Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 novembre 2019, n. 30070

Licenziamento per motivo oggettivo, Servizio di raccolta dei
rifiuti porta a porta, Reintegrazione del dipendente, Pagamento della
retribuzione globale di fatto, Prova della sussistenza del giustificato motivo
oggettivo posto a base del licenziamento, Onere della prova, Smentita della
soppressione del ruolo di coordinatore del servizio raccolta porta a porta

Fatti di causa

 

1. La Corte di Appello di Catanzaro, nell’ambito di
un procedimento ex lege n. 92 del 2012, con
sentenza del 20 febbraio 2018, ha confermato la pronuncia di primo grado circa
l’illegittimità del licenziamento per motivo oggettivo intimato il 14 gennaio
2014 ad A.F. dalla E.O. Spa, con condanna della società alla reintegrazione del
dipendente ed al pagamento della retribuzione globale di fatto dal recesso
nella misura massima di 12 mensilità, oltre contributi e accessori.

2. La Corte ha rilevato “che, per come evidente
dall’atto di licenziamento del 14.1.2014, nonché dalla memoria di costituzione
in giudizio di E.O. Spa del 30.12.2014, l’atto espulsivo di F.A. era motivato
dalla superfluità ed inutilità della figura del coordinatore del servizio di
raccolta dei rifiuti porta a porta su tutto il territorio comunale e non solo
sulla sola zona di Cosenza Centro che il F. curava fino all’aprile 2013”.
Ha considerato che “il  datore di
lavoro avrebbe dovuto provare … che la figura del coordinatore del servizio
raccolta rifiuti porta a porta … era stata soppressa su tutto il territorio
della città di Cosenza e non solo, per come sostiene in questa sede
l’appellante, sulla zona del centro storico cui il F. era preposto”,
perché — secondo la Corte – “un conto è porre a base del licenziamento il
motivo costituito dalla soppressione tout court della figura del coordinatore
del servizio porta a porta, altro è la soppressione di tale figura su una
limitata zona del territorio comunale”.

3. La Corte territoriale ha quindi ritenuto,
conformemente al giudice di primo grado, “che all’esito dell’istruttoria
espletata il datore di lavoro non ha fornito, per come era suo onere, prova
della sussistenza del giustificato motivo oggettivo posto a base del
licenziamento”. Per la Corte “dalle dichiarazioni dei testimoni è
emerso, in netto contrasto con le deduzioni datoriali, la perdurante vigenza
della figura del coordinatore del servizio porta a porta ben oltre il periodo
di tempo oggetto dell’intimato licenziamento” e, considerato che C.T.
aveva confermato di svolgere “il ruolo di coordinatore su tutto il
territorio cittadino”, risultavano smentiti “da un lato … gli
iniziali assunti datoriali secondo cui tale teste non svolgeva più le mansioni
di coordinatore, nemmeno nella sua zona di competenza, …, dall’altro dimostra
che C. T. aveva assorbito le funzioni del F. sul centro storico”.

4. In punto di tutela applicabile la Corte ha
confermato quella prevista dai commi 4 e 7 dell’art. 18 della I. n. 300 del 1970,
come novellato dalla I. n. 92 del 2012, già
accordata sin dalla fase sommaria del giudizio per manifesta insussistenza del
motivo addotto a giustificazione del recesso. “All’esito della istruttoria
espletata – motiva la Corte – è infatti seccamente smentita la soppressione del
ruolo di coordinatore del servizio raccolta porta a porta. E ciò sia che si
faccia riferimento all’intero territorio del Comune di Cosenza, che è poi
l’unico motivo posto a base del licenziamento di F. A., sia che si faccia
riferimento, secondo le nuove, quanto infondate, allegazioni della reclamante
alla sola zona di Cosenza centro storico, curata dal F. fino all’aprile del
2013 e successivamente da C. T.”.

5. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto
ricorso E. O. Spa con 3 motivi, cui ha resistito il lavoratore con
controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia
“violazione e falsa applicazione degli artt.
1362, 1366, 1364,
1367, in relazione all’art. 1324 c.c., per avere la sentenza impugnata
interpretato l’atto di licenziamento nel senso che lo stesso riguardasse i
coordinatori addetti al servizio di raccolta differenziata in generale e non
solo il F.”.

Si lamenta che le sentenze di entrambi i gradi di
merito muoverebbero dall’errato presupposto che il licenziamento in esame
sarebbe stato intimato “per soppressione di tutte le mansioni di
coordinatore del servizio in questione presenti nell’organizzazione
aziendale” mentre la lettera di comunicazione del recesso andrebbe
diversamente interpretata secondo i criteri ermeneutici dettati dalla legge.

