Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 ottobre 2019, n. 26767

Lavoro, Violazione delle disposizioni della contrattazione
collettiva e di legge in materia di lavoro straordinario, Sanzioni,
Applicabilità

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’appello di Catanzaro, con sentenza
depositata I’11.3.2015, respingeva il gravame proposto dalla S. s.p.a. avverso
la pronunzia del Tribunale di Cosenza che aveva dichiarato l’inammissibilità
dell’opposizione proposta dalla detta società avverso l’ordinanza ingiunzione
del 12.4.2010 per euro 42.520,00, avente ad oggetto violazione delle
disposizioni della contrattazione collettiva e di legge in materia di lavoro
straordinario.

1.1. La Corte osservava che l’opposizione doveva
ritenersi ammissibile e che, con riguardo al regime sanzionatone connesso alle
violazioni del regime di protezione della sicurezza e salute dei lavoratori
secondo la disciplina applicabile ratione temporis, il quarto comma dell ‘art. 18 bis, riferito alla
violazione del comma 1 dell’art. 7, non rendeva necessaria la specificazione
“per ogni singolo lavoratore e per ciascun periodo cui si riferisca la
violazione”, con la conseguenza che correttamente l’ordinanza ingiunzione
aveva calcolato la sanzione in relazione ad ogni lavoratore e per ciascun
periodo lavorativo.

1.2. Per quanto concerneva l’applicazione
dell’istituto della continuazione, lo stesso secondo la Corte doveva ritenersi
applicabile a tutte le sanzioni amministrative, ma nell’ipotesi di specie la
condotta era intrinsecamente grave, sicché, essendo la valutazione
discrezionale, il beneficio non poteva essere accordato, alla stregua di tali
considerazioni, diverse da quelle della sentenza impugnata, che comunque andava
confermata.

2. Di tale decisione domanda la cassazione la S.
s.p.a. sulla base di due motivi, illustrati nella memoria depositata ai sensi
dell’art. 378 c.p.c., cui resiste il Ministero,
con controricorso.

1. Con il primo motivo, è dedotta la violazione
dell’art. 30, co. 3, della I. 11 marzo 1953, n. 87,
degli artt. 1, 5 e 9 del r.d.l. 15 marzo 1923 n. 692,
degli artt. 1 e 27 della I. 22 febbraio 1934 n.
370, osservandosi che le sanzioni amministrative applicate alla società
derivano dall’art. 18 bis, co. 3 e
4, del d. Igs. 66/2003, introdotto dall’art. 1, co. 1, lett. f) del d. Igs. n.
213/2004, norme dichiarate illegittime costituzionalmente e quindi
insuscettibili di applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della
decisione del 4/11 giugno 2014 n. 153, con la conseguenza che, a decorrere dal
12 giugno 2014 (prima dell’adozione della sentenza impugnata) le norme, sulla
cui base erano state applicate le sanzioni, non potevano trovare applicazione
e, secondo la Corte Costituzionale, avrebbero dovute essere applicate, a tutto
concedere, le disposizioni di cui alla disciplina previgente, la cui abrogazione,
disposta dalla norma incostituzionale, era stata travolta dalla predetta
decisione.

2. Con il secondo motivo, si denunzia la violazione
dell’art. 18 bis c. 4 d. Igs.
66/2003, in subordine rilevando che, qualora fosse stato ritenuta corretta
l’applicazione della norma dichiarata incostituzionale, in ogni caso, come
evincibile dalla modifica apportata dall’art. 41 del d.l. 25 giugno 2008 n.
112, conv. in legge 233/2008, la sanzione
di cui all’art. 18 bis, co. 4, d.
Igs. 66/2003 era unica, indipendentemente dal numero dei lavoratori e dai
periodi di riferimento della violazione.

3. La sentenza impugnata deve essere cassata, in
accoglimento del primo motivo (cfr., per un’ipotesi analoga, Cass. 14.12.2007
n. 26275 e, da ultimo, Cass. 13.5.2019), a seguito del nuovo quadro normativo
determinatosi per effetto della sentenza della Corte
Costituzionale n. 153/2014, che ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 18-bis,
commi 3 e 4, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 (Attuazione delle
direttive 93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni aspetti
dell’organizzazione dell’orario di lavoro), nel testo introdotto dall’art. 1, comma 1, lettera f), del
decreto legislativo 19 luglio 2004, n. 213.

4. La ragione della declaratoria di
incostituzionalità risiede nell’eccesso di delega, ex art. 76 Cost. (violazione dell’art. 2, comma 1, lett. c), con
riferimento alla legge di delega n. 39 del 2002,
la quale ha previsto come criterio direttivo in materia di sanzioni
amministrative che, nel passaggio dal precedente al nuovo regime, in ogni caso
“saranno previste sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate
dalle leggi vigenti per le violazioni che siano omogenee e di pari offensività
rispetto alle infrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi”.

5. Con riguardo all’ambito di incidenza della
dichiarazione di illegittimità costituzionale, ai sensi dell’art. 136 Cost. e della L. 11 marzo 1953, n. 87, art. 30, comma 3, la
norma dichiarata costituzionalmente illegittima non può più avere applicazione
dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza della Corte
Costituzionale e la sentenza dichiarativa dell’illegittimità costituzionale si
traduce in un ordine, rivolto, tra l’altro, ai giudici, di non applicare più la
norma illegittima, purché non si tratti di rapporti esauriti.

