione della dichiarazione di dissenso, il ricorso introduttivo del giudizio, specificando, a pena di inammissibilità, i motivi della contestazione». Si instaura così un giudizio di merito avente ad oggetto le risultanze della CTU che il giudice può anche decidere di rinnovare o sostituire, ai sensi e per gli effetti dell’art. 196 c.p.c. La sentenza che definisce tale giudizio è inappellabile.

Inoltre, occorre precisare che l’istanza di ATPO, oltre a interrompere la decorrenza del termine di prescrizione del diritto vantato, costituisce condizione di procedibilità della domanda, per cui il giudice di merito, laddove rilevi che l’accertamento tecnico preventivo non sia stato espletato ovvero sia iniziato ma non concluso, assegna alle parti il termine di 15 giorni per la presentazione dell’istanza di ATPO ovvero di completamento dello stesso.

Fatta questa breve premessa riepilogativa del procedimento, di seguito sono esaminate le principali questioni sorte nell’applicazione dello strumento processuale di cui all’art 445 bis c.p.c.

  • OGGETTO DI COGNIZIONE DEL GIUDICE DELL’ATPO

Dal tenore letterale della disposizione in commento si evince che l’oggetto specifico dell’istanza per ATPO è esclusivamente la verifica delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere dal ricorrente. Dal che deriva, ovviamente, che si ricorrerà a tale accertamento giudiziale solo qualora sia stata esperita infruttuosamente la procedura amministrativa volta al conseguimento della specifica prestazione previdenziale o assistenziale vantata.

Ciò posto, è opportuno chiarire quale sia l’oggetto di cognizione del giudice dell’ATPO. In altri termini, occorre stabilire se il giudice debba esprimersi solo in ordine alla sussistenza dei requisiti sanitari o possa pronunciarsi anche con riferimento agli altri requisiti socio-economici necessari al conseguimento della specifica prestazione previdenziale.

Sul punto è sorto un acceso contrasto giurisprudenziale. Originariamente, la Suprema Corte aveva stabilito che la cognizione del giudice dell’ATPO dovesse limitarsi esclusivamente all’accertamento del requisito sanitario (si vedano Cass. n. 974/2014; Cass. n. 6085/2014). La successiva giurisprudenza di legittimità, invece, ha esteso l’ambito di cognizione del giudice anche alla sussistenza degli altri requisiti necessari al conseguimento della prestazione previdenziale, richiamando il principio dell’interesse ad agire del ricorrente. Dunque il giudice, oltre all’accertamento del requisito sanitario, è chiamato a valutare, seppur sommariamente, la sussistenza di un’altra serie di fattori utili all’accertamento del concreto interesse ad agire per il ricorrente. Tale valutazione è volta ad impedire di azionare inutilmente la macchina giudiziaria, laddove, pur riconosciuta la sussistenza del requisito sanitario, il ricorrente non sia in possesso degli ulteriori requisiti (previsti per legge) necessari al conseguimento della pretesa prestazione previdenziale (ex plurimis, Cass. n. 8878/2015; Cass. n. 12332/2015; Cass. n. 13662/2015). Occorre precisare che la valutazione sommaria effettuata dal giudice dell’ATPO, circa la sussistenza dell’interesse ad agire per il ricorrente, non esclude che, a seguito dell’omologa, l’ente competente dovrà comunque effettuare un nuovo controllo in ordine alla sussistenza di tutti i requisiti socio-economici necessari all’erogazione della specifica misura previdenziale.

  • APPELLABILITÀ DEL DECRETO DI OMOLOGA DEL GIUDICE DELL’ATPO

L’art. 445 bis c.p.c. prescrive che il decreto di omologa di accertamento del requisito sanitario emesso del giudice dell’ATPO non è impugnabile né modificabile. È pertanto opportuno stabilire se tale caratteristica della inappellabilità si estenda sia con riferimento alla statuizione che riguarda l’accertamento del requisito sanitario sia rispetto a quella di condanna alle spese di giudizio.

