Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 dicembre 2019, n. 33138

Docente, Contratti a termine, Riconoscimento di differenze
retributive maturate, Riconoscimento anzianità pregressa

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’Appello di Torino ha accolto solo parzialmente
l’appello proposto da M.O., docente della scuola secondaria superiore immesso
in ruolo in data 1.9.2012 dopo 14 anni di servizio prestato sulla base di
contratti a termine, il quale aveva agito per il riconoscimento di differenze
retributive maturate, in parte, nel periodo di precariato e per il resto in
conseguenza del mancato inserimento, a partire dall’anno scolastico 2014/2015,
nel gradone stipendiale 15/20. Il ricorrente aveva invocato i principi di
parità di trattamento e di non discriminazione di fonte europea ed aveva
allegato il carattere discriminatorio del decreto di ricostruzione di carriera
emesso dal dirigente scolastico, nella parte in cui non aveva riconosciuto
integralmente l’anzianità pregressa.

2. La Corte territoriale, ricostruiti in fatto i
termini della vicenda, per quel che ancora rileva in questa sede, ha escluso
che fosse giustificato da ragioni obiettive l’abbattimento previsto dall’art. 485 d.lgs. n. 297/1994 e
conseguentemente ha disapplicato la disposizione, perché in contrasto con la
clausola 4 dell’accordo quadro allegato alla direttiva
1999/70/CE, ritenuta applicabile anche nell’ipotesi in cui il docente perda
lo status di lavoratore a termine e faccia valere l’anzianità per ottenere i
benefici che dalla stessa derivano all’assunto a tempo indeterminato.

3. Il giudice d’appello ha precisato che il
correttivo previsto dal combinato disposto degli artt. 489 d.lgs. n. 297/1994 e
11, comma 4, I. n. 124/1999,
non era idoneo nella fattispecie ad eliminare la disparità di trattamento,
perché l’anzianità effettiva dell’appellante, calcolata senza tener conto dei
mesi estivi se non retribuiti, risultava comunque superiore a quella
riconoscibile sulla base della disciplina dettata dal T.U..

4. Ha aggiunto che, una volta disapplicato l’art. 485 del d.lgs. n. 297/1994,
la ricostruzione della carriera doveva essere effettuata prescindendo dalla
regola dell’equivalenza fissata dal richiamato art. 489 dello stesso decreto
e, pertanto, sulla base di nuovi conteggi depositati dall’appellante in corso
di causa, ha anticipato di 14 mesi l’acquisizione della fascia stipendiale
rivendicata, riducendo, rispetto all’originaria richiesta, l’ammontare
complessivo delle differenze retributive.

5. Per la cassazione della sentenza ha proposto
ricorso il MIUR sulla base di un unico motivo, al quale M.O. ha resistito con
controricorso, illustrato da memoria ex art. 378
cod. proc. civ..

 

Ragioni della decisione

 

1. Con l’unico motivo di ricorso il Ministero
denuncia «violazione e/o falsa applicazione della clausola 4 dell’accordo
quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE,
degli artt. 485, 489, 569 del d.lgs. 16/4/1994 n. 297,
in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 c.p.c.»
e addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente ritenuto applicabili
alla fattispecie i medesimi principi affermati in relazione alla diversa
questione della progressione stipendiale rivendicata dai lavoratori assunti a
tempo determinato. Sostiene che a seguito dell’immissione in ruolo il
lavoratore precario non può più legittimamente pretendere il computo integrale
del servizio prestato, che assume rilievo nei soli limiti della normativa
interna vigente in materia di ricostruzione della carriera. Aggiunge che la
disciplina dettata per il personale scolastico, nel panorama dell’impiego
pubblico contrattualizzato, costituisce già un «privilegio storico» ed
evidenzia che l’abbattimento previsto dall’art. 485 del richiamato d.lgs. n.
297/1994 è finalizzato a rendere comparabili situazioni disomogenee.
Sostiene l’inapplicabilità del principio affermato dalla Corte di Giustizia con
la sentenza 18.10.2012, in causa C-302/11
Valenza ed altri, perché in quel caso il servizio preruolo non era stato
riconosciuto affatto agli stabilizzati, ed invoca, invece, la pronuncia del
20.9.2018, in causa C-466/17, Motter,
evidenziando che l’abbattimento è giustificato dalle diverse modalità di
calcolo dell’anzianità, dalla mancata verifica iniziale delle competenze
mediante concorso, dalla necessità dell’evitare di prodursi di discriminazioni
alla rovescia nei confronti di dipendenti pubblici assunti a tempo
indeterminato previo espletamento di procedure concorsuali. Aggiunge che il
legislatore ha delineato un sistema nel quale coesistono elementi di favore per
il lavoratore (180 giorni di lavoro considerati come anno di servizio;
supplenze spezzoni di cattedra equiparate al servizio a tempo pieno) e
arrotondamenti compensativi, necessari per rendere comparabili servizi non
omogenei tra loro. Deduce al riguardo che non poteva la Corte territoriale
valutare la compatibilità della normativa con la direttiva europea in relazione
alla singola situazione concreta, perché il giudizio andava espresso in termini
generali ed astratti ed inoltre perché, anche nei casi estremi di reiterazione
di supplenze annuali, sussiste una ragione obiettiva che giustifica la
diversità di trattamento, rappresentata dall’avvenuto superamento del concorso
pubblico.