2. Il motivo non può trovare accoglimento.

La critica all’operata interpretazione della
«comunicazione», pure possibile sotto il profilo della violazione dei canoni
legali di ermeneutica contrattuale di cui all’art.
1362 c.c. e segg. (ex plurimis, Cass. n. 27168 del 2006), in relazione
all’attività interpretativa di atti e documenti è riservata al giudice di
merito e non può tradursi in una ricostruzione della volontà espressa negli
atti, semplicemente contrapponendo – come nella specie – una diversa (e come
tale, inammissibile) soluzione interpretativa (da ultimo Cass. n. 181 del 2019).

Invero per sottrarsi al sindacato di legittimità
quella data dal giudice al testo non deve essere l’unica interpretazione
possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili,
interpretazioni; sicché, quando sono possibili due o più interpretazioni, non è
consentito – alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal
giudice di merito – dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata
privilegiata l’altra (cfr. Cass. n. 10131 del 2006).

Infatti il ricorso in sede di legittimità –
riconducibile, in linea generale, al modello dell’argomentazione di carattere
confutativo – laddove censuri l’interpretazione accolta dalla sentenza
impugnata, non può assumere tutti i contenuti di cui quel modello è
suscettibile, dovendo limitarsi ad evidenziare l’invalidità
dell’interpretazione adottata attraverso l’allegazione (con relativa
dimostrazione) dell’inesistenza o dell’assoluta inadeguatezza dei dati tenuti
presenti dal giudice di merito o anche solo delle regole giustificative (anche
implicite) che da quei dati hanno condotto alla conclusione accolta, e non
potendo, invece, affidarsi alla mera contrapposizione di un risultato diverso
sulla base di dati asseritamente più significativi o di regole di
giustificazione prospettate come più congrue (in termini: Cass. n. 18375 del
2006).

Peraltro la Corte di Appello, nel caso che qui
occupa, ha operato la ricostruzione di detta volontà, anche facendo riferimento
al comportamento delle parti e, in particolare, alle difese articolate dalla
società nel primo grado del giudizio e mutate in grado d’appello, con un
profilo non adeguatamente censurato da parte ricorrente.

3. Il secondo motivo denuncia “violazione e
falsa applicazione dell’art. 3
I. n. 604 del 1966 in relazione all’art. 41
Cost.”.

Si deduce che “se anche a motivo di
licenziamento fosse stata addotta la soppressione ‘totale” della figura di
coordinatore dei servizi di raccolta differenziata in generale, e dunque un
motivo tale da coinvolgere in prospettiva anche l’altro coordinatore, il motivo
in esame certamente comprendeva la soppressione della mansione di coordinatore
coperta dal F. come nel più sta nel meno”.

Si lamenta l’ingerenza nelle scelte imprenditoriali
perché i giudici avrebbero dovuto limitarsi a verificare se fosse stata o meno
effettivamente soppressa la posizione di lavoro cui il F. era addetto, essendo
irrilevante che l’azienda avesse deciso di licenziare un solo coordinatore del
servizio e non entrambi coloro che erano adibiti a tale compito.

4. La censura non può trovare accoglimento.

Come noto questa Corte (Cass.
n. 25201 del 2016) – dopo aver ricordato la contrapposizione tra
l’orientamento giurisprudenziale che, ai fini della legittimità del recesso,
ritiene necessario che la modifica organizzativa sia stata disposta al fine di
fronteggiare una situazione di crisi dell’azienda non contingente e l’orientamento
che invece ritiene legittimo il recesso anche quando la modifica organizzativa
sia stata attuata dal datore di lavoro allo scopo di ridurre i costi o di
incrementare i profitti – ha affermato che “tratti comuni ad entrambi gli
orientamenti sono rappresentati dal controllo giudiziale sull’effettività del
ridimensionamento e sul nesso causale tra la ragione addotta e la soppressione
del posto di lavoro del dipendente licenziato. Parimenti costituisce limite al
potere datoriale costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità
quello identificato nella non pretestuosità della scelta organizzativa”.