6. E’ pacifico che nel caso di specie il rapporto
non sia ancora esaurito, essendo ancora sub iudice, e quindi non è preclusa
l’applicazione dello ius superveniens, perché è ancora in corso la controversia
sulla misura della sanzione e l’applicazione del decisum costituzionale va a
vantaggio di chi ricorre, avendo la ricorrente richiesto con il ricorso per
cassazione che fosse ritenuta erronea in diritto la decisione sulle modalità di
determinazione della sanzione adottata dal giudice del merito, nei fatti
mirando ad ottenere una sanzione di importo inferiore.

7. La società ricorrente ha mosso una contestazione
specifica sull’applicabilità dell’art.
18 bis, co. 4, del d. Igs. n. 66/2003 e, comunque, ai fini della rilevanza,
nel giudizio di cassazione, del nuovo quadro normativo determinatosi per
effetto della sentenza della Corte Costituzionale
n. 153/2014, è sufficiente che sia in contestazione la determinazione
dell’importo, in concreto, della sanzione, essendo questo il risultato avuto di
mira, sia pure attraverso la contestazione del criterio legale per la sua
quantificazione.

8. In conclusione, la dichiarazione di illegittimità
costituzionale, ad opera della sentenza n.
153/2014 della Corte costituzionale, dell’art. 18 bis, commi 3 e 4, del decreto
legislativo 8 aprile 2003 n. 66, nel testo introdotto dall’art. 1 comma 1 lettera f) del decreto
legislativo 19 luglio 2004 n. 213, determina la perdita di efficacia erga
omnes con effetto retroattivo della norma relativamente a situazioni o rapporti
cui sarebbe ancora applicabile la norma stessa, di talché, ove sia ancora in
discussione, nei giudizi pendenti, la entità della sanzione per le violazioni
previste dalle norme nei detti commi richiamate, non può trovare più
applicazione la norma dichiarata incostituzionale, espunta dall’ordinamento.

9. Quanto alla normativa applicabile a seguito della
detta declaratoria di incostituzionalità, è stato affermato da questa Corte
proprio in tema di sanzioni amministrative per violazioni in materia di orario
di lavoro che, in conseguenza della caducazione dell’art. 18 bis, commi 3 e 4, del d.lgs.
n. 66 del 2003, per effetto della sentenza della Corte Cost. 4 giugno 2014 n. 153, per il
principio della cd. reviviscenza normativa, trova applicazione la precedente
disciplina sanzionatoria, di cui agli artt. 9 del r.d.l. n. 692 del 1923
e 27 della I. n. 370 del 1934,
già abrogata dalla disposizione dichiarata incostituzionale (Cfr. Cass. 9.11.2017 n. 26603).

10. A questa conclusione si è pervenuti ritenendo
che su tale tematica (effetti della sentenza della Corte costituzionale su una
disposizione di legge abrogativa di altra legge precedente), occorra dare
continuità ad un principio di diritto già affermato da questa Corte secondo il
quale, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale di una
disposizione di legge abrogativa di altra legge precedente, ridiventa operante
la norma abrogata dalla disposizione dichiarata illegittima, in quanto, con la
perdita fin dall’origine dell’efficacia della norma, vengono travolti anche gli
effetti abrogativi che essa produceva, a differenza dell’abrogazione
legislativa che opera soltanto dall’entrata in vigore del provvedimento che la
contiene e che, quindi, salvo che sia espressamente disposto, non ha effetto
ripristinatorio delle norme precedenti, che erano state a loro volta da esso
abrogate (cfr. in tali termini Cass. 26603/2017
cit., che richiama, ex plurimis, Cass. n. 3093 del 1989, Cass. n. 13813 del
2000, Cass. n. 13182 del 2010, Cass. n. 257 del 2012);

11. Pertanto, alla luce di quanto sopra, deve
trovare applicazione anche nel caso di specie il richiamato principio della
reviviscenza normativa, con conseguente efficacia applicativa, nell’arco
temporale disciplinato dall’abrogato art.
18-bis del d.lgs. n. 66 del 2003, della precedente disciplina ricavabile
dal r.d.l. n. 692/23 e dalla legge n. 370/34.

12. E’ stato osservato che a siffatta conclusione
non osta il fatto che quest’ultima normativa, della quale è stata affermata la
reviviscenza, sia stata abrogata, espressamente, non dall’art. 18-bis, ma dall’art. 19 dello stesso d.lgs. n. 66 del
2003, disposizione, però, quest’ultima, non oggetto della pronuncia di
incostituzionalità, e che sussistono vari elementi esegetici che consentono di
ritenere la sentenza della Corte costituzionale n.
153/2014 abrogativa in toto del sistema sanzionatorio introdotto dal d.lgs. n. 66 del 2003 (v. passaggi argomentativi
svolti al riguardo da Cass. 26603/17 cit., che
ha evidenziato come la reviviscenza sia confermata dalla stessa sentenza della Corte costituzionale n. 153 del 2014, laddove dà
conto dell’errore in cui è incorso il legislatore, che “ha riformato il
sistema sanzionatorio nella erronea convinzione di poter intervenire
liberamente per l’assenza di norme sanzionatorie precedenti”);

13. Il secondo motivo, che attiene all’applicabilità
dell’istituto della continuazione, è all’evidenza assorbito dall’accoglimento
del primo.

14. Alla cassazione della decisione consegue che la
Corte d’appello di Catanzaro – alla quale, in diversa composizione, la causa va
rinviata – dovrà esaminare le questioni relative alla quantificazione delle
sanzioni in conformità alla normativa ricavabile dal r.d.l.
n. 692/23 e dalla legge n. 370/34,
provvedendo, altresì, in ordine alle spese del giudizio di Cassazione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo, assorbito il secondo,
cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte
d’appello di Catanzaro in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche
alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

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