2. E’ infondata l’eccezione di inammissibilità del
ricorso sollevata dalla difesa del controricorrente, perché le censure non
difettano della necessaria specificità richiesta dall’art. 366 cod. proc. civ..

La Corte territoriale, infatti, come evidenziato
nello storico di lite, ha ritenuto applicabile la clausola 4 dell’Accordo
Quadro, disapplicando di conseguenza l’art. 485 del d.lgs. n. 297/1994,
ed il motivo, correttamente ricondotto al vizio di cui all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., ravvisa in ciò una
violazione delle norme di diritto richiamate in rubrica e sviluppa argomenti
che, impregiudicata ogni valutazione sulla loro fondatezza, risultano
pienamente attinenti al decisum.

Né si può sostenere che l’atto non fornisca alla
Corte gli elementi necessari ai fini della decisione, perché il ricorso
contiene la concisa esposizione dei fatti di causa, nella quale sono
sintetizzate le posizioni rispettivamente assunte dalle parti in entrambi i
gradi del giudizio di merito, e la censura non si fonda su atti processuali o
su documenti, dei quali, pertanto, non era necessario riportare il contenuto.

3. Il Collegio è chiamato a pronunciare sulla
conformità al diritto dell’Unione della disciplina interna relativa alla
ricostruzione della carriera del personale docente della scuola, nei casi in
cui l’immissione in ruolo sia stata preceduta da rapporti a termine.

La questione si pone in quanto la disciplina dettata
per gli assunti a tempo indeterminato, dapprima dal legislatore e poi dalla
contrattazione collettiva, fa discendere effetti giuridici ed economici
dall’anzianità di servizio, che condiziona sia la progressione stipendiale sia,
in genere, lo svolgimento del rapporto. Nel settore scolastico, infatti,
l’anzianità svolge un ruolo di particolare rilievo ogniqualvolta vengano in
gioco valutazioni comparative dei docenti.

Ciò spiega perché il legislatore sin da tempo
risalente ha ritenuto necessario dettare una disciplina specifica dell’istituto
del riconoscimento del servizio ai fini della carriera, che costituisce un
unicum rispetto ad altri settore dell’impiego pubblico e che si giustifica in
ragione della peculiarità del sistema scolastico, nel quale, pur nella
diversità delle forme di reclutamento succedutesi nel tempo, l’immissione
definitiva nei ruoli dell’amministrazione è sempre stata preceduta, per ragioni
diverse, da periodi più o meno lunghi di rapporti a tempo determinato.

4. Tralasciando, perché non rilevante ai fini di
causa, la disciplina antecedente agli anni 70, va detto che già con il d.l. n.
370/1970, convertito con modificazioni dalla I. 576/1970, il legislatore aveva
previsto, all’art. 3, che «Al personale insegnante il servizio di cui ai
precedenti articoli viene riconosciuto agli effetti giuridici ed economici per
intero e fino ad un massimo di quattro anni, purché prestato con il possesso,
ove richiesto, del titolo di studio prescritto o comunque riconosciuto valido
per effetto di apposito provvedimento legislativo. Il servizio eccedente i
quattro anni viene valutato in aggiunta a quello di cui al precedente comma
agli stessi effetti nella misura di un terzo, e ai soli fini economici per i
restanti due terzi. I diritti economici derivanti dagli ultimi due terzi di
servizio previsti dal comma precedente, saranno conservati e valutati anche in
tutte le classi successive di stipendio».

L’art. 4 aggiungeva che « Ai fini del riconoscimento
di cui ai precedenti articoli, il servizio di insegnamento è da considerarsi
come anno scolastico intero, se ha avuto la durata prevista, agli effetti della
validità dell’anno, dall’ordinamento scolastico vigente al momento della
prestazione. I periodi di congedo retribuiti e quelli per gravidanza e
puerperio sono considerati utili ai fini del calcolo del periodo richiesto per
il riconoscimento».

4.1. Con il d.lgs n.
297/1994 di «Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative
vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado»
le richiamate disposizioni sono confluite, con modificazioni e integrazioni,
nell’art. 485 secondo cui
«1. AI personale docente delle scuole di istruzione secondaria ed artistica, il
servizio prestato presso le predette scuole statali e pareggiate, comprese
quelle all’estero, in qualità di docente non di ruolo, è riconosciuto come
servizio di ruolo, ai fini giuridici ed economici, per intero per i primi
quattro anni e per i due terzi del periodo eventualmente eccedente, nonché ai
soli fini economici per il rimanente terzo. I diritti economici derivanti da
detto riconoscimento sono conservati e valutati in tutte le classi di stipendio
successive a quella attribuita al momento del riconoscimento medesimo. 2. Agli
stessi fini e nella identica misura, di cui al comma 1, è riconosciuto, al
personale ivi contemplato, il servizio prestato presso le scuole degli educandati
femminili statali e quello prestato in qualità di docente elementare di ruolo e
non di ruolo nelle scuole elementari statali, o parificate, comprese quelle dei
predetti educandati e quelle all’estero, nonché nelle scuole popolari,
sussidiate o sussidiarie.

