Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 dicembre 2019, n. 33397

Pagamento dell’assegno sociale, Pensione di inabilità civile
– Compimento 65 anni

 

Rilevato che

 

La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 1996 del
2013, ha accolto l’impugnazione proposta da M.L.B. nei confronti dell’INPS
avverso la sentenza di primo grado di rigetto della domanda proposta dalla
stessa B. tendente ad ottenere il pagamento dell’assegno sociale ex lege 153/1969 dopo che l’Istituto previdenziale
aveva rigettato la sua domanda in ragione del disposto dell’art. 26, comma terzo, della
suddetta legge e del superamento dei limiti reddituali per essere la B.
contitolare di una pensione di inabilità civile percependo redditi inferiori al
limite previsto dall’art. 12 I.
n. 118 del 1971 ma superiori a quello previsto dall’art. 26 citato;

la Corte d’appello ha osservato che ai sensi dell’art. 19 della legge 30 marzo 1971
n. 118, il destinatario di una pensione di inabilità o di un assegno di
invalidità al compimento del 65° anno di età diviene automaticamente titolare
della pensione sociale a carico dell’INPS. Il suddetto articolo 19 si pone, infatti,
come fonte esclusiva della trasformazione di una prestazione che vede mutato
unicamente il soggetto passivo tenuto all’adempimento, risultando evidente la
volontà legislativa di mantenere inalterata la prestazione nella sua
consistenza monetaria originaria assicurando all’interessato lo stesso
beneficio sotto una forma diversa con l’imputazione in capo al nuovo soggetto
debitore di quasi tutti gli oneri economici. In altri termini la norma in
oggetto stabilisce un fondamento della pensione sociale autonomo e diverso da
quello normativamente riconosciuta alla stessa allorquando venga richiesta ex art. 26 l. 153/1969 da un
soggetto non dotato della pregressa titolarità di una dei benefici
assistenziali previsti dalla legge n. 118/1971.
Mediante il meccanismo sostitutivo della anzidetta legge
118 viene, così, compiuta “ex ante” una piena equiparazione tra
pensione di inabilità e la pensione sociale, non suscettibile di essere rimessa
in discussione attraverso il richiamo alla disciplina limitativa dell’art. 26 I. 153/1969, dettata
unicamente per la pensione sociale non fornita di questi caratteri di
specialità;

avverso tale sentenza l’INPS propone ricorso per
cassazione, affidato a due motivi; resiste con controricorso, illustrato da
memoria, M.L.B.; il Ministero dell’Economia e delle Finanze è rimasto intimato;

il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso;

 

Considerato che

 

Con il primo motivo di ricorso l’INPS deduce
violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod.
proc. civ., degli artt. 12
e 19 della legge 118/1971,
dell’art. 26, comma 3, della
legge 153/1969, dell’art. 14 septies d.l. n.
663/1979, dell’art. 2697 cod.civ. in
relazione all’art. 360 n. 4 cod.proc.civ.;

con il secondo motivo, viene denunciata, nuovamente,
la violazione e o falsa applicazione degli artt. 12 e 19 I. n. 118 del 1971 dell’art. 26, comma 3, della legge
153/1969, dell’art.
14 septies d.l. n. 663/1979, questa volta in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ.;

in sostanza, afferma il ricorrente che la sentenza
impugnata avrebbe violato il principio della domanda laddove non è stata
esaminata l’eccezione proposta dall’Inps relativa al superamento dei limiti
reddituali per continuare a fruire della prestazione dopo il compimento del
sessantacinquesimo anno di età;

i motivi, da trattarsi congiuntamente stante la loro
connessione, sono infondati e, pertanto, vanno rigettati;

innanzi tutto, quella che l’Istituto indica quale
eccezione finalizzata ad escludere la esistenza del presupposto reddituale per
ottenere e mantenere la pensione sociale (ora assegno) e cioè il superamento
del limite di reddito previsto per la pensione sociale in ragione del
superamento del limite di reddito previsto per la pensione di inabilità, in un
periodo di tempo successivo al compimento del 65° anno di età, è questione
diversa da quella indicata nella sentenza impugnata quale oggetto del giudizio
introdotto dalla parte privata (la sentenza impugnata si limita a riferire
nello storico di lite che la domanda di corresponsione dell’assegno sociale di
cui all’art. 26 legge n. 153
del 1969 in primo grado era stata respinta per superamento del limite
reddituale);

