La contribuzione versata successivamente al raggiungimento del requisito minimo di accesso alla pensione deve essere esclusa dal computo della base pensionabile se comporta un effetto sfavorevole sul trattamento pensionistico.

 Nota a Trib. Como 23 maggio 2019, n. 142

 Fabio Iacobone

“Quando il lavoratore possiede i requisiti assicurativi e contributivi per beneficiare della pensione, la contribuzione acquisita nella fase successiva non può determinare una riduzione della prestazione virtualmente già maturata” (così, Corte Cost. 13 aprile 2017, n. 82).

Tale statuizione è riproposta dal Tribunale di Como (23 maggio 2019, n. 142), il quale si uniforma ai principi più volte sanciti dalla Corte Costituzionale, in base ai quali:

a) la natura della contribuzione versata, sia essa volontaria, obbligatoria o figurativa, non rileva né giustifica deroghe in relazione alla regola provvista di valenza generale (Corte Cost. nn. 433 e 201/1999 e n. 427/1997). Ciò vale, in particolare, per la contribuzione volontaria, in base alla finalità che la caratterizza, “che si prefigge di ovviare agli effetti negativi, ai fini previdenziali, della mancata prestazione di attività lavorativa e non può risolversi, con paradossale risultato, in un pregiudizio per il lavoratore…”;

b) per quanto concerne i periodi di contribuzione obbligatoria che abbiano un importo notevolmente inferiore e non siano necessari per il perfezionamento della anzianità contributiva minima, la Corte Cost. (30 giugno 1994, n. 264) ha ritenuto “irragionevole ed ingiusto che a maggior lavoro e a maggior apporto contributivo corrisponda una riduzione della pensione che il lavoratore avrebbe maturato al momento della liquidazione della pensione per effetto della precedente contribuzione”;

c) nell’ipotesi di contribuzione, nel corso dell’ultimo quinquennio, di “attività lavorativa meno retribuita da parte di un lavoratore che abbia già conseguito la prescritta anzianità contributiva, la pensione liquidata” non può essere inferiore a quella che sarebbe spettata una volta raggiunta l’età pensionabile, “escludendo dal computo, ad ogni effetto, i periodi di minore retribuzione in quanto non necessari ai fini del requisito dell’anzianità contributiva minima e calcolando invece la precedente contribuzione obbligatoria e il connesso più ristretto arco temporale lavorativo” (così, Corte Cost. n. 264/1994, cit. che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. n. 297/1982);

d) la stessa giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata nell’affermare che ogni forma di contribuzione sopravvenuta rispetto alla maturazione dell’anzianità assicurativa e contributiva minima” va esclusa dal computo della base pensionabile, qualora tale apporto conduca ad un risultato meno favorevole per l’assicurato (v. Cass. n. 6966/2014 e Cass. n. 27879/2008). I giudici hanno altresì precisato che “la neutralizzazione non opera per quei periodi contributivi che concorrono ad integrare il requisito minimo necessario per l’accesso al trattamento pensionistico” (v. Cass. n. 4368/2014 e n. 20732/2004).

Contribuzione pensionistica e riduzione della prestazione
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