3. Al personale docente delle scuole elementari è
riconosciuto, agli stessi fini e negli stessi limiti fissati dal comma 1, il
servizio prestato in qualità di docente non di ruolo nelle scuole elementari
statali o degli educandati femminili statali, o parificate, nelle scuole
secondarie ed artistiche statali o pareggiate, nelle scuole popolari,
sussidiate o sussidiarie, nonché i servizi di ruolo e non di ruolo prestati
nelle scuole materne statali o comunali».

A sua volta l’art. 489 ripete la
formulazione dell’art. 4 del d.l. 370/1970, stabilendo che «Ai fini del
riconoscimento di cui ai precedenti articoli il servizio di insegnamento è da
considerarsi come anno scolastico intero se ha avuto la durata prevista agli
effetti della validità dell’anno dall’ordinamento scolastico vigente al momento
della prestazione. 2. I periodi di congedo e di aspettativa retribuiti e quelli
per gravidanza e puerperio sono considerati utili ai fini del computo del
periodo richiesto per il riconoscimento».

La norma, peraltro, deve essere letta in combinato
disposto con l’art. 11, comma
14, della legge n. 124/1999 secondo cui «Il comma 1 dell’art. 489 del testo unico è da
intendere nel senso che il servizio di insegnamento non di ruolo prestato a
decorrere dall’anno scolastico 1974-1975 è considerato come anno scolastico
intero se ha avuto la durata di almeno 180 giorni oppure se il servizio sia
stato prestato ininterrottamente dal 1° febbraio fino al termine delle
operazioni di scrutinio finale».

Il legislatore del Testo Unico, nel disciplinare gli
effetti del d.lgs. n. 297/1994 sulla normativa
previgente, ha dettato, all’art.
676, una disposizione di carattere generale prevedendo che «Le disposizioni
inserite nel presente testo unico vigono nella formulazione da esso risultante;
quelle non inserite restano ferme ad eccezione delle disposizioni contrarie od
incompatibili con il testo unico stesso, che sono abrogate».

Dalla chiara formulazione della norma, pertanto, si
evince che, a partire dalla pubblicazione del decreto legislativo, le norme antecedenti
sono confluite nel testo unico e continuano ad applicarsi nei limiti sopra
indicati.

4.2. In questo contesto si è inserita, a seguito
della contrattualizzazione dell’impiego pubblico, la contrattazione collettiva
che nell’ambito scolastico, quanto ai rapporti con la legge, non sfugge
all’applicazione dei principi dettati dagli artt. 2 e 40 del d.lgs. n. 165/2001,
nelle diverse versioni succedutesi nel tempo, fatte salve le disposizioni
speciali contenute nello stesso decreto.

Con il CCNL 4 agosto
1995 le parti stipulanti sono intervenute anche in tema di ricostruzione
della carriera e hanno previsto, all’art. 66, comma 6, che «Restano
confermate, al fine del riconoscimento dei servizi di ruolo e non di ruolo
eventualmente prestati anteriormente alla nomina in ruolo e alla conseguente
stipulazione del contratto individuale di lavoro a tempo indeterminato, le
norme di cui al D.L. 19 giugno 1970, n. 370, convertito, con modificazioni
dalla legge 26 luglio 1970, n. 576, e successive modificazioni e integrazioni,
nonché le relative disposizioni di applicazione, così come definite dall’art. 4
del D.P.R. 23 agosto 1988, n. 399».

Il successivo CCNL
26.5.1999 ha stabilito, all’art. 18, che «Le norme legislative,
amministrative o contrattuali non esplicitamente abrogate o disapplicate dal
presente CCNL, restano in vigore in quanto compatibili».

Di seguito il CCNL 24.7.2003, all’art. 142, comma
1, n. 8 ha espressamente previsto che dovesse continuare a trovare
applicazione «l’art. 66, commi 6 e
7, del CCNL 4.08.95 (riconoscimento servizi non di ruolo e insegnanti di
religione)» ed analoga disposizione è stata inserita nell’art. 146 (lett. g n. 8) del CCNL
29.11.2007.

Per effetto delle richiamate disposizioni
contrattuali, quindi, si deve escludere che gli articoli del T.U. riguardanti
la ricostruzione della carriera siano stati disapplicati dalla contrattazione,
perché, al contrario, gli stessi devono ritenersi espressamente richiamati, sia
pure attraverso la tecnica del rinvio, anziché direttamente al T.U., alla
disciplina originaria nello stesso trasfusa.

L’art.
66 del CCNL 1995, infatti, va interpretato tenendo conto della disposizione
dettata dall’art. 676 del
d.lgs. n. 297/1994 e, pertanto, il richiamo della normativa di cui al d.l.
n. 370/1970 “e successive modificazioni e integrazioni”, ricomprende
in sé il rinvio agli artt. 485
e seguenti del T.U., che non a caso non figurano fra le norme del decreto
legislativo espressamente disapplicate dalla contrattazione.

