Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 novembre 2019, n. 28930

Verbale ispettivo Inps, Mancato pagamento di contributi,
Perdita degli sgravi ex art. 44, L.
n. 448/2001, Retribuzione applicata, Onere della prova

Rilevato che

 

1. G.C. proponeva opposizione avverso la cartella
esattoriale emessa in forza di verbale ispettivo Inps che aveva accertato il
mancato pagamento di contributi in relazione a due lavoratori per il periodo
2002-2004 e la conseguente perdita degli sgravi ex art. 44 della I. n. 448 del 2001.
Il Tribunale di Catanzaro rigettava l’opposizione e la sentenza di primo grado
veniva confermata dalla Corte d’appello della stessa città.

2. La Corte argomentava che l’onere della prova
dell’esistenza del diritto agli sgravi grava sul contribuente, prova che nel
caso non era stata assolta in quanto non era stato provato che le retribuzioni
erogate ai lavoratori fossero state equivalenti a quelle previste dai C.C.N.L.,
considerato che la retribuzione mensile tabellare non è soltanto quella
contenuta nei minimi del C.C.N.L. , ma è comprensiva di tutte le altre voci
comunque assoggettabili a contribuzione (contingenza, EDR, aumenti di anzianità
ed altre indennità non consistenti in rimborso spese) la cui mancata erogazione
gli ispettori avevano accertato. Quanto poi alla mancata decurtazione delle ore
di permesso, le richieste di permesso da parte dei lavoratori avevano ad
oggetto permessi retribuiti e non permessi privi di retribuzione, sicché i
relativi compensi avrebbero dovuto essere assoggettati a contribuzione.
Aggiungeva che correttamente gli ispettori avevano diviso la retribuzione
mensile per 26 giorni, e non per 22 come prospettato dalla società che allo
scopo richiamava l’art. 25 del CCNL, in quanto i lavoratori erano stati assunti
per lo svolgimento di n. 26 giornate lavorative mensili.

3. Per la cassazione della sentenza G.C. ha proposto
ricorso, affidato a due motivi, cui ha resistito l’Inps – in proprio e per
S.C.C.I. s.p.a. – con controricorso.

 

Considerato che

 

4. come primo motivo il ricorrente deduce la
violazione o falsa applicazione di norme di diritto e del contratto collettivo
nazionale di lavoro. Sostiene che la retribuzione applicata ai due dipendenti e
riportata nelle buste paga non sarebbe solo quella minima tabellare, ma
conterrebbe in sé anche le ulteriori voci (contingenza, EDR, aumenti di
anzianità ed altre indennità non consistenti rimborso spese) a cui la stessa
Corte fa riferimento nella sentenza gravata e che gli importi sarebbero
equivalenti alle tabelle allegate al C.C.N.L. Aggiunge che il divisore mensile
22 ai sensi dell’articolo 25 del C.C.N.L. di categoria non rappresenta le
giornate lavorative.

5. Come secondo motivo deduce l’ omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della
controversia e sostiene che non si comprenderebbe dalla motivazione del giudice
territoriale quale sia il contratto collettivo nazionale di lavoro utilizzato
dagli ispettori. Aggiunge che nei casi in cui per alcuni mesi è stata inserita
una retribuzione inferiore a quella prevista dal CCNL, ciò sarebbe dovuto al
fatto che venivano decurtate le ore di permesso non retribuito richieste
formalmente dai lavoratori ex articolo 24 del C.C.N.L. Lamenta che la Corte
abbia rigettato la richiesta di c.t.u. ritenendola meramente esplorativa,
mentre era finalizzata ad accertare la corrispondenza della retribuzione
corrisposta con quella dovuta al dipendente.

6. Il ricorso non è fondato.

Oggetto del contendere era la sussistenza del
presupposto per il diritto agli sgravi contributivi ex art. 44 della I. n. 448 del 2001
costituito dall’ osservanza dei contratti collettivi nazionali per i soggetti
assunti.

