La “abnormità” della prestazione eseguita è tale, di per sé, da compromettere l’integrità psico-fisica e la vita di relazione del lavoratore. Ed infatti “la prestazione lavorativa eccedente, che supera di gran lunga i limiti previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva e si protrae per diversi anni, cagiona al lavoratore un danno da usura-psico fisica, di natura non patrimoniale e distinto da quello biologico, la cui esistenza è presunta nell’an in quanto lesione del diritto garantito dall’art. 36 Cost., mentre ai fini della determinazione occorre tenere conto della gravità della prestazione e delle indicazioni della disciplina collettiva intesa a regolare il risarcimento de qua” (Così, Cass. n. 12540/2019; Cass. n. 14710/2015; e Cass. n. 11581/2014).

Inoltre, a fronte dell’obbligo (ex art. 2087 c.c.), per il datore di lavoro, di tutelare l’integrità psico-fisica e la personalità morale del lavoratore, “la volontarietà di quest’ultimo, ravvisabile nella mera disponibilità alla prestazione lavorativa straordinaria, non può connettersi causalmente all’evento rappresentando una esposizione a rischio non idonea a determinare un concorso giuridicamente rilevante” (Cass. n. 1295/2017).

G. R.

Prestazione eccedente e abnorme: danno da usura presunto
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