Occorre ancora evidenziare che l’art. 66, nel rinviare alle
disposizioni di applicazione del d.l. n. 370/1970, richiama espressamente anche
l’art. 4 del d.P.R. n. 399/1988 che, per quel che rileva in questa sede,
prevede che «Al compimento del sedicesimo anno per i docenti laureati della
scuola secondaria superiore, del diciottesimo anno per i coordinatori
amministrativi, per i docenti della scuola materna ed elementare, della scuola
media e per i docenti diplomati della scuola secondaria superiore, del
ventesimo anno per il personale ausiliario e collaboratore, del
ventiquattresimo anno per i docenti dei conservatori di musica e delle
accademie, l’anzianità utile ai soli fini economici è interamente valida ai
fini dell’attribuzione delle successive posizioni stipendiali».

5. Anticipando considerazioni che verranno riprese
nel prosieguo della motivazione, osserva il Collegio che dal complesso delle
disposizioni sopra richiamate si evince, dunque, che nel settore scolastico, in
relazione al personale docente, la disciplina generale ed astratta del
riconoscimento del servizio preruolo risulta dalla commistione di elementi che,
nella comparazione con il trattamento riservato ai docenti sin dall’origine
assunti con contratti a tempo indeterminato, possono essere ritenuti solo in
parte di sfavore, perché se, da un lato, la norma è chiara nel prevedere un
abbattimento dell’anzianità sul periodo eccedente i primi quattro anni di
servizio; dall’altro il legislatore ha ritenuto di dovere equiparare ad un
intero anno di attività l’insegnamento svolto per almeno 180 giorni, o
continuativamente dal Io febbraio sino al termine delle operazioni di
scrutinio, ed ha anche previsto il riconoscimento del servizio prestato presso
scuole di un diverso grado, consentendo all’insegnante della scuola di
istruzione secondaria di giovarsi dell’insegnamento nelle scuole elementari ed
ai docenti di queste ultime di far valere il servizio preruolo prestato nelle
scuole materne statali o comunali.

5.2. E’ poi utile sottolineare che l’abbattimento
opera solo sulla quota eccedente i primi quattro anni di anzianità, oggetto di
riconoscimento integrale con i benefici di cui sopra si è detto, e pertanto
risulta evidente che il meccanismo finisce per penalizzare i precari di lunga
data, non già quelli che ottengano l’immissione in ruolo entro il limite
massimo per il quale opera il principio della totale valorizzazione del
servizio.

La norma non poteva dirsi priva di ragionevolezza in
relazione ad un sistema di reclutamento, che questa Corte ha analizzato con la sentenza n. 22552/2016 (alla quale hanno fatto
seguito numerose pronunce dello stesso tenore), basato sulla regola del
cosiddetto “doppio canale” che, oltre a prevedere l’immissione in
ruolo periodica dei docenti attingendo per il 50% dalle graduatorie dei
concorsi per titoli ed esami e per il restante 50% dalle graduatorie per soli
titoli, prima, e poi dalle graduatorie permanenti, stabiliva anche, all’esito
delle modifiche apportate all’art. 400 dalla
legge n. 124/1999, la cadenza triennale dei concorsi. In quel contesto,
infatti, l’abbattimento oltre il primo quadriennio si giustificava in relazione
al criterio meritocratico, perché quel sistema, per come pensato dal
legislatore, avrebbe dovuto consentire ai più meritevoli di ottenere la
tempestiva immissione nei ruoli, attesa la prevista periodicità dei concorsi e
dei provvedimenti di inquadramento definitivo nei ruoli dell’amministrazione scolastica.

E’ noto, però, e della circostanza si è dato atto
nelle plurime pronunce della Corte di Giustizia, della Corte Costituzionale e
di questa Corte che hanno riguardato la legittimità della reiterazione dei
contratti a termine, che le immissioni in ruolo non sono avvenute in passato
con la periodicità originariamente pensata dal legislatore e ciò ha
determinato, quale conseguenza, che i docenti “stabilizzati”, per
effetto sia della legge n. 107/2015 sia degli
interventi normativi che in precedenza avevano previsto piani straordinari di
reclutamento sia, ancora, nel rispetto delle norme dettate dal T.U., la cui
efficacia non è mai stata del tutto sospesa, si sono trovati per la maggior
parte a vantare, al momento dell’immissione in ruolo, un’anzianità di servizio
di gran lunga superiore a quella per la quale il riconoscimento opera in misura
integrale, anzianità che è stata oggetto dell’abbattimento della cui conformità
al diritto dell’Unione qui si discute.

