Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 ottobre 2019, n. 26231

Rapporti di lavoro agricolo a tempo determinato ed
indeterminato, Omesso pagamento dei contributi, Cartella esattoriale

 

Rilevato che

 

1) La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza n.
1517/2013, accogliendo l’appello proposto dall’INPS avverso la sentenza del
Tribunale in funzione di Giudice del lavoro della stessa città, ha rigettato
l’opposizione proposta da T. di M. S. società consortile s.r.l. avverso la
cartella emessa dall’Inps relativa al pagamento di Euro 555273,09 dovuti in
ragione dell’omesso pagamento di contributi ed accessori, per rapporti di
lavoro agricolo a tempo determinato ed indeterminato intercorsi nel secondo
trimestre dell’anno 2008;

2) la Corte territoriale, premesso che l’INPS aveva
impugnato la pronuncia di primo grado laddove la stessa non aveva ritenuto
raggiunta la prova del credito sulla base della allegazione da parte dell’Inps
delle ricevute di presentazione dei modelli di denuncia dei rapporti di lavoro in
questione (DM10), ha affermato che i documenti allegati non erano mere ricevute
di presentazione di denunce, prive di contenuto decisivo, ma erano ricevute
dell’invio telematico delle denunce trimestrali, di valore confessorio,
presentate dalla ditta, firmate dal responsabile dell’ufficio ricevente ed
attestanti la conformità delle ricevute stesse ai DM10 inviati dalla società
con indicazione, non contestata dalla opponente, dell’azienda trasmittente, dei
mesi lavorati, delle giornate di ciascun mese lavorate dai singoli lavoratori e
la data di presentazione;

3) avverso tale sentenza, ricorre T. di M. S.
società consortile s.r.l. sulla base di due motivi: 1) violazione e falsa
applicazione degli artt. 2730 e 2733 cod.civ., 228
e 229 cod.proc.civ., ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5) cod.proc.civ., in
ragione dell’affermata confusione in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale
tra i contenuti delle ricevute di invio per via telematica e quelli delle
denunce trimestrali trasmesse periodicamente all’Ente previdenziale, con la
consequenziale impossibilità di riconoscere alle prime (effettivamente allegate
agli atti) valore confessorio in quanto prive del cd. animus confitendi
provenendo da soggetto diverso dal debitore; b) omesso esame di un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti che si
indica proprio nel contenuto della detta allegazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5 cod.proc.civ.;

4) l’Inps, anche quale mandatario di S.C.C.I. s.p.a.
ha resistito con controricorso;

 

Considerato che

 

1) i motivi, da trattare congiuntamente in quanto
connessi, sono infondati;

2) la sentenza impugnata ha, sostanzialmente,
effettuato una valutazione del materiale probatorio offerto dall’Inps
(costituito secondo la sentenza impugnata da <ricevute di invio per via
telematica delle denunce trimestrali presentate ai sensi della I. n. 81/2006, dalla società opponente, firmate
dal Responsabile dell’Ufficio ricevente (dr. ssa L.R., responsabile dell’Unità
di processo delle Aziende Agricole) attestante, quindi, la conformità delle
ricevute stesse ai DM10 inviati dalla società. In tali denunce sono indicati
l’azienda trasmittente, i mesi lavorati, le giornate di ciascun mese lavorate
dai singoli lavoratori e la data di presentazione su tali basi la Corte territoriale
ha affermato che non si trattava di <ricevute riassuntive> ma degli
stessi DM10 immessi nel sistema informatico dell’Istituto ed a questi ha
attribuito valore confessorio, dando atto che i relativi contenuti non erano
neanche stati contestati dalla opponente;

3) dunque, la motivazione si regge sulla
considerazione che i dati rinvenuti sulle ricevute riproducono quanto
dichiarato dall’azienda nei DM10 circa < […] i mesi lavorati, le giornate
di ciascun mese lavorate dai singoli lavoratori e la data di presentazione>
e che tali dati oltre che avere valore confessorio non sono stati contestati
nella loro veridicità;

4) è, dunque, evidente che il riferimento al valore
confessorio è pleonastico giacché la sentenza impugnata ha semplicemente dato
atto che l’opponente non aveva inteso negare la veridicità delle risultanze
delle ricevute relative alle concrete indicazioni sui rapporti di lavoro
denunciati e, da ciò, ha tratto la consequenziale conclusione che il credito
contributivo fosse provato essendo non contestati i fatti che lo avevano
generato;