In riferimento al primo profilo, è pacifico che il provvedimento non sia in alcun modo oggetto di impugnativa. Chi contesta la presunta violazione del principio del doppio grado di giurisdizione dimentica, in realtà, che è ammessa la possibilità per le parti di opporsi alle risultanze della CTU attraverso la “dichiarazione di dissenso”, da rendersi entro 30 giorni dagli esiti della consulenza, e che attribuisce la possibilità di contestare la CTU ancor prima dell’omologa del giudice adito.

Riguardo al secondo profilo, ovvero l’impugnabilità del provvedimento di condanna alle spese di giudizio, giurisprudenza granitica (si vedano Cass. n. 13550/2015; Cass. n. 6283/2017; Cass. n. 16685/2018) ha sancito l’ammissibilità dell’impugnazione con ricorso straordinario per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., in quanto tale pronuncia incide con efficacia di giudicato sui diritti patrimoniali delle parti, con conseguente lesione del diritto di difesa della parte soccombente che, altrimenti, vedrebbe leso un diritto tutelato da espressa previsione costituzionale (art. 24 Cost.).

  • QUESTIONE DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DELL’ART. 445 bis. c.p.c.

Con la Sentenza n. 243 del 28 ottobre 2014 la Corte Costituzionale ha rigettato tutte le censure di illegittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Roma avverso l’art. 445 bis c.p.c.

In particolare, si fa riferimento alla presunta violazione dell’art. 24 Cost. per mancato rispetto del doppio grado di giurisdizione da cui conseguirebbe l’impossibilità di appellare l’ordinanza emessa dal giudice dell’ATPO. Tale questione è stata rigettata atteso che la possibilità per le parti di appellare le risultanze dell’accertamento non è preclusa in toto ma viene concessa, sebbene in una fase antecedente, ovvero entro 30 giorni dal termine delle operazioni peritali del CTU, in cui le stesse possono decidere volontariamente di contestarne gli esiti ed eventualmente incardinare un nuovo giudizio di merito.

Parimenti è stata superata la censura di incostituzionalità della norma per contrarietà agli artt. 3, 38 e 111 Cost., poiché l’ATPO deve considerarsi come un vero e proprio procedimento giurisdizionale a cognizione sommaria caratterizzato dalle tutele tipiche del processo quali, tra tutte, il rispetto del principio del contraddittorio, oltre che dalla possibilità di instaurare un giudizio a cognizione piena in caso di opposizione al decreto di omologa.

Infine, secondo la Consulta, tale procedimento non lede né il principio di uguaglianza né la possibilità per i ricorrenti di accedere alla giustizia per ottenere tutela dei propri diritti previdenziali, costituendo solo un filtro processuale volto alla riduzione del contenzioso assistenziale e al contenimento della durata delle controversie. Per cui la declaratoria di inammissibilità della domanda di accertamento del requisito sanitario non preclude alla parte interessata di ottenere il riconoscimento dei propri diritti in un successivo giudizio di merito, essendo in ogni caso ottemperata la condizione di procedibilità imposta dalla norma.

Quelli appena descritti sono solo alcuni dei diversi profili di illegittimità costituzionale superati dalla Consulta che, per ragioni di economia espositiva, non è possibile trattare in questa sede. (Per un’analisi dettagliata della pronuncia della Corte Cost. n. 243/2014 si rimanda al Mass. giur. lav 2015, n. 7, pag. 514 e ss.).

  • AMBITO DI APPLICAZIONE DELL’ATPO

L’ambito di applicazione della norma non comprende tutte le controversie in cui l’invalidità deve essere accertata ma soltanto quelle nominate nel 1° co., che hanno come oggetto le prestazioni economiche e gli altri benefici assistenziali riconducibili alla materia dell’invalidità civile e dell’handicap nonché la pensione di inabilità e l’assegno di invalidità in regime assicurativo ex lege n. 222/84.

Pertanto, avendo il legislatore individuato espressamente le controversie che devono essere oggetto di preventivo esperimento dell’ATPO, deve ritenersi inammissibile il ricorso alla procedura in commento volta ad ottenere, ad esempio, il riconoscimento del diritto al beneficio di contribuzione figurativa ai fini della maggiorazione di anzianità ex art. 80, co. 3, L. n. 388/2000, ovvero alla pensione di vecchiaia anticipata in favore degli invalidi in misura non superiore all’80%, ex art. 1, co. 8,  D.LGS. 30 dicembre 1992, n. 503, ovvero, ancora, alla pensione ai superstiti in favore di soggetti maggiorenni inabili ex art. 13,  R.D.L. n. 636/1939. Tale è l’interpretazione fornita da una parte della dottrina (S. L. Gentile in “Il processo previdenziale”, Giuffrè, Milano, 2015, pag. 443), che propende per la tassatività dell’elenco delle controversie in materia assistenziale e previdenziale oggetto dell’ATPO e fonda le proprie ragioni esclusivamente sul richiamo al tenore letterale della disposizione.

  • AGGRAVAMENTO DELLE CONDIZIONI DI SALUTE DEL RICORRENTE

È possibile che, nelle more dell’accertamento tecnico preventivo, si verifichi un aggravamento delle condizioni di salute del ricorrente. In tale circostanza, troverà applicazione l’art. 149 disp. att. c.p.c. per cui «nelle controversie in materia di invalidità pensionabile deve essere valutato dal giudice anche l’aggravamento della malattia, nonché tutte le infermità comunque incidenti sul complesso invalidante che si siano verificate nel corso tanto del procedimento amministrativo che di quello giudiziario». Secondo la dottrina (S. L. Gentile in “Il processo previdenziale”, cit. pag. 465-469), la norma di cui sopra si estende, appunto, anche al procedimento per ATPO, tanto che l’inottemperanza del giudice a tale disposizione può determinare un vizio di motivazione della sentenza, oltre che una violazione di legge. Chiaramente in tal caso incombe in capo alla parte ricorrente l’onere di dimostrare l’aggravamento sopravvenuto delle proprie condizioni di salute, mediante l’allegazione di documenti sanitari, la cui produzione è ammessa previo espletamento di successive verifiche peritali.

  • ESONERO DAL PAGAMENTO DELLE SPESE PROCESSUALI

La disciplina dell’esonero del ricorrente dal pagamento delle spese processuali di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c. si applica anche a tale procedura, sebbene nel rispetto di precisi oneri formali, quali: che la dichiarazione sostitutiva di certificazione sia contenuta nelle conclusioni dell’atto introduttivo e che il ricorrente sia in possesso di tutti i requisiti reddituali imposti per legge. Anche sul punto è sorto un dibattito giurisprudenziale, culminato nel senso della necessaria applicabilità della normativa di favore per il ricorrente meno facoltoso. La Suprema Corte ha precisato, però, che in materia di accertamento tecnico preventivo le spese di consulenza tecniche d’ufficio non possono gravare sul ricorrente che si trovi nelle condizioni reddituali di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c., salvo che la sua pretesa sia manifestamente infondata e temeraria (Cass. n. 16515/2016).

  • CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

Volendo trarre un bilancio sulla funzionalità del procedimento per ATPO si può ritenere che, nonostante i molteplici punti critici della riforma, lo strumento processuale abbia contribuito a ridurre i tempi delle cause in materia assistenziale anche se, come si è visto, ha posto una serie di problemi applicativi, ai quali peraltro sia la dottrina che la giurisprudenza hanno fornito interessanti prospettive risolutorie. Difatti, dalla riforma sino ad oggi, si è registrato che gran parte dei procedimenti per ATPO vengono istruiti e conclusi con omologhe; il numero delle declaratorie di inammissibilità dei ricorsi è assai basso, come irrilevante è il numero dei ricorsi di merito dichiarati improcedibili per mancato esperimento dell’accertamento; infine, la maggior parte dei giudizi di merito incardinati è decisa sulla scorta delle acquisizioni istruttorie già effettuate in ATPO.

Alla luce di tali considerazioni, pare ragionevole ritenere che il legislatore, nell’esercizio della discrezionalità che gli compete, abbia effettuato un congruo bilanciamento tra l’interesse generale alla riduzione e accelerazione del contenzioso assistenziale/previdenziale e l’interesse della parte a far valere il suo diritto di assistenza o previdenza basato sullo stato di invalidità, conseguendo in entrambi i sensi buoni risultati.

 

Accertamento tecnico preventivo obbligatorio
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