6. Occorre dire subito che l’applicabilità alla
fattispecie della clausola 4 dell’Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a
tempo determinato allegato alla direttiva
1999/70/CE non può essere esclusa per il fatto che il rapporto dedotto in
giudizio abbia ormai acquisito stabilità attraverso la definitiva immissione in
ruolo, perché la Corte di Giustizia ha da tempo chiarito che la disposizione
non cessa di spiegare effetti una volta che il lavoratore abbia acquistato lo
status di dipendente a tempo indeterminato. Della clausola 4, infatti, non può
essere fornita un’interpretazione restrittiva poiché l’esigenza di vietare
discriminazioni dei lavoratori a termine rispetto a quelli a tempo
indeterminato viene in rilievo anche qualora il rapporto a termine, seppure non
più in essere, venga fatto valere ai fini dell’anzianità di servizio (cfr.
Corte di Giustizia 8.11.2011 in causa C- 177/10
Rosado Santana punto 43; Corte di Giustizia 18.10.2012 in cause riunite da C- 302/11 a C-305/11, Valenza ed altri, punto
36).

Ciò premesso va evidenziato che, come ha rimarcato
la stessa Corte di Giustizia nelle pronunce più recenti ( Corte di Giustizia
20.6.2019, causa C- 72/18 Ustariz Arostegui; 11.4.2019, causa C-29/18, Cobra
Servizios Auxiliares; 21.11.2018, causa C-619/17, De Diego Porras; 5.6.2018,
causa C – 677/16, Montero Mateos), la clausola
4 dell’Accordo Quadro è stata più volte oggetto di interpretazione da parte del
giudice eurounitario, che anche in dette pronunce ha ribadito i principi già in
precedenza affermati, sulla base dei quali questa Corte ha poi risolto la
questione, simile ma non coincidente con quella oggetto di causa, del riconoscimento
dell’anzianità di servizio ai fini della progressione stipendiale in pendenza
di rapporti a termine (cfr. Cass. 22558 e
23868 del 2016 e le successive sentenze conformi fra le quali si segnalano, fra
le più recenti, Cass. nn. 28635, 26356, 26353, 6323
del 2018 e Cass. n. 20918/2019
quest’ultima relativa al personale ATA) nonché agli effetti della ricostruzione
della carriera dei ricercatori stabilizzati dagli enti di ricerca (Cass. n.
27950/2017, Cass. n. 7112/2018, Cass. nn. 3473 e 6146 del 2019).

6.1. Nei precedenti citati si è evidenziato che:

a) la clausola 4 dell’Accordo esclude in generale ed
in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente
giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, sicché la stessa
ha carattere incondizionato e può essere fatta valere dal singolo dinanzi al
giudice nazionale, che ha l’obbligo di applicare il diritto dell’Unione e di
tutelare i diritti che quest’ultimo attribuisce, disapplicando, se necessario,
qualsiasi contraria disposizione del diritto interno (Corte Giustizia
15.4.2008, causa C-268/06, Impact; 13.9.2007,
causa C-307/05, Del Cerro Alonso; 8.9.2011,
causa C-177/10 Rosado Santana);

b) il principio di non discriminazione non può
essere interpretato in modo restrittivo, per cui la riserva in materia di
retribuzioni contenuta nell’art.
137 n. 5 del Trattato (oggi 153 n. 5), “non può impedire ad un
lavoratore a tempo determinato di richiedere, in base al divieto di
discriminazione, il beneficio di una condizione di impiego riservata ai soli
lavoratori a tempo indeterminato, allorché proprio l’applicazione di tale
principio comporta il pagamento di una differenza di retribuzione” (Del
Cerro Alonso, cit., punto 42);

c) le maggiorazioni retributive che derivano
dall’anzianità di servizio del lavoratore, costituiscono condizioni di impiego
ai sensi della clausola 4, con la conseguenza che le stesse possono essere
legittimamente negate agli assunti a tempo determinato solo in presenza di una
giustificazione oggettiva (Corte di Giustizia 9.7.2015, in causa C-177/14, Regojo Dans, punto 44, e giurisprudenza
ivi richiamata);

d) a tal fine non è sufficiente che la diversità di
trattamento sia prevista da una norma generale ed astratta, di legge o di
contratto, né rilevano la natura pubblica del datore di lavoro e la distinzione
fra impiego di ruolo e non di ruolo, perché la diversità di trattamento può
essere giustificata solo da elementi precisi e concreti di differenziazione che
contraddistinguano le modalità di lavoro e che attengano alla natura ed alle
caratteristiche delle mansioni espletate (Regojo Dans, cit., punto 55; negli
stessi termini Corte di Giustizia 5.6.2018, in causa C-677/16, Montero Mateos, punto 57 e con
riferimento ai rapporti non di ruolo degli enti pubblici italiani Corte di
Giustizia 18.10.2012, cause C-302/11 e
C-305/11, Valenza; 7.3.2013, causa C-393/11, Bertazzi);

e) la clausola 4 «osta ad una normativa nazionale,
… la quale escluda totalmente che i periodi di servizio compiuti da un
lavoratore a tempo determinato alle dipendenze di un’autorità pubblica siano
presi in considerazione per determinare l’anzianità del lavoratore stesso al
momento della sua assunzione a tempo indeterminato, da parte di questa medesima
autorità, come dipendente di ruolo nell’ambito di una specifica procedura di
stabilizzazione del suo rapporto di lavoro, a meno che la citata esclusione sia
giustificata da ragioni oggettive …. Il semplice fatto che il lavoratore a
tempo determinato abbia compiuto i suddetti periodi di servizio sulla base di
un contratto di lavoro a tempo determinato non configura una ragione oggettiva
di tal genere» (Corte di Giustizia 18.10.2012 in cause riunite da C-302/11 a C-305/11, Valenza e negli stessi
termini Corte di Giustizia 4.9.2014 in causa C-152/14
Bertazzi).

