Il datore di lavoro in difficoltà finanziarie deve dare priorità al versamento dei contributi previdenziali anziché al pagamento degli stipendi.

Nota a Cass. 16 maggio 2019, n. 36241

Francesco Belmonte

Il debito contributivo è collegato al versamento delle retribuzioni. Ed infatti, quando il datore di lavoro effettua tale pagamento sorge, a suo carico, l’obbligo di versare le somme dovute all’INPS, trattenendole sulle retribuzioni di cui le somme stesse costituiscono quota parte.

“In realtà, entrambi i diritti, quello correlato all’obbligazione previdenziale e quello riferibile all’obbligo retributivo, sono considerati meritevoli di tutela e tuttavia, nel caso dell’eventuale conflitto tra essi, va privilegiato quello che, solo, riceve, secondo la non irragionevole scelta del legislatore, una tutela penalistica attraverso la previsione della fattispecie incriminatrice” a carico del datore di lavoro che ometta  di accantonare le ritenute previdenziali, trattenendole sulle retribuzioni corrisposte mensilmente ai lavoratori.

Il principio è affermato dalla Corte di Cassazione (16 maggio 2019, n. 36241, di conferma di App. Brescia 9 luglio 2018), la quale sintetizza chiaramente alcune fondamentali regole che presidiano l’obbligo contributivo. Nello specifico, la Corte cita due norme da cui si trae il principio che il datore di lavoro è il responsabile unico del pagamento dei contributi anche per la quota a carico del lavoratore. E cioè: a) l’art. 2115, co. 2, c.c., che impone al datore di lavoro di versare anche la parte di contributo che è a carico del lavoratore, salvo il diritto di rivalsa; b) e l’art. 19 , co. 2, L. 4 aprile 1952, n. 218 il quale prevede che “Il contributo a carico del lavoratore è trattenuto dal datore di lavoro sulla retribuzione corrisposta al lavoratore stesso alla scadenza del periodo di paga cui il contributo si riferisce”.

Con specifico riguardo alla ritenuta, la Cassazione precisa che essa deve essere riferita allo stesso periodo di paga al quale il contributo si riferisce, come si desume dall’art. 1, co. 1,  L. 5 gennaio 1953, n. 4, il quale impone al datore di lavoro, di indicare, nel prospetto paga, la distinta delle singole trattenute.  Tale contributo è percentualmente quantificato sull’ammontare della retribuzione lorda del lavoratore, ai sensi dell’art. 17, co. 1, L. n. 218/1952, e, sebbene rappresenti una quota ideale – perché corrispondente a una somma fisicamente non consegnata al lavoratore stesso -, costituisce pur sempre una parte della retribuzione utilizzata dal datore a fini di rivalsa.

In sintesi, “attraverso il meccanismo della trattenuta, il datore di lavoro aziona e rende concreto il suo diritto di rivalsa mediante la (anticipata) costituzione della provvista finanziaria necessaria a far fronte – pro-quota lavoratore dipendente – alla sua obbligazione nei confronti dell’INPS”.

Con riferimento al regime sanzionatorio, la Corte chiarisce che:

– l’art. 2, co. 1-bis, D.L. 12 settembre 1983, n. 463 (conv., con mod. dalla L. 11 novembre 1983, n. 638), “reprime la condotta del datore di lavoro che omette di versare all’INPS le ritenute effettuate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti per un importo superiore a 10 mila euro anni; il reato è punibile a titolo di dolo generico, non essendo richiesto che il comportamento illecito sia dettato dallo scopo specifico di evasione contributiva”;

– diversamente, in base all’art. 2, co. 1-bis, ult. parte, D.L.  n. 463/1983,  cit., il datore di lavoro che provveda al pagamento entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione non è punibile, né assoggettabile alla sanzione amministrativa. E’ questa una “speciale causa di non punibilità”, di cui beneficia il datore di lavoro che versi integralmente quanto dovuto, realizzando, sia pur tardivamente ma entro un limite temporale certo e predefinito, l’interesse dell’INPS alla percezione delle ritenute;

–  l’omissione del versamento delle ritenute a fini contributivi sulle retribuzioni effettivamente corrisposte configura, pertanto, la distrazione ad altri fini di somme di denaro astrattamente di pertinenza del lavoratore dipendente;

– né il datore di lavoro può giustificare la propria condotta, adducendo una crisi di liquidità che avrebbe determinato l’impossibilità di adempimento delle obbligazioni previdenziali (crisi che, peraltro, nel caso di specie, risulta contraddetta dalla disponibilità del danaro sufficiente al pagamento delle retribuzioni, regolarmente corrisposte) (v. Cass. n. 37528/2013).

Obbligo di versamento dei contributi e retribuzione
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