5) il motivo di ricorso, laddove denuncia la
violazione della disciplina codicistica della rilevanza e degli effetti della
confessione, senza incrinare l’affermazione della non contestazione
dell’effettivo svolgimento dei singoli rapporti di lavoro e cioè dei fatti
generatori dell’obbligazione contributiva non adempiuta, dunque, non scardina i
fondamenti della decisione;

peraltro, la giurisprudenza di questa Corte di
cassazione (Cass. n. 4480 del 1977) ha negato efficacia di confessione
stragiudiziale, vertendosi in materia sottratta alla libera disponibilità delle
parti, alle dichiarazioni rese dall’imprenditore ai funzionari ispettivi, che
possono essere utilizzate e valutate dal giudice del merito quali concorrenti
elementi di convincimento, cosa avvenuta nel caso di specie ove la Corte di
merito ha formulato giudizio positivo sulla correttezza della pretesa non in
quanto ha applicato alla fattispecie contributiva l’istituto della confessione
stragiudiziale di cui agli artt. 2730 e ss.
cod.civ., ma in quanto ha accertato che l’opponente non solo aveva
denunciato proprio quei rapporti di lavoro in sede di presentazione dei DM10,
ma non ne aveva mai contestato l’esistenza e la consistenza per cui i medesimi
rapporti di lavoro agricolo erano stati correttamente indicati dall’INPS come
fatto costitutivo dell’obbligazione contributiva pretesa in cartella, in
sostanziale applicazione del disposto dell’art. 115
cod.proc.civ. e 416, comma 2, cod.proc.civ.
e cioè del principio di non contestazione che riguarda solo i fatti cd.
primari, costitutivi, modificativi od estintivi del diritto azionato (vd. Cass. 17966 del 2016);

6) infine, è, inammissibile il diverso profilo
sollevato relativo ad un vizio della motivazione derivante dall’ affermato
omesso esame sempre delle stesse ricevute telematiche, posto che qualora tali
ricevute fossero state esaminate sarebbe stato evidente che le medesime non
riproducevano i DM10 contenenti le denunce trimestrali;

7) in altri termini, si ipotizza che la motivazione
poggi sull’affermazione di principio che le ricevute delle denunce trimestrali
di manodopera siano riproduttive dei modelli DM10, senza che la Corte di merito
abbia verificato in concreto tale corrispondenza di contenuti;

8) tale ipotesi non è coerente, però, con la
motivazione adottata dalla sentenza impugnata che, al contrario, ha formulato
il proprio giudizio, come si è sopra evidenziato, sulla considerazione che,
secondo il disposto della legge n. 81 del 2006,
la procedura di compilazione e di accettazione telematica prevista da tale
legge determina la presunzione di conformità alle dichiarazioni contenute nei
DM10 inviati dalla ditta con i dati evincibili sulle ricevute telematiche; tali
dati, peraltro neanche trascritti dalla ricorrente, effettivamente riscontrati
dalla Corte territoriale sulle ricevute di cui si discute, sono stati in quanto
non contestati, considerati idonei a provare il fatto generatore
dell’obbligazione contributiva;

9) il motivo è, dunque, inammissibile giacché la
sentenza oggi gravata è stata pubblicata dopo il giorno 11.9.12, e dunque va fatta
applicazione del testo risultante dalla formulazione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54,
comma 1, lett. b), conv. con modif. dalla L. 7
agosto 2012, n. 134 (e tanto in forza della disciplina transitoria, di cui
al medesimo art. 54 cit., comma 3).
Di tale norma va fatta propria l’interpretazione adottata dalle Sezioni Unite
di questa Corte (Cass. Sez. Un., 22 settembre 2014, n. 19881), in forza della
quale:

– in primo luogo, il sindacato sulla motivazione è
ormai ristretto ai casi di inesistenza della motivazione in sé, cioè alla
“mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”,
alla “motivazione apparente”, al “contrasto irriducibile fra
affermazioni inconciliabili”, alla “motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile”;

– in secondo luogo, il controllo previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 concerne l’omesso esame di
un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo
della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali
(rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di
discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe
determinato un esito diverso della controversia): l’omesso esame di elementi
istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo
previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque
preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di
tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cassazione civile sez.
III, 09/02/2016, n. 2514);

10) resta, dunque, al di fuori dell’area applicativa
del nuovo art. 360 n. 5 c.p.c. anche l’ipotesi
– qui adombrata- di una lettura del documento allegato con finalità probatorie
che si assume essere inficiata da presupposto erroneo; infatti, la censura
riguarda, non già l’omesso esame di un “fatto storico”, principale o
secondario, qualificabile in quanto tale, bensì la mera valutazione negativa di
deduzioni difensive (cioè la negazione della necessaria corrispondenza dei dati
contenuti nelle ricevute con quanto dichiarato dalla ditta nei DM10) che la
ricorrente mira sovvertire a proprio vantaggio;

11) a ciò può aggiungersi che la sentenza impugnata
non ha ritenuto, come afferma la ricorrente, che dalle informazioni acquisite
dalle ricevute telematiche si potesse trarre l’indicazione monetaria delle
somme pretese per contribuzione omessa ma, bensì, del fatto generatore
dell’obbligazione contributiva il cui calcolo deriva dall’applicazione delle
norme di legge, posto che l’art. 01,
comma 6 d.l. n. 2 del 2006, conv. con mod. in I.
n. 81 del 2006, ha proprio richiesto che le comunicazioni trimestrali
relative alla manodopera agricola contengano le informazioni necessarie a tal
fine;

12) il ricorso va, quindi, rigettato e le spese
seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 1800,00
per compensi, oltre euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del
15% e spese accessorie di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115
del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo
di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

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