7. I richiamati principi non sono stati smentiti
dalla sentenza 20.9.2018, in causa C-466/17,
Motter, con la quale, a seguito di rinvio pregiudiziale del Tribunale di
Trento, la Corte di Giustizia ha statuito che la clausola 4 dell’Accordo
Quadro, in linea di principio, non osta ad una normativa, quale quella dettata
dall’art. 485 del d.lgs. n.
297/1994, che «ai fini dell’inquadramento di un lavoratore in una categoria
retributiva al momento della sua assunzione in base ai titoli come dipendente pubblico
di ruolo, tenga conto dei periodi di servizio prestati nell’ambito di contratti
di lavoro a tempo determinato in misura integrale fino al quarto anno e poi,
oltre tale limite, parzialmente, a concorrenza dei due terzi».

E’ significativo osservare che a detta conclusione
la Corte è pervenuta dopo avere dichiarato espressamente di volersi porre in
linea di continuità con la propria giurisprudenza, richiamata ai punti 26, 33,
37, 38, quanto alla rilevanza dell’anzianità, alla nozione di ragione oggettiva,
alla non decisività delle diverse forme di reclutamento e della natura
temporanea del rapporto, e la statuizione è stata resa valorizzando le
circostanze allegate dal Governo Italiano, che aveva fatto leva sul criterio di
favore previsto dall’art. 489
del d.lgs. n. 297/1994, come integrato dalla legge
n. 124/1999, nonché sulla necessità di raggiungere « un equilibrio tra i
legittimi interessi dei lavoratori a tempo determinato e quelli dei lavoratori
a tempo indeterminato, nel rispetto dei valori di meritocrazia e delle
considerazioni di imparzialità e di efficacia dell’amministrazione su cui si
basano le assunzioni mediante concorso» (punto 51).

Particolare rilievo assumono, dunque, per
comprendere la ratio della decisione, i punti 47 e 48 nei quali si afferma che
possono configurare una ragione oggettiva «gli obiettivi invocati dal governo
italiano, consistenti, da un lato, nel rispecchiare le differenze nell’attività
lavorativa tra le due categorie di lavoratori in questione e dall’altro
nell’evitare il prodursi di discriminazioni alla rovescia nei confronti dei
dipendenti pubblici di ruolo assunti a seguito del superamento di un concorso
generale», obiettivi che possono essere legittimamente considerati rispondenti
a una reale necessità «fatte salve le verifiche rientranti nella competenza
esclusiva del giudice del rinvio».

Poiché, ad avviso del Collegio, la lettura della
pronuncia deve essere complessiva, non possono essere svalutate, come ha fatto
il Ministero ricorrente nel corso della discussione orale, le affermazioni
contenute ai punti 33-34 e 37-38, quanto alla non decisività della diversa
forma di reclutamento ed alla necessità che la disparità di trattamento sia
giustificata da «elementi precisi e concreti che contraddistinguono la
condizione di impiego di cui trattasi», sicché la verifica che il giudice
nazionale, nell’ambito della cooperazione istituita dall’art. 267 TFUE, è chiamato ad
effettuare riguarda tutti gli aspetti che assumono rilievo ai sensi della
clausola 4 dell’Accordo Quadro, ivi compresa l’effettiva sussistenza nel caso
concreto delle ragioni fatte valere dinanzi alla Corte di Lussemburgo dallo
Stato Italiano per giustificare la disparità di trattamento.

8. Quanto alla comparabilità degli assunti a tempo
determinato con i docenti di ruolo valgono le considerazioni già espresse da
questa Corte con le sentenze richiamate al punto 6 e con l’ordinanza n.
20015/2018 che, valorizzando il principio di non discriminazione e le
disposizioni contrattuali che si riferiscono alla funzione docente, ha ritenuto
di dovere riconoscere il diritto dei supplenti temporanei a percepire, in
proporzione all’attività prestata, la retribuzione professionale docenti.

In quelle pronunce si è evidenziato, ed il principio
deve essere qui ribadito, che la disparità di trattamento non può essere
giustificata dalla natura non di ruolo del rapporto di impiego, dalla novità di
ogni singolo contratto rispetto al precedente, dalle modalità di reclutamento
del personale nel settore scolastico e dalle esigenze che il sistema mira ad
assicurare.

Né la comparabilità può essere esclusa per i
supplenti assunti ai sensi dell’art.
4, comma 3, della legge n. 124/1999 facendo leva sulla temporaneità
dell’assunzione, perché la pretesa differenza qualitativa e quantitativa della
prestazione, oltre a non trovare riscontro nella disciplina dettata dal CCNL
succedutisi nel tempo, che non operano distinzioni quanto al contenuto della
funzione docente, non appare conciliabile, come la stessa Corte di Giustizia ha
rimarcato, «con la scelta del legislatore nazionale di riconoscere
integralmente l’anzianità maturata nei primi quattro anni di esercizio
dell’attività professionale dei docenti a tempo determinato» (punto 34 della
citata sentenza Motter), ossia nel periodo in cui, per le peculiarità del
sistema di reclutamento dei supplenti, che acquisiscono punteggi in ragione del
servizio prestato, solitamente si collocano più le supplenze temporanee, che
quelle annuali o sino al termine delle attività didattiche.

