Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 ottobre 2019, n. 26963

Inquadramento, C.c.n.I. settore trasporti merci, Lavoro
straordinario e indennità di trasferta, Differenze retributive, Direttiva 2002/15/CE

 

Fatti di causa

 

1. Il Tribunale di Udine condannava la società N.T.
s.r.l. a pagare a C.S., operaio specializzato con inquadramento nel 3° livello
super del c.c.n.I. settore trasporti merci, a titolo di differenze retributive
per compenso del lavoro straordinario svolto e per indennità di trasferta, euro
23.825,12, oltre accessori di legge, in relazione a rapporto di lavoro
protrattosi dal 14.4.2003 al 16.4.2004 e dal 1.7.2004 al 30.3.2006.

2. La Corte d’appello di Trieste, in riforma della
indicata pronuncia, con sentenza del 12.3.2015, riduceva l’importo dovuto ad
euro 22.203,35, osservando che doveva ritenersi applicabile alla fattispecie la
disciplina di cui all’art. 11 del c.c.n.I. 13.6.2000, che, con esclusione dei
tempi di riposo intermedio, considerava quale lavoro straordinario il lavoro
prestato oltre le 40 ore settimanali corrispondenti all’ orario normale
indicato nel contratto individuale di lavoro per prestazioni lavorative
discontinue. Aggiungeva, per quanto rileva nella presente sede, che, in relazione
alle previsioni delle norme dei regolamenti comunitari ed al D. Lgs. 234/07 sull’orario di lavoro dei
lavoratori che effettuavano operazioni mobili di autotrasporto, il d. lgs.
suindicato era entrato in vigore dopo la cessazione del rapporto di lavoro del
S., mentre le direttive comunitarie, suscettibili quanto al relativo contenuto,
di immediata applicazione, avevano efficacia cogente solo nei confronti degli
Stati membri cui erano rivolte.

3. Di tale decisione domanda la cassazione la
società, affidando l’impugnazione a due motivi. I.S. è rimasto intimato.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo, la società denuncia
violazione dell’art. 2 del D. lgs.
66/2003 e violazione della direttiva
comunitaria 2002/15/CE, entrambe in relazione al vizio di cui all’art. 360, n. 3, c.p.c., formulando richiesta di
rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia della UE ai sensi dell’art. 267 TFUE, sull’assunto che
la sentenza abbia errato nel ritenere applicabile al caso in esame il d. Igs. 66/2003, il cui art. 2 prevede per il lavoratori
mobili l’esclusione da tale disciplina per quanto attiene ai profili di cui
alla direttiva 2002/15/CE; richiama sentenza
della CGUE del 5.10.2004 C-397, riunita a C-403/0, che ha affermato che la direttiva 93/104 integra le condizioni necessarie
per produrre un effetto diretto, ricordando che gli obblighi degli stati membri
derivanti da una direttiva valgono per tutti gli organi degli stessi, ivi
compresi quelli giurisdizionali, per cui non v’è ragione di non ritenere
direttamente applicabile la Direttiva 2002/15/CE,
cui lo Stato Italiano aveva l’obbligo di conformarsi entro e non oltre il 23
marzo 2005. Secondo la ricorrente, la specificità delle norme risulta
confermata dal tenore letterale del d. Igs.
234/2007, che, all’art. 4,
comma 1, dispone che la durata media della settimana lavorativa non può
superare le 48 ore e dalle definizioni di lavoratore mobile fornite dal d. Igs.
237/2007 e dalla direttiva, sostanzialmente coincidenti.

1.2. Viene sollecitato pertanto il rinvio
pregiudiziale, con la richiesta di chiarire se, in caso di mancata
trasposizione della direttiva, l’art.
4 lett. a) della stessa, che fissa in 48 ore la durata media della
settimana lavorativa per i lavoratori mobili – così come definiti dall’art. 3
lett. d) – sia suscettibile di produrre un effetto diretto, e si ritiene
giustificato il rinvio in vista della necessità di porre quesito diretto, in
quanto rilevante per la pertinenza della questione in ragione della
riconducibilità dello straordinario richiesto dal S. all’applicabilità o meno
dell’orario normale previsto dalla direttiva (48 ore), ovvero dall’art. 3 del d. Igs. 66/2003 (40 ore).

2. con il secondo motivo, è dedotta la violazione
dell’art. 2697, comma 1, c.c., in relazione
all’art. 360, n. 3, c.p.c., sostenendosi che il
lavoratore non abbia assolto all’onere della prova a suo carico incombente,
essendo le prove assunte connotate da contraddittorietà.

