Riservare ai lavoratori sindacalizzati un trattamento deteriore rispetto ai dipendenti non iscritti ad alcuna OO.SS. costituisce condotta discriminatoria in quanto lesiva del   principio di parità di trattamento.

Nota a Trib. Velletri ord. 10 aprile 2019, n. 7061

Sonia Gioia

In materia di discriminazioni sul luogo di lavoro, la condotta dell’imprenditore, tale da comportare un trattamento differente nei confronti di uno o più lavoratori rispetto alla generalità di essi e non sorretto da alcuna ragione giustificatrice, integra una violazione del principio di parità di trattamento.

Tale principio (in attuazione della Direttiva 2000/78/CE, recante disposizioni “per la parità di trattamento in materia di accesso all’occupazione, sia privata sia pubblica”, recepita dall’ art. 2, D.LGS. n. 216/2003) vieta qualsiasi forma di discriminazione diretta o indiretta  ed è stato ribadito dal Tribunale di Velletri (ord. 10 aprile 2019, n. 7061), che ha sanzionato la società datrice di lavoro per aver assunto, “in linea generale e programmatica”, un comportamento discriminatorio in via diretta, nei confronti dei lavoratori aderenti all’associazione sindacale ricorrente, riservando loro un trattamento deteriore rispetto a quello adottato nei confronti degli altri dipendenti. In particolare, tale condotta discriminatoria è consistita nel:

  • mancato rinnovo e/o proroga dei contratti a tempo determinato;
  • non affidamento di lavoro supplementare e/o straordinario, seppur precedentemente richiesto dall’azienda e in assenza di sopravvenute esigenze aziendali di non ricorrere a tali tipi di prestazione;
  • modificazione dei turni di lavoro di alcuni prestatori iscritti al sindacato in mancanza di comprovate ragioni organizzative;
  • esplicita richiesta di scegliere tra la cessazione del rapporto di lavoro in essere e la prosecuzione dell’attività lavorativa rinunciando all’iscrizione al sindacato.

Sulla base di tali circostanze fattuali, provate attraverso l’allegazione in giudizio delle registrazioni fonografiche concernenti i colloqui tenuti con l’Amministratore unico della società (sull’ammissibilità di tale mezzo di prova, v. Cass. n. 11322/2018; Cass. n. 3034/2011) e in mancanza di adeguate ragioni aziendali idonee a giustificare la differenza di trattamento (v. art. 4, D.LGS. cit., “quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico, dai quali si può presumere l’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori, spetta al convenuto l’onere di provare l’insussistenza della discriminazione”),  il Tribunale ha dichiarato la natura discriminatoria della condotta tenuta dall’azienda ed ha condannato la stessa alla cessazione dei comportamenti illeciti nonché al risarcimento del danno non patrimoniale (sub specie, danno morale ed esistenziale) in favore di ogni lavoratore e della stessa organizzazione sindacale ricorrente.

Discriminazioni per motivi sindacali
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