Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 novembre 2019, n. 31293

Mansioni di commessa, Edicola, Rapporto di lavoro, Mancata
regolarizzazione, Licenziamento orale, Contestazione

Rilevato che

 

1. La Corte di appello di Messina, con la sentenza n.
929/2017, ha confermato la pronuncia n. 1593/2016 del Tribunale di Patti con la
quale era stata respinta la domanda, proposta da S. T. nei confronti di B. M.
T., diretta ad ottenere -sulla premessa di essere stata alle dipendenze della
convenuta dal 3.4.2007 al 19.2.2011 con mansioni di commessa presso l’edicola
gestita dalla B. e di proprietà degli eredi R. e che il rapporto formalmente
cessato in data 19.2.2011, era poi stato ripreso dal 2.5.2011 al 31.12.2011
senza essere stato regolarizzato, con uno svolgimento per tre giorni alla
settimana e due domeniche, dalle 7:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 20:30, a
fronte di una retribuzione di soli 350,00 euro, fino al 31.12.2011 quando vi
era stato un licenziamento orale- la reintegra nel posto di lavoro con la
condanna al pagamento di una indennità risarcitoria, oltre alle differenze
retributive maturate durante il periodo non regolarizzato.

2. I giudici di seconde cure, ritenuta
l’utilizzabilità delle prove dedotte dalla B. nella memoria di costituzione di
primo grado in cui erano stati tempestivamente indicati i testi da escutere a
sostegno della propria posizione e conseguentemente ammessi, alla prima
udienza, dal Tribunale, hanno evidenziato che dall’istruttoria svolta era
emerso che il primo rapporto intercorso tra le parti si era concluso per
dimissioni mentre, per il secondo periodo -oggetto di contestazione- non era
ravvisabile alcun vincolo di subordinazione nella presenza della S.
nell’esercizio commerciale determinata dalla esigenza di acquisire competenza
in relazione ai rapporti con i fornitori dell’attività che era interessata a
rilevare.

3. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto
ricorso per cassazione T. S. affidato a sei motivi, cui ha resistito con
controricorso B. M. A..

4. Il PG non ha formulato richieste scritte.

 

Considerato che

 

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la
violazione e falsa applicazione dell’art. 420 co. 5
c.p.c. nonché la violazione degli artt. 112
e 115 c.p.c. e la violazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art.
118 disp att. C.p.c., ai sensi dell’art. 360
co. 1 n. 3 e n. 4 c.p.c., per non avere, nonostante l’eccezione sul punto
sollevata, la Corte territoriale rilevato la decadenza della B. dalle prove
testimoniali richieste con la comparsa di primo grado, non avendo intimato i
testi già per la prima udienza e, conseguentemente, per non avere dichiarato
l’inutilizzabilità delle prove illegalmente acquisite.

3. Con il secondo motivo si sostiene la violazione
dell’art. 1 co. 48 e 49 della
legge n. 92 del 2012, la violazione e falsa applicazione dell’art. 420 co. 5 c.p.c., la violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c.
e la violazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 148 disp. att. C.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 e n. 4 c.p.c., perché -anche se si
fosse voluto ritenere il giudizio di primo grado- almeno in parte, disciplinato
dal rito cd. Fornero, in ogni caso era necessaria l’intimazione dei testi per
la prima udienza.

4. Con il terzo motivo la S. censura la violazione e
falsa applicazione dell’art. 2094 cc, la
violazione dell’art. 2697 cc e la violazione
degli artt. 2727 e ss cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 e n. 5 c.p.c., per avere la
Corte di merito, usando prove inammissibili, erroneamente valutato il quadro
probatorio da cui emergeva la natura subordinata del rapporto intercorso tra le
parti dal maggio al dicembre del 2011.

5. Con un quarto articolato motivo viene eccepita:
a) la violazione e falsa applicazione dell’art.
2094 cc, la violazione degli artt. 2727 e ss cc,
la violazione dell’art. 112 c.p.c., la
violazione dell’art. 132 c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. C.p.c., ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 e n. 5 c.p.c., per essere la
motivazione adottata dalla Corte territoriale, in ordine al mancato riconoscimento
del vincolo di subordinazione “succinta”, intrinsecamente
contraddittoria, perplessa e meramente apparente; b) la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2094 cc; della
violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché del difetto di motivazione, per
avere, in sostanza, la Corte di merito malamente valutato le risultanze
probatorie; c) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 cc, la violazione degli artt. 115 e 116,
anche in relazione agli artt. 2727 cc nonché il
difetto di motivazione, per avere illogicamente la Corte territoriale dato
credito alla tesi di controparte che risultava smentita dai testi e dalla
condotta processuale evasiva della convenuta.

6. Con il quinto motivo la ricorrente si duole della
violazione dell’art. 112 c.p.c., della
violazione dell’art. 2 della
legge n. 604 del 1966, come novellato dall’art. 2 della legge n. 108 del 1990
nonché la violazione dell’art. 2697 cc e degli artt. 2727 e ss cc, perché la Corte di appello,
non avendo riconosciuto la natura subordinata del rapporto di lavoro, non si
era pronunciata sulla richiesta di illegittimità del licenziamento orale
adottato nei suoi confronti.

7. Con il sesto motivo si lamenta, infine, la
violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., perché si rappresenta che la cassazione
della gravata sentenza, per i motivi sopra esposti, avrebbe dovuto comportare
anche l’annullamento delle statuizioni sulle spese del giudizio di 1° e 2°
grado.

8. I primi due motivi, che possono essere scrutinati
congiuntamente per connessione logico-giuridica, non sono fondati.

9. Essi riguardano, in sostanza, la problematica
dell’intimazione dei testi, nel rito del lavoro, alla prima udienza, a
prescindere dal provvedimento di ammissione del giudice, e della conseguente
eventuale fondatezza dell’eccezione di decadenza.

10. Questo Collegio, pur consapevole di un diverso
orientamento affermatosi in sede di legittimità (Cass. n. 4161/1994; Cass n.
1133/1984), ritiene tuttavia di aderire a quello che si è imposto a seguito
della pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte n. 262 del 1997 e dei
principi in essa statuiti, rappresentato dalla sentenza n. 3275 del 1997
secondo cui, nel rito lavoro, per effetto del combinato disposto dell’art. 202 primo comma c.p.c. (che prevede che il Gl
fissi una udienza di assunzione delle prove che non abbia potuto assumere
contestualmente alla loro ammissione), dell’art.
420, quinto e sesto comma c.p.c. (che prevede nel processo del lavoro la
concentrazione in una sola udienza dell’ammissione e della assunzione delle
prove, ma consente in caso di necessità di fissare altra udienza) e dell’art. 250 dello stesso codice (che consente alle
parti di citare i testimoni a mezzo ufficiale giudiziario, solo in forza del
provvedimento del Gl di ammissione della prova testimoniale e di fissazione
dell’udienza di assunzione), vige il principio che il giudice provvederà nella
stessa udienza di ammissione della prova testimoniale alla audizione dei testi,
comunque presenti, ma non potrà dichiarare decaduta la parte dalla prova per la
mancata presentazione di essi, essendogli consentito di poterli citare solo in
forza del provvedimento di ammissione, con la conseguenza che il giudice dovrà
fissare altre udienze per la prosecuzione della prova.

11. Tali considerazioni valgono anche per il rito
cd. “Fornero”, caratterizzato -nella fase sommaria- dal principio di
libertà delle prove, in relazione al quale non è possibile ipotizzare
decadenze, e -nella fase a cognizione piena- dalle disposizioni dettate in tema
di processo del lavoro che la regolano.

12. Nella fattispecie in esame, la Corte
territoriale ha dichiarato l’utilizzabilità delle prove dedotte dalla B. nella
memoria di costituzione in primo grado in cui erano stati indicati i testi da
escutere a sostegno della propria posizione e, conseguentemente, ammessi dal
giudice, non incorrendo, quindi, né nel denunziato vizio di cui agli artt. 132 e 112 c.p.c.,
essendovi stata pronuncia sul punto con manifestazione della ratio deciderteli,
né in quello di cui all’art. 420 co. 5 c.p.c.,
essendo la statuizione conforme al principio di diritto sopra richiamato e
condiviso da questo Collegio.

13. Il terzo ed il quarto motivo, anche essi da
scrutinarsi congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili e in
parte infondati.

14. Con riguardo alla denunciata erronea
applicazione dell’art. 2094 c.c., dell’art. 2727 c.c. e dell’art.
2697 c.c. in ordine alla prova dei fatti costitutivi del diritto, l’odierna
ricorrente, sotto l’apparente veste dell’error in iudicando, tende a contestare
la ricostruzione della vicenda accreditata dalla sentenza impugnata. In
proposito, giova ribadire che il vizio di falsa applicazione di legge consiste
nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento
impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi
implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa,
l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo
delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di
legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura
è possìbile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione
(Cass. n.7394 del 2010, n. 8315 del 2013, n. 26110 del 2015, n. 195 del 2016).
E’, dunque, inammissibile una doglianza che fondi il presunto errore di
sussunzione – e dunque un errore interpretativo di diritto – su una
ricostruzione fattuale diversa da quella posta a fondamento della decisione,
alla stregua di una alternativa interpretazione delle risultanze di causa.

15. Quanto poi alla denunciata violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.,
va osservato che, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero
convincimento, posto a fondamento delle citate norme processuali, opera
interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di
legittimità. La denuncia della violazione delle predette regole da parte del
giudice del merito è configurabile come un errore di fatto, che deve essere
censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di
motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art.
360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012,
conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012
(cfr. Cass. n. 23940 del 2017).

16. In relazione al vizio denunciato nei termini di
cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.,
poi, va rilevato che esso, come appunto riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n.
83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134,
è invocabile nella sola ipotesi in cui sia stato omesso l’esame di un fatto
storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della
sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione
tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe
determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso
rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo
comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod.
proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il
cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da
cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale
fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua
“decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi
istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto
decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso
in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di
tutte le risultanze probatorie» (Cass. S.U. n.
8053/2014).

17. Nel caso in esame, la censura di omesso esame di
un fatto decisivo si risolve, invece, in una inammissibile richiesta di
rivalutazione del merito della causa.

18. Relativamente, infine, ai vizi denunciati, ex artt. 112 e 132 n. 4
c.p.c., va osservato che essi sussistono solo quando la pronuncia riveli
una obiettiva carenza nell’indicazione del criterio logico che ha condotto il
giudice alla formazione del proprio convincimento, senza alcuna esplicitazione
al riguardo né disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso
argomentativo seguito (cfr. in termini Cass. 21.12.2010 n. 25866): ipotesi,
queste, non ravvisabili nel caso in esame.

19. Il quinto motivo è inammissibile per carenza di
interesse.

20. Invero, il giudice di appello, sulla questione
della illegittimità del licenziamento, non si è pronunciato ritenendola
assorbita in quanto non ha ravvisato la natura subordinata del rapporto di
lavoro.

21. Come affermato da questa Corte (Cass. 22.9.2017 n. 22095), mancando in relazione
a tale questione la soccombenza che costituisce il presupposto della
impugnazione, il motivo è inammissibile potendo la questione stessa essere
riproposta al giudice del rinvio in caso di annullamento della sentenza.

22. Il sesto motivo è parimenti inammissibile perché
con esso non viene denunciato uno dei vizi tipici previsti dall’art. 360 c.p.c., bensì si chiede, in sostanza, in
ipotesi di accoglimento delle censure sopra esposte, che la sentenza impugnata
venga cassata anche sulla pronuncia in ordine alle spese di lite per violazione
degli artt. 91 e 92
c.p.c..

23. Trattasi, infatti, di valutazione eventualmente
da adottare, anche in questo caso, dal giudice di rinvio quale conseguenza del
riesame dell’impugnazione che impone una nuova determinazione sulle spese
dell’intero processo e non di statuizione da adottare in sede di legittimità.

24. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve
essere rigettato.

25. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di
legittimità liquidate come da dispositivo.

26. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti
processuali, sempre come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di
legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro
200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del DPR n.
115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1 bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

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