3. Il ricorso è infondato.

4. Con il primo motivo, si invoca l’efficacia
diretta della Direttiva, adducendosi la mancata trasposizione entro il
23.3.2005 in virtù della previsione dell’obbligo dello Stato Italiano di
conformarsi alla stessa entro e non oltre la predetta data: a ciò consegue che
in relazione al periodo antecedente la data suddetta nulla poteva pretendersi e
che al più, in astratto, la questione riguarderebbe il periodo dal 23.3.2005 al
30.3.2006, di cessazione del rapporto di lavoro.

5. Si tratta di valutare le conseguenze della
mancata trasposizione della Direttiva
2002/15/CE, art. 4 lett. a) dopo il previsto limite temporale, ma al
riguardo occorre considerare che tale direttiva non ha posto un limite
inderogabile quanto ai presupposti della qualificazione del lavoro
straordinario per la categoria dei lavoratori mobili che rendono prestazioni
discontinue. Come messo in evidenza dalla costante giurisprudenza di questa
Corte, la normativa europea si preoccupa di porre il limite dell’inderogabilità
esclusivamente in senso peggiorativo e così deve ritenersi anche per i
lavoratori mobili che esercitino operazioni di autotrasporto, lasciando invece
liberi gli stati membri (e l’autonomia collettiva, in base a quanto stabilito
dai principi generali) di introdurre normative di favore (art. 10 della Direttiva:
“Disposizioni più favorevoli La presente direttiva non pregiudica la
facoltà degli Stati membri di applicare o di adottare disposizioni legislative,
regolamentari o amministrative più favorevoli alla tutela della sicurezza e
della salute delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto, o
di promuovere o consentire l’applicazione di contratti collettivi o di altri
accordi stipulati tra le parti sociali che risultino più favorevoli per la
tutela della sicurezza e della salute di tali lavoratori. L’attuazione della
presente direttiva non costituisce una giustificazione per il regresso del
livello generale di protezione dei lavoratori di cui all’articolo 2, paragrafo
1)”.

6. Pertanto, pur condividendosi i rilievi della
ricorrente sulla suscettibilità della direttiva di produrre un effetto diretto,
con obblighi degli stati membri estesi agli organi giurisdizionali degli
stessi, le argomentazioni della società si fondano sul travisamento della
portata dell’inderogabilità sancita dalla Direttiva, malgrado le chiare
previsioni a proposito della unidirezionalità della stessa, ossia della sua
limitata valenza in senso protettivo per il lavoratore: il fatto che il
legislatore nazionale abbia previsto una durata dell’orario normale di lavoro
inferiore, con riflessi sul computo della straordinario rientra appieno
nell’ambito di derogabilità in melius che la normativa europea consente. In
definitiva, la previsione comunitaria si riferisce all’impossibilità di
prevedere per i lavoratori mobili una durata media della settimana lavorativa
superiore alle 48 ore, come limite massimo, a garanzia del diritto del
lavoratore, ma non preclude al legislatore nazionale la fissazione di una
durata inferiore dell’orario lavorativo ordinario.

7. Il secondo motivo prospetta la violazione dell’art. 2697 c.c. sul rilievo che le risultanze
istruttorie, a differenza di quanto ritenuto dal giudice del merito, sarebbero
contraddittorie e per alcune dichiarazioni si tende a contestarne
l’attendibilità in relazione alla impossibilità per i testi di riferire fatti
svoltisi non alla loro presenza. Una violazione o falsa applicazione di norme
di legge, sostanziale o processuale, non può, tuttavia, dipendere o essere in
qualche modo dimostrata dall’erronea valutazione del materiale probatorio. Al
contrario, un’autonoma questione di malgoverno dell’art.
2697 cod. civ. può porsi solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice
di merito abbia invertito gli oneri probatori. E poiché, in realtà, una tale
situazione non è rappresentata nel motivi anzi detto, la relativa doglianza è
mal posta. Nella specie, la violazione della norma denunciata è tratta, in
maniera incongrua e apodittica, dal mero confronto con le conclusioni cui è
pervenuto il giudice di merito. Di tal che la stessa – ad onta dei richiami
normativi in essi contenuti – si risolve nel sollecitare una generale
rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne un nuovo apprezzamento nel
merito, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di
denuncia di vizio di motivazione.

8. Alle svolte considerazioni consegue il rigetto
del ricorso.

9. Nulla va statuito sulle spese, atteso che I.S. è
rimasto intimato.

10. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, dPR 115 del
2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002 art. 13, comma 1
quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da
parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’ art. 13, comma 1 bis, del citato
D.P.R., ove dovuto.

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