7. La Corte territoriale ha correttamente fatto
applicazione del principio, in più occasioni ribadito da questa Corte, secondo
il quale in tema di sgravi contributivi, che costituiscono una situazione di
eccezione in senso riduttivo dell’obbligo contributivo, grava sull’impresa che
vanti il diritto al beneficio l’onere di provare la sussistenza dei necessari
requisiti, in relazione alla fattispecie normativa di volta in volta invocata.
(v ancora da ultimo n. 1157 del 18/01/2018 e Cass. n. 18160 del 10/07/2018).

8. La stessa Corte ha poi operato la propria
valutazione valorizzando le dichiarazioni rese agli ispettori verbalizzanti,
nonché la documentazione prodotta, giungendo a confermare la tesi fatta propria
dall’istituto previdenziale in ordine al mancato rispetto del CCNL di
categoria.

9. Il primo motivo del ricorso, nella parte in cui
denuncia la violazione dell’art. 25 comma 3 del CCNL, è inammissibile, in
quanto estrapola il testo della norma dal contesto della disciplina nella quale
è inserito, neppure producendo il testo integrale del CCNL ma solo un estratto,
sì che non è dato comprendere a quali fini ed in quale ambito nella previsione
contrattual-collettiva si debba applicare il coefficiente 22 della retribuzione
mensile (in luogo del coefficiente corrispondente alle giornate effettivamente
lavorate applicato dalla Corte di merito al fine di individuare la retribuzione
giornaliera corrisposta).

10. Tutti e due i motivi per il resto (anche ove
viene denunciata la violazione dell’art. 15 del CCNL ) risultano parimenti
inammissibili in quanto pongono in discussione l’accertamento fattuale operato
dal giudice di merito, in violazione dei limiti del vaglio di legittimità sulla
motivazione stabiliti dal nuovo art. 360 n. 5 c.p.c.,
applicabile ratione temporis, quali chiariti dalle Sezioni Unite di questa
Corte con le sentenze del 07/04/2014, n. 8053 e
8054, in quanto si limitano a patrocinare un diverso esito dell’
apprezzamento di fatto, senza prospettare l’omesso esame di un fatto storico,
principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o
dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le
parti e abbia carattere decisivo.

11. Quanto alla mancata ammissione della consulenza
tecnica, la Corte ha ritenuto che essa fosse inammissibile in quanto
finalizzata a fornire la prova di circostanze il cui onere probatorio incombeva
sulla parte. In tal senso, il giudice del merito ha correttamente applicato il
principio secondo il quale la consulenza tecnica non può valere ad esonerare le
parti dalla prova dei fatti dalle stesse dedotti e posti a base delle rispettive
richieste, fatti che devono essere dimostrati dalle medesime parti alla stregua
dei criteri di ripartizione dell’onere della prova previsti dall’art. 2697 cod. civ. (Cass.
n. 21412 del 05/10/2006).

12. Una violazione della legge processuale ad opera
del giudice del merito che rifiuti l’ammissione della consulenza tecnica sotto
il profilo del mancato assolvimento, da parte dell’istante, dell’onere
probatorio di cui all’art. 2697 cod. civ. può
peraltro configurarsi solo quando risulti che l’ accertamento delle situazioni
di fatto rilevanti e puntualmente allegate potesse essere compiuto
esclusivamente attraverso il ricorso alle cognizioni tecniche proprie dell’ausiliare
(v. n. 16256 del 19/08/2004 , Cass. n. 13401 del 22/06/2005), il che nel caso
neppure risulta essere stato dedotto dal ricorrente.

13. Il ricorso deve dunque essere rigettato.

14. Le spese, liquidate come da dispositivo in
favore dell’istituto controricorrente, seguono la soccombenza.

15. L’esito del giudizio determina la sussistenza
dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30
maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al
pagamento in favore dell’Inps delle spese del giudizio di legittimità, che
liquida in complessivi € 4.000,00 per compensi professionali, oltre ad € 200,00
per esborsi, rimborso delle spese generali nella misura del 15% ed accessori di
legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis
dello stesso art. 13.

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