E’, pertanto, da escludere che la disciplina dettata
dall’art. 485 del d.lgs. n.
297/1994 possa dirsi giustificata dalla non piena comparabilità delle
situazioni a confronto e, comunque, dalla sussistenza di ragioni oggettive,
intese nei termini indicati nei punti che precedono.

9. Più complessa è l’ulteriore verifica che la Corte
di Giustizia ha demandato al giudice nazionale in relazione all’obiettivo di
evitare il prodursi di discriminazioni «alla rovescia» in danno dei docenti
assunti ab origine con contratti a tempo indeterminato, discriminazioni che, ad
avviso del Ministero ricorrente, si produrrebbero qualora in sede di
ricostruzione della carriera si prescindesse dall’abbattimento, perché in tal
caso il lavoratore a termine, potendo giovarsi del criterio di cui all’art. 489 d.lgs. n. 297/1994,
potrebbe ottenere un’anzianità pari a quella dell’assunto a tempo
indeterminato, pur avendo reso rispetto a quest’ultimo una prestazione di
durata temporalmente inferiore.

L’argomento non è privo di pregio, ma non può essere
ritenuto decisivo per affermare tout court la conformità alla direttiva della
norma di diritto interno, innanzitutto perché la verifica non può essere
condotta in astratto, bensì deve tener conto della specificità del caso concreto,
nel quale, in ipotesi, potrebbe anche non venire in rilievo l’applicazione
della disposizione sopra indicata, sulla quale la Corte di Giustizia ha fatto
leva nell’affermare che l’abbattimento potrebbe essere ritenuto applicazione
del principio del pro rata temporis.

Si è già detto, infatti, che la clausola 4
dell’Accordo Quadro attribuisce un diritto incondizionato che può essere fatto
valere dal singolo lavoratore dinanzi al giudice nazionale e non può essere
paralizzato da una norma generale ed astratta. Corollario del principio è che
la denunciata discriminazione deve essere verificata in relazione alla
fattispecie concreta dedotta in giudizio e pertanto, ove la norma che legittima
la diversità di trattamento si leghi, nell’intento del legislatore, a presupposti
giustificativi non necessariamente sussistenti in relazione ai singoli
rapporti, non si può escludere che la medesima norma possa essere ritenuta
discriminatoria in un caso e non nell’altro, dipendendo la sua giustificazione
dalla ricorrenza di condizioni che vanno verificate non in astratto bensì con
riferimento al singolo rapporto.

9.1. L’applicazione diretta della clausola 4 chiama
il giudice nazionale a seguire un procedimento logico secondo il quale occorre:
a) determinare il trattamento spettante al preteso “discriminato”; b)
individuare il trattamento riservato al lavoratore comparabile; c) accertare se
l’eventuale disparità sia giustificata da una ragione obiettiva.

Nel rispetto di queste fasi perché il docente si
possa dire discriminato dall’applicazione dell’art. 485 d.lgs. n. 297/1994,
che, si è già detto al punto 5, è la risultante di elementi di sfavore e di
favore, deve emergere che l’anzianità calcolata ai sensi della norma speciale
sia inferiore a quella che nello stesso arco temporale avrebbe maturato
l’insegnante comparabile, assunto con contratto a tempo indeterminato per
svolgere la medesima funzione docente. Ciò implica che il trattamento riservato
all’assunto a tempo determinato non possa essere ritenuto discriminatorio per
il solo fatto che dopo il quadriennio si operi un abbattimento, occorrendo
invece verificare anche l’incidenza dello strumento di compensazione
favorevole, che pertanto, in sede di giudizio di comparazione, va eliminato dal
computo complessivo dell’anzianità, da effettuarsi sull’intero periodo, atteso
che, altrimenti, si verificherebbe la paventata discriminazione alla rovescia
rispetto al docente comparabile.

In altri termini un problema di trattamento discriminatorio
può fondatamente porsi nelle sole ipotesi in cui l’anzianità effettiva di
servizio, non quella virtuale ex art.
489 d.lgs. n. 297/1994, prestata con rapporti a tempo determinato, risulti
superiore a quella riconoscibile ex art. 485 d.lgs. n. 297/1994,
perché solo in tal caso l’attività svolta sulla base del rapporto a termine
viene ad essere apprezzata in misura inferiore rispetto alla valutazione
riservata all’assunto a tempo indeterminato.

