In materia di obblighi contributivi, la transazione intervenuta fra datore di lavoro e lavoratore è inopponibile all’Istituto previdenziale.

 Nota a Cass. 13 maggio 2019, n. 12652

 Giuseppe Catanzaro

Anche a fronte di una conciliazione in sede sindacale con la quale le parti decidano di non dare ulteriore corso alla vicenda giudiziale e riconoscano la cessazione del loro rapporto di lavoro, per naturale scadenza (in una data anteriore a quella stabilita dal giudice), l’INPS può esigere la contribuzione per l’intero periodo accertato dalla sentenza, superando quanto concordato dalle parti nella sede conciliativa.

In altre parole, quando l’accertamento della natura e comunque dell’esistenza del rapporto di lavoro subordinato fino ad una certa data viene compiuto in sede giudiziale e, successivamente, intervenga una conciliazione sindacale con transazione sulle retribuzioni pretese, permane il principio secondo cui in materia di obbligo contributivo del datore di lavoro, la transazione intervenuta tra questi ed il lavoratore (in seguito ad una sentenza passata in giudicato) è inopponibile all’Istituto previdenziale.

Infatti, benché il rapporto assicurativo e l’obbligazione contributiva sorgano con l’instaurazione del rapporto di lavoro, essi sono del tutto autonomi e distinti e l’obbligo del datore di lavoro nei confronti dell’Istituto previdenziale sussiste indipendentemente dal fatto che gli obblighi retributivi nei confronti del prestatore d’opera siano adempiuti, in tutto o in parte, o che il lavoratore abbia rinunciato ai propri diritti (nello stesso senso, Cass. n. 27933/2017 e Cass. n. 2642/2014).

In sintesi, la transazione con il lavoratore non pone nel nulla il rapporto contributivo, poiché l’obbligo contributivo è connesso al rapporto di lavoro e non alla natura, come qualificata dalle parti, delle somme corrisposte in sede transattiva.

Transazione in corso di causa, accertamento giudiziale ed inopponibilità all’INPS
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