È discriminatoria la previsione di limiti di età, previsti per la partecipazione ad un bando pubblico finalizzato alla selezione di Vigili Urbani, che non siano essenziali o determinanti per lo svolgimento dell’attività lavorativa.

 Nota a App. Milano 16 maggio 2019, n. 695

Sonia Gioia

In materia di concorsi per l’ammissione al ruolo di agente di Polizia Municipale, la fissazione di un “doppio limite” di età, ossia di 30 anni o 35 in presenza di determinate condizioni, integra una violazione del principio di parità di trattamento che vieta qualsiasi forma di discriminazione diretta o indiretta (art. 2, par. 1, Direttiva 2000/78/CE, recante disposizioni “per la parità di trattamento in materia di accesso all’occupazione, sia privata sia pubblica”, attuata nel nostro ordinamento con D.LGS. n. 216/2003).

Il principio è stabilito dalla Corte d’Appello di Milano (16 maggio 2019, n. 695) che, in riforma dell’ordinanza del giudice di prime cure (Trib. Milano 3 ottobre 2018), ha accolto il ricorso di una donna che non aveva potuto presentare la propria candidatura per il concorso per l’assunzione di Agenti di Polizia Locale perché priva dei requisiti di età fissati dal bando pubblico comunale. In particolare, potevano accedere alla selezione coloro che non avevano superato il trentesimo anno di età alla data di scadenza del bando o, in alternativa, il trentacinquesimo se coniugati o con figli a carico o che avevano prestato servizio militare volontario, di leva, di leva prolungata (ex L. 24 dicembre 1986, n. 958, recante norme sul servizio militare di leva e sulla ferma di leva prolungata).

In merito, la Corte ha precisato che la previsione di un limite di età non è fonte di discriminazione (ai sensi dell’art. 2, par. 1, Direttiva cit.) solo quando, per la natura della prestazione o per il contesto in cui essa viene espletata, tale caratterista costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato (artt. 4, par. 1 e 6, par. 1, Direttiva cit.; art. 3, co. 6, L. n. 127/1997).

Nel caso di specie, secondo la Cassazione lo scopo perseguito dal Comune, e cioè quello di “assicurare il carattere operativo e il buon funzionamento del servizio del corpo di Polizia Municipale”, chiamato a svolgere anche turni serali e notturni, può dirsi pienamente legittimo. Tuttavia, la fissazione di un limite di età appare sproporzionato rispetto a tale obiettivo, in quanto non si rinviene alcun elemento in concreto che consenta di affermare che le capacità fisiche richieste per l’esercizio della funzione di Agente di Polizia Locale “siano collegate ad una fascia di età determinata e non sussistano nelle persone che hanno superato una certa età” (CGUE 15 novembre 2016, C-258/15; CGUE 13 novembre 2014, C-416/13, CGUE 12 gennaio 2010, C-229/08).

Inoltre, il “doppio limite” di età risulta ancor più sproporzionato e discriminatorio dal momento che consente la partecipazione alla selezione di ultratrentenni in possesso di requisiti (l’essere coniugati, l’aver figli o l’aver prestato servizio militare) che niente hanno a che vedere con lo svolgimento delle funzioni di vigile urbano e con la particolare condizione fisica richiesta. Quest’ultima, peraltro, è valutata in sede concorsuale attraverso prove fisiche e accertamenti medici (assenza di determinate patologie, possesso di un visus naturale minimo, ecc.), che consentono di individuare i candidati più idonei allo svolgimento delle mansioni di agente di Polizia Locale “con una modalità meno restrittiva rispetto alla fissazione di un’età massima” (v. CGUE, C-416/13, cit.).

Illegittimità dei limiti di età per l’ammissione al corpo di Polizia Municipale
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