9.2. Nel calcolo dell’anzianità occorre, quindi,
tener conto del solo servizio effettivo prestato, maggiorato, eventualmente,
degli ulteriori periodi nei quali l’assenza è giustificata da una ragione che non
comporta decurtazione di anzianità anche per l’assunto a tempo indeterminato
(congedo ed aspettativa retribuiti, maternità e istituti assimilati), con la
conseguenza che non possono essere considerati né gli intervalli fra la
cessazione di un incarico di supplenza ed il conferimento di quello successivo,
né, per le supplenze diverse da quelle annuali, i mesi estivi, in relazione ai
quali questa Corte da tempo ha escluso la spettanza del diritto alla
retribuzione (Cass. n. 21435/2011, Cass. n. 3062/2012, Cass. n. 17892/2015),
sul presupposto che il rapporto cessa al momento del completamento delle
attività di scrutinio.

Si dovrà, invece, tener conto del servizio prestato
in un ruolo diverso da quello rispetto al quale si domanda la ricostruzione
della carriera, in presenza delle condizioni richieste dall’art. 485, perché il medesimo
beneficio è riconosciuto anche al docente a tempo indeterminato che transiti
dall’uno all’altro ruolo, con la conseguenza che il meccanismo non determina
alcuna discriminazione alla rovescia.

9.3. Qualora, all’esito del calcolo effettuato nei
termini sopra indicati, il risultato complessivo dovesse risultare superiore a
quello ottenuto con l’applicazione dei criteri di cui all’art. 485 del d.lgs. n. 297/1994,
la norma di diritto interno deve essere disapplicata ed al docente va
riconosciuto il medesimo trattamento che, nelle stesse condizioni qualitative e
quantitative, sarebbe stato attribuito all’insegnante assunto a tempo
indeterminato, perché l’abbattimento, in quanto non giustificato da ragione
oggettiva, non appare conforme al diritto dell’Unione.

Come già ricordato nel punto 6.1 lett. a), la
clausola 4 dell’accordo quadro ha effetto diretto ed i giudici nazionali,
tenuti ad assicurare ai singoli la tutela giurisdizionale che deriva dalle
norme del diritto dell’Unione ed a garantirne la piena efficacia, debbono
disapplicare, ove risulti preclusa l’interpretazione conforme, qualsiasi
contraria disposizione del diritto interno (Corte di Giustizia 8.11.2011,
Rosado Santana punti da 49 a 56).

Non è consentito, invece, all’assunto a tempo
determinato, successivamente immesso nei ruoli, pretendere, sulla base della
clausola 4, una commistione di regimi, ossia, da un lato, il criterio più
favorevole dettato dal T.U. e, dall’altro, l’eliminazione del solo
abbattimento, perché la disapplicazione non può essere parziale né può
comportare l’applicazione di una disciplina diversa da quella della quale può
giovarsi l’assunto a tempo indeterminato comparabile.

10. La sentenza impugnata è conforme ai principi di
diritto sopra enunciati perché correttamente la Corte territoriale ha
disapplicato l’art. 485 del
d.lgs. n. 297/1994, ravvisandone il contrasto con la clausola 4
dell’Accordo quadro, e, ai fini del calcolo dell’anzianità di servizio
riconoscibile, ha tenuto conto dei soli periodi di servizio effettivo e dei
medesimi criteri che valgono per gli assunti a tempo indeterminato.

Il ricorso va pertanto rigettato perché la sentenza
impugnata è conforme ai principi di diritto che, sulla base di quanto osservato
nei punti che precedono, di seguito si enunciano:

a) l’art.
485 del d.lgs. n. 297/1994, che anche in forza del rinvio operato dalle
parti collettive disciplina il riconoscimento dell’anzianità di servizio dei
docenti a tempo determinato poi definitivamente immessi nei ruoli dell’amministrazione
scolastica, viola la clausola 4 dell’Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, e deve essere disapplicato,
nei casi in cui l’anzianità risultante dall’applicazione dei criteri dallo
stesso indicati, unitamente a quello fissato dall’art. 489 dello stesso decreto,
come integrato dall’art. 11,
comma 14, della legge n. 124/1999, risulti essere inferiore a quella
riconoscibile al docente comparabile assunto ab origine a tempo indeterminato;

b) il giudice del merito per accertare la
sussistenza della denunciata discriminazione dovrà comparare il trattamento
riservato all’assunto a tempo determinato, poi immesso in ruolo, con quello del
docente ab origine a tempo indeterminato e ciò implica che non potranno essere
valorizzate le interruzioni fra un rapporto e l’altro, né potrà essere
applicata la regola dell’equivalenza fissata dal richiamato art. 489;

c) l’anzianità da riconoscere ad ogni effetto al
docente assunto a tempo determinato, poi immesso in ruolo, in caso di
disapplicazione dell’art. 485
del d.lgs. n.297/1994 deve essere computata sulla base dei medesimi criteri
che valgono per l’assunto a tempo indeterminato.

12. La novità e la complessità della questione
giuridica trattata giustificano l’integrale compensazione delle spese del
giudizio di legittimità.

Non sussistono le condizioni di cui all’art. 13 c. 1 quater d.P.R. n. 115 del
2002 perché la norma non può trovare applicazione nei confronti di quelle
parti che, come le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della
prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione
normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del
contributo (Cass. S.U. n. 9938/2014; Cass. n. 1778/2016; Cass. n. 28250/2017).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio
di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 dicembre 2019, n. 33138
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