Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 novembre 2019, n. 31279

Licenziamento, Indennità di ingiustificato licenziamento,
Indennità di mancato preavviso, Mancato riconoscimento della qualifica di
dirigente, Differenze retributive, Accertamento demansionamento e mobbing,
Risarcimento danno biologico, alla professionalità e/o danno da perdita di
chances

Fatti di causa

 

1. Con ricorso depositato il 13.3.2013 A. P.,
dirigente della società D. M. — H. R. M. s.p.a., adiva il Tribunale di Genova,
in funzione di giudice del lavoro, per sentir dichiarare l’illegittimità del
licenziamento intimatogli con lettera del 14.9.2012 e condannare la società
datrice di lavoro al pagamento dell’indennità di ingiustificato licenziamento
oltre all’indennità di mancato preavviso. Con successivo ricorso il P.
lamentava, nei confronti della medesima società datrice di lavoro, il mancato
riconoscimento della qualifica di dirigente a far data dal 1.1.2000, chiedendo
la condanna della datrice al pagamento delle differenze retributive, nonché
l’accertamento di un subito demansionamento e di mobbing, e la condanna della
società al risarcimento del danno biologico, oltre a quello alla
professionalità e/o danno da perdita di chances. Riunite le due cause, il
Tribunale di Genova, in composizione monocratica, con sentenza non definitiva
n. 911/2014 dichiarava ingiustificato il licenziamento intimato al P. per
violazione dell’art. 7 legge n.
300 del 1970 e, riconosciuta una provvisionale a titolo di indennità di
mancato preavviso, rimetteva la causa in istruttoria. Con sentenza definitiva
depositata il 20.2.2017, il Tribunale di Genova dichiarava l’illegittimità del
licenziamento, condannando la società datrice a corrispondere al ricorrente
un’indennità per ingiustificato licenziamento e un’indennità per mancato
preavviso, e l’importo illegittimamente trattenuto dalla resistente nella busta
paga di settembre 2014, con gli accessori di legge; inoltre, il Tribunale
riconosceva il diritto del ricorrente ad essere inquadrato come dirigente a far
data dal 1.1.2000, condannando la società datrice al pagamento delle differenze
retributive e relative al TFR maturato, oltre accessori; infine, dichiarava che
il ricorrente aveva subito un demansionamento a far data dal 24.6.2011, e gli
riconosceva un risarcimento di danno non patrimoniale, in parte quale danno non
patrimoniale da demansionamento e in parte quale danno biologico, oltre
accessori di legge; il primo giudice compensava per un terzo le spese di lite e
condannava la società datrice di lavoro al pagamento in favore del ricorrente
dei residui due terzi.

2. Avverso le dette sentenze del Tribunale di Genova
la D. M. — H. R. M. s.p.a. proponeva appello dinanzi alla Corte di appello di
Genova. A. P. proponeva appello incidentale relativamente alla sentenza
definitiva di prime cure.

3. Con sentenza pubblicata il 13.4.2018 la Corte di
appello di Genova modificava le somme riconosciute dal primo giudice a titolo
di indennità per ingiustificato licenziamento e di indennità per mancato
preavviso, confermando tutte le altre statuizioni del primo giudice, compensava
per un quinto le spese di entrambi i gradi del giudizio e poneva i restanti
quattro quinti, con le spese di CTU, a carico della società appellante
principale.

4. Per quanto interessa in questa sede, la Corte di
appello di Genova accertava in primo luogo, nel riconoscere all’odierno
resistente la qualifica dirigenziale a far data dal 1.1.2000, che le mansioni
affidate al P. rivelavano un livello di autonomia e di potere decisionale di
grado elevato e che a lui fosse stato affidato il compito non solo di attuare,
ma anche di promuovere gli obiettivi dell’impresa, per cui tali mansioni
corrispondevano alle previsioni della contrattazione collettiva riguardanti i
dirigenti e dovevano considerarsi superiori a quelle dei c.d. “quadri”, le cui
mansioni, pur di alto livello, non assurgono a quello stesso grado di autonomia
e di potere decisionale.

5. Avverso la sentenza della Corte genovese la società
Data M. — H. R. M. s.p.a. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.
A. P. resiste con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

2. Con il primo motivo la società ricorrente si
duole della violazione degli art. 2095, 2103 cod.civ., 2 della legge 13.5.1985, n. 190,
dell’art. 4, sez. IlI, del CCNL del 5.7.1994 e del 7.5.2003 per i dipendenti
delle industrie metalmeccaniche e sulla conseguente falsa applicazione
dell’art. 1 CCNL Dirigenti industria del 23.5.2000 per errore di diritto sui
requisiti essenziali delle mansioni del dirigente di azienda industriale in
rapporto a quelle dell’impiegato di concetto con incarichi dirigenziali
riconducibile alla categoria dei quadri, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod.proc.civ.