il ricorrente sostiene che: a) a fronte della
domanda della B. di condanna dell’Inps al pagamento dell’assegno sociale non
riconosciutole alla data del 15 dicembre 2005, momento in cui aveva compiuto 65
anni, lo stesso istituto nel costituirsi in giudizio in primo grado aveva
chiesto il rigetto della domanda ma in questa sede non specifica i contenuti
della propria memoria di costituzione;b) che il primo giudice ha rigettato la
domanda sul presupposto del superamento del tetto reddituale sin dall’anno 2005
per effetto del cumulo tra i redditi della B. e quelli del coniuge <nel
periodo dal 15 dicembre 2005>; c) nella memoria di costituzione in appello,
lo stesso istituto ammette di aver dato atto dell’avvenuto riconoscimento –
formale – della trasformazione della pensione di inabilità civile in assegno
sociale ma al contempo di ritenere insussistente il diritto alla erogazione per
il superamento del limite reddituale previsto per la prestazione richiesta e
riproduce stralci della memoria contenente i dati reddituali della B. e del
coniuge; d) spiega le proprie ragioni affermando che tale difesa intendeva
sostenere l’insussistenza del diritto a mantenere (sin dal compimento del 65°
anno di età) l’assegno sociale e non certo il diritto ad ottenere la mera
trasformazione della pensione di inabilità in assegno sociale; e) infine,
censura la sentenza impugnata perché avrebbe violato la disciplina relativa
alla concessione dell’assegno sociale omettendo di accertare il possesso del
requisito reddituale dalla domanda e sino alla stessa pronuncia d’appello;

quanto sin qui esposto, sintetizzando il contenuto
del ricorso, evidenzia le larghe aree di genericità e la contradditorietà delle
ragioni sottese ai motivi di ricorso;

infatti, il ricorrente in palese violazione del
disposto di cui all’art. 366 c.p.c., non
riproduce in alcun modo il contenuto della memoria difensiva di primo grado al
fine di consentire alla Corte di cassazione di verificare quale fosse il
contenuto del giudizio di primo grado e, quindi, quello devoluto in appello;

inoltre, ritiene di sostenere le proprie ragioni, al
tempo stesso, prospettando una singolare tesi secondo la quale il diritto alla
conversione potrebbe nascere solo virtualmente, per il semplice fatto di essere
titolari della pensione di inabilità civile al compimento dei 65 anni, ma non
avere effetto per il difetto di prova del possesso dei requisiti reddituali per
fruire della stessa pensione;

così facendo, però, il ricorrente non si rende conto
che la conversione postula la titolarità, a tale momento del compimento del
sessantacinquesimo anno, della pensione di inabilità ed è logicamente
contraddittorio affermare e negare che la pensione di inabilità esista e non
esista;

forse per tale ragione il ricorso allarga la censura
anche al periodo di tempo successivo al 15 dicembre 2005 e sino alla stessa
pronuncia della Corte d’appello, ma anche in tal caso i motivi difettano di
sufficiente specificità in quanto dallo stralcio della memoria di costituzione
in appello riprodotta in ricorso, si evince soltanto un elenco di somme
corrispondenti ad imputazioni diverse relative alla B. ed al marito senza
alcuna indicazione dei limiti reddituali previsti per ciascuno degli anni
rilevanti e delle specifiche ragioni del superamento dei limiti reddituali;

a fronte di tali carenti e lacunosi elementi,
invero, la sentenza impugnata afferma (pag. 2) che la B. al compimento del 65°
anno di età era titolare di pensione di inabilità percependo redditi inferiori
rispetto al limite di cui all’art.
12 stesso ma superiori rispetto a quello di cui all’art. 26 I. n. 153 del 1969,
con ciò accertando fatti del tutto differenti da quelli affermati dal primo
giudice ed in concreto ponendo in essere un accertamento relativo al rispetto
del limite reddituale in questa sede non validamente impugnato;

dunque, correttamente si è fatta applicazione
dell’autonoma portata precettiva dell’art. 19 della legge n. 118 del 1971,
in conformità con la giurisprudenza di questa Corte che a Sezioni Unite,
risolvendo un contrasto formatosi nell’ambito della Sezione lavoro e seguendo
l’indirizzo maggioritario (cfr. ex plurimis: Cass. 22 ottobre 1997 n. 10397;
Cass. 21 ottobre 1994 n. 8668; Cass. 27 febbraio 1990 n. 1530. Contra, invece,
Cass. 3 febbraio 1998 n. 1082) ha statuito che l’ammissione degli invalidi civili
alla pensione sociale, corrisposta dall’INPS in sostituzione della pensione di
invalidità erogata dal Ministero dell’Interno, ha carattere automatico, e
prescinde pertanto dall’accertamento, da parte di detto Istituto, della
rivalutazione della posizione patrimoniale dell’assistito, costituendo la
titolarità della seconda di dette pensioni sufficiente presupposto per il
conseguimento della prima di esse, alle condizioni di maggior favore già
accertate, anche per quanto riguarda l’esclusione della rendita INAIL,
dell’ammontare del reddito massimo compatibile(cfr. in tali sensi Cass. Sez.
Un., 9 agosto 2001 n. 10972);

gli stessi giudici hanno poi sottolineato come i