Tanto che, secondo il richiamato arresto,
“resta saldo il controllo sulla effettività e non pretestuosità della
ragione concretamente addotta dall’imprenditore a giustificazione del
recesso”, per cui se si accerta che la ragione addotta a giustificazione
del licenziamento “non sussiste, il recesso può essere dichiarato
illegittimo dal giudice del merito non per un sindacato su di un presupposto in
astratto estraneo alla fattispecie del giustificato motivo oggettivo, bensì per
una valutazione in concreto sulla mancanza di veridicità o sulla pretestuosità
della ragione addotta dall’imprenditore. Ovverosia l’inesistenza del fatto
posto a fondamento del licenziamento così come giudizialmente verificata rende
in concreto il recesso privo di effettiva giustificazione”. Parimenti
“deve sempre essere verificato il nesso causale tra l’accertata ragione
inerente l’attività produttiva e l’organizzazione del lavoro come dichiarata
dall’imprenditore e l’intimato licenziamento in termini di riferibilità e di
coerenza rispetto all’operata ristrutturazione. Ove il nesso manchi, anche al
fine di individuare il lavoratore colpito dal recesso, si disvela l’uso
distorto del potere datoriale, emergendo una dissonanza che smentisce
l’effettività della ragione addotta a fondamento del licenziamento”.

Non si pone in contrasto con i principi così
enunciati, costantemente ribaditi da questa Corte (v., tra molte, Cass. n. 4105
del 2017; Cass. n. 10699 del 2017; Cass. n. 13808 del 2017; di recente v. Cass. n.
8661 del 2019), la sentenza impugnata.

Essa, come risulta dallo storico della lite, sulla
base di un accertamento in fatto non certo sindacabile in questa sede di
legittimità, ha ritenuto che la giustificazione addotta dalla società nella
lettera di licenziamento del F. – così come interpretata dai giudici del merito
– risultasse smentita dall’istruttoria espletata, in quanto non corrispondeva
al vero che in tutta l’azienda fosse stata soppressa la figura del coordinatore
del servizio di raccolta dei rifiuti porta a porta, così come invece dichiarato
nella missiva di recesso.

Sicché i giudici del merito, ai quali compete il
relativo giudizio, hanno effettuato in concreto una valutazione circa
l’effettività della ragione addotta dall’imprenditore a giustificazione del
recesso, traendo dalla totale mancanza di essa il convincimento circa l’uso
distorto del potere datoriale per l’emersione della dissonanza che smentiva
l’effettività della ragione addotta a fondamento del licenziamento.

In altre parole, se la ragione palesata
dall’imprenditore per giustificare il licenziamento del dipendente si dimostra
alla prova del giudizio priva di effettività, il giudice del merito
legittimamente può convincersi da ciò che il reale motivo del recesso fosse
altro, non palesato e rimasto occulto, come tale difforme dal modello legale.

5. Il terzo motivo denuncia “violazione e falsa
applicazione dell’art. 3, I. n.
604 del 1966 e dell’art.
18, commi 4 e 7, della I. n. 300 del 1970” per avere la sentenza
impugnata riconosciuto la cd. “tutela reintegratoria attenuata”. Si
eccepisce che, in ogni caso, era risultato confermata “la soppressione
della mansione coperta dal F. e la riorganizzazione del servizio comportante
l’accorpamento delle mansioni” per cui non si sarebbe “potuto”
reintegrare il F. a fronte di un orientamento giurisprudenziale di legittimità
che considera la tutela reintegratoria residuale.

6. Il motivo non può trovare accoglimento.

Ferma la residualità della reintegrazione nel
sistema di tutele da licenziamento ingiustificato delineato dalla I. n. 92 del 2012, questa Corte ha avuto modo di
stabilire che il concetto di “manifesta insussistenza del fatto posto a
base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo” di cui al comma
7 dell’art. 18 novellato
“va riferito ad una evidente e facilmente verificabile assenza dei
presupposti giustificativi del licenziamento che consenta di apprezzare la
chiara pretestuosità del recesso, accertamento di merito demandato al giudice
ed incensurabile, in quanto tale, in sede di legittimità” (Cass. n. 10435 del 2018; Cass. n. 32159 del 2018).

Il Collegio reputa che nella specie tale
accertamento sia stato condotto dalla Corte di Appello, peraltro con esiti
conformi a quelli cui erano giunti i giudici di prime cure, laddove ha ritenuto
“seccamente smentita” la ragione addotta dall’imprenditore a
giustificazione del licenziamento, oltre che “in netto contrasto con le
deduzioni datoriali”, anche formulate nel corso del  giudizio, per cui la sentenza impugnata non
risulta affetta da vizi tali che ne impongano la cassazione.

7. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza liquidate come da
dispositivo.

Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti
processuali di cui all’art. 13, co.
1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
pagamento delle spese liquidate in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per
esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello
stesso art. 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 novembre 2019, n. 30070
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