3. La doglianza è infondata.

4. Come si accennava, la Corte di appello di Genova
accertava in primo luogo, nel riconoscere all’odierno resistente la qualifica
dirigenziale, che le mansioni affidate al P. rivelavano un livello di autonomia
e di potere decisionale di grado elevato e che a lui fosse affidato il compito
non solo di attuare, ma anche di promuovere gli obiettivi dell’impresa, per cui
tali mansioni corrispondevano alle previsioni della contrattazione collettiva
riguardanti i dirigenti e dovevano considerarsi superiori a quelle dei c.d.
“quadri”, le cui mansioni, pur di alto livello, non assurgono allo stesso grado
di autonomia e di potere decisionale.

5. La ricorrente riconosce (pag. 13 ricorso) che la
sentenza impugnata enuncia correttamente i principi sulla individuazione della
figura del dirigente alla stregua della legge e della contrattazione
collettiva, ma rivolge alla stessa sentenza la critica di aver proceduto ad
un’approssimativa interpretazione delle norme sull’inquadramento delle mansioni
svolte dal P. nella categoria delle mansioni proprie del dirigente.

6. Sarebbe quindi mancato l’accertamento dei tratti
caratteristici dei dirigenti di aziende industriali e distintivi degli stessi
rispetto a figure simili, come quella dell’impiegato con funzioni direttive,
cioè: a) l’autonomia e la discrezionalità delle decisioni nonché la mancanza di
una vera e propria dipendenza gerarchica e b) l’ampiezza delle funzioni, che
sono tali da influire sulla conduzione dell’intera azienda (o di un suo ramo
autonomo) e non restano, quindi, circoscritte , come nel caso dell’impiegato
con funzioni direttive, a un settore o ramo o servizio o ufficio della stessa.

7. Secondo la ricorrente la sentenza impugnata
valorizza esclusivamente l’ampiezza dei poteri affidati al P. senza
adeguatamente verificarne l’autonomia sulla base della consistenza del vincolo
di subordinazione gerarchica che ne condizionava, di fatto, le possibilità (ed
i poteri) di iniziativa autonoma e la struttura dei rapporti, paritari o meno,
con dirigenti dell’impresa, o, in altri casi, traendo dalle specifiche mansioni
la presunzione di un’autonomia e di una facoltà d’iniziativa autonoma che esse
non hanno necessariamente. Si sottolinea in particolare dalla ricorrente che
per quanto spettasse al P. la definizione del piano pluriennale e del bilancio
(“budget”) annuale, tali attività erano sottoposte all’approvazione
dell’Amministratore Unico, per cui mancava in realtà un vero potere decisionale
in capo al resistente. Inoltre diverse altre circostanze valorizzate dalla
Corte di merito nel raggiungimento del suo convincimento, come la gestione del
personale, la possibilità di intervenire con azioni correttive e
pianificazioni, la procura speciale per la delicata negoziazione relativa
all’acquisto di un ramo di azienda della società terza Nuovo Pignone s.p.a., il
potere di dare disposizioni bancarie per l’accredito delle retribuzioni mensili
del personale di una delle società delle quali la gestione era in cura, per
importi di rilevante entità, non potevano considerarsi conferenti nel
riconoscere l’autonomia e l’ampiezza di poteri necessaria per la configurazione
della qualifica dirigenziale.

8. Il giudice di appello, che non ha omesso di
valutare il tratto caratteristico della figura del dirigente d’azienda,
consistente nella autonomia e discrezionalità delle scelte decisionali in grado
di incidere sugli obiettivi aziendali, ne ha desunto la sussistenza dalle
caratteristiche della struttura organizzativa aziendale e dell’unità – diretta
dall’attuale resistente, cioè il Centro Servizi Area Centro Nord, con sede
centrale ubicata a Genova e presidi permanenti e/o sportelli itineranti
dislocati sul territorio di competenza costituito dalle regioni Liguria, Emilia
Romagna e Toscana, quindi atta ad integrare un’area.

9. La qualificazione giuridica del rapporto
controverso, operata dal giudice di merito, è censurabile in sede di
legittimità soltanto in ordine ai criteri generali ed astratti applicati,
mentre costituisce apprezzamento di fatto, insindacabile in detta sede se
sorretto da motivazione adeguata ed esente da vizi logici e giuridici, la
valutazione delle circostanze ritenute in concreto idonee a far rientrare il
rapporto nell’uno o nell’altro schema (quadro super o dirigente).

10. La soluzione della sentenza impugnata è conforme
a diritto, atteso che negli assetti organizzativi delle imprese, se di
rilevanti dimensioni, ben possono coesistere dirigenti di diverso livello (cfr.
Cass. n. 12860 del 1988, conf. n. 14885 del 2000, v. pure Cass. n. 6393 del
1998 e n. 3981 del 2016). La previsione di una pluralità di dirigenti (a
diversi livelli, con graduazione di compiti), tra loro coordinati, è
ammissibile in organizzazioni aziendali complesse, in riferimento a prassi
aziendali ed alla concreta organizzazione degli uffici, purché sia fatta salva
anche nel dirigente di grado inferiore un’ampia autonomia decisionale
circoscritta dal potere direttivo generale di massima del dirigente di livello
superiore (cfr. Cass. n. 8650 del 2005).

11. Come affermato da Cass. n. 8842 del 1987, con
soluzione qui condivisa e ribadita, con riguardo alla qualifica di dirigente,
pur essendo possibile, nell’ambito della stessa azienda, una pluralità di
dirigenti, di diverso livello, tra loro legati da vincolo di gerarchia, deve
però trattarsi di una dipendenza molto attenuata, in quanto caratterizzata da
ampia autonomia nelle scelte decisionali del dirigente subordinato per la
realizzazione degli obiettivi della impresa, sicché il vincolo gerarchico si
traduce in un’attività di controllo o di coordinamento di direttive relative ad
una sfera generalmente più limitata, facente capo al dirigente sovraordinato
quale costituente tramite diretto della volontà dell’imprenditore (v. pure Cass. n. 1151 del 1998, n. 10285 del 1998).

12.1 tratti caratteristici sopra descritti ricorrono
alla stregua della ricostruzione fattuale compiuta dal giudice di merito, per
cui deve concludersi che l’operazione di sussunzione della fattispecie concreta
in quella astratta è stata correttamente condotta dalla Corte territoriale
nella sentenza impugnata.

13. Con il secondo motivo la Data M. — H. R. M.
s.p.a. lamenta la violazione dell’art. 132
cod.proc.civ. in relazione all’art. 360, comma
1, n. 4 stesso codice per avere la Corte di appello affermato
ripetutamente, ma senza motivazione o con motivazione apparente, il livello
quantitativo delle mansioni esercitate dal P. senza alcuna giustificazione di
questo giudizio e senza alcuna specificazione delle ragioni che avrebbero
giustificato l’assegnazione di queste mansioni alla qualifica dirigenziale
piuttosto che alla qualifica del quadro apicale che pure si caratterizza per
mansioni del tutto analoghe e si differenzia solo per il diverso livello della
importanza di queste mansioni; inoltre, la società datrice di lavoro denuncia
il ricorso, da parte della sentenza impugnata, a una motivazione apparente sui
livelli di autonomia e del potere di iniziativa di cui il P. avrebbe goduto
nell’esercizio delle funzioni allo stesso assegnate di responsabile del Centro
servizi di Genova e Firenze (denominata Area del Centro Nord).

14. Questa doglianza è inammissibile.

15. Con essa la ricorrente affronta la stessa
questione sollevata con il primo motivo, cioè il riconoscimento della qualifica
dirigenziale al P., sotto un diverso angolo visuale, quello cioè della
motivazione, che sarebbe apparente, quindi inferiore al “minimo costituzionale
richiesto dall’art. Ili della Costituzione.

16. Alla luce del testo dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.,
nella formulazione novellata dal comma 1, lett. b), dell’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n.
83, convertito con modifiche nella legge 7
agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis, non è più
configurabile il vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione della
sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso
esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione
tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria
motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n.
4) del medesimo art. 360 cod. proc. civ.
(Cass., ord., 6/07/2015, n. 13928; v. pure Cass., ord., 16/07/2014, n. 16300) e
va, inoltre, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di
“sufficienza” della motivazione (Cass., ord., 8/10/2014, n. 21257). E
ciò in conformità al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte,
con la sentenza n. 8053 del 7/04/2014, secondo cui la già richiamata
riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5,
c.p.c. deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati
dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo
costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.

17. Pertanto, è denunciabile in cassazione, ai sensi
dell’art. 360, comma 1, n. 4 cod.proc.civ.,
solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della
motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata,
a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

18. La sentenza impugnata sfugge a questa critica,
perché essa fornisce le ragioni della decisione senza incorrere in quei gravi
vizi che la giurisprudenza di questa Corte ha considerato integrare la mancanza
di motivazione di una sentenza, sotto il duplice aspetto del difetto assoluto
di motivazione o di motivazione apparente. Questa Corte ha in particolare
precisato che il vizio di mancanza di motivazione è integrato qualora la
decisione sia priva di qualsivoglia argomentazione oppure quest’ultima sia così
contraddittoria da non poter essere considerata come fondamento della decisione
del giudice (Cass. SU 8053/2014, cit., 25433/15 [ord.], 24096/15 [ord.]). La
critica svolta nel motivo in esame, lungi dall’individuare gli elementi di cui
sopra, si limita a proporre una ricostruzione fattuale diversa da quella
operata dalla Corte genovese. Di qui, l’inammissibilità del motivo.

19. Alla luce delle considerazioni che precedono, il
ricorso è quindi complessivamente da rigettare.

20. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate
come in dispositivo.

21. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma
del comma 1 -bis dello stesso art.
13, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente
al pagamento delle spese processuali, liquidate in euro 200,00 per esborsi,
euro 6.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed
accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
-bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

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