Nell’ipotesi di licenziamento disciplinare illegittimo, ai fini dell’applicabilità della tutela reintegratoria, la nozione di insussistenza del fatto contestato comprende anche l’ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità o rilevanza giuridica e quindi del fatto sostanzialmente inapprezzabile sotto il profilo disciplinare.

Nota a Cass. 8 maggio 2019, n. 12174

Arturo Serra

Ai fini della applicabilità della tutela reintegratoria a favore del lavoratore, in ipotesi di illegittimità del licenziamento disciplinare, la nozione di «insussistenza del fatto materiale contestato», contenuta nell’art. 3, co. 2, D.LGS. n. 23/2015, deve essere interpretata nel senso da comprendere non solo i casi in cui il fatto non si sia verificato nella sua materialità, ma anche tutte le ipotesi in cui il fatto, pur materialmente accaduto, non abbia rilievo disciplinare sia quanto al profilo oggettivo, sia quanto al profilo soggettivo della imputabilità della condotta al dipendente, ovvero ogniqualvolta sia privo di rilevanza giuridica.

È quanto ribadito dalla Corte di Cassazione nella sentenza 8 maggio 2019, n. 12174, uniformandosi all’indirizzo reso dalla copiosa giurisprudenza di legittimità sul punto (ex plurimis, Cass. n. 13178/2017, Cass. n. 18418/2016, Cass. n. 10019/2016), secondo cui, ai fini dell’applicabilità della tutela reintegratoria, la nozione di insussistenza del fatto contestato comprende anche l’ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità o rilevanza giuridica e, quindi, del fatto sostanzialmente inapprezzabile sotto il profilo disciplinare.

La giurisprudenza è intervenuta per dirimere il contrasto interpretativo che si è creato in tema di tutela reale attorno alla nozione di “insussistenza del fatto materiale” e che si fonda sulla differenza letterale tra due disposizioni. Difatti, la formulazione dell’art. 3, co. 2, D.LGS. n. 23/2015 (applicabile al caso di specie) non è perfettamente coincidente con quella di cui all’art. 18, co. 4, della L. n. 300/1970. In particolare, nel primo caso, la reintegrazione è collegata alla insussistenza del «fatto materiale contestato» mentre, nel secondo caso, è collegata alla sola insussistenza del «fatto contestato».

Lo specifico riferimento al termine «materiale», contenuto nell’ art. 3, D.LGS. n. 23/2015, ha, infatti, indotto una parte degli operatori del diritto a sostenere che il Legislatore, ai fini dell’applicabilità della tutela reintegratoria per insussistenza del fatto posto a fondamento del licenziamento, abbia voluto riferirsi alle sole condotte realizzatesi nella realtà fenomenica, ovvero materialmente percepibili, senza che possa assumere alcun rilievo l’atteggiamento psicologico dell’agente o la semplice irrilevanza giuridica della condotta.

Tuttavia la Cassazione, nella sentenza in commento, ha specificato che nell’interpretazione della predetta disposizione, pur dovendosi valutare il tenore letterale dalla norma, non può dubitarsi che il Legislatore abbia voluto riferirsi alla stesa nozione di “fatto contestato” come elaborata dalla giurisprudenza di legittimità in relazione all’art. 18, co. 4, L. n. 300/1970. In altri termini, quanto alla tutela reintegratoria, non è plausibile che il Legislatore, parlando di “insussistenza del fatto contestato”, abbia voluto negarla nel caso di fatto sussistente ma privo del carattere della illiceità, ossia non suscettibile di alcuna sanzione disciplinare.

Ne consegue che, al fatto accaduto ma disciplinarmente irrilevante, non può riservarsi un trattamento sanzionatorio diverso da quello previsto per le altre ipotesi in cui il fatto non sia stato commesso, con l’inevitabile applicazione, anche in quella circostanza, della tutela reintegratoria a favore del lavoratore licenziato illegittimamente.

Secondo la Corte, tale assunto conclusivo è avvalorato dalla lettura costituzionalmente orientata della norma (artt. 4 e 35 Cost.) per cui qualsivoglia giudizio di responsabilità, in qualunque campo del diritto venga espresso, richiede per il fatto materiale ascritto, dal punto di vista soggettivo, la riferibilità dello stesso all’agente e, da quello oggettivo, la riconducibilità del medesimo nell’ambito delle azioni giuridicamente apprezzabili come fonte di responsabilità.

Nozione di insussistenza del fatto contestato e applicabilità della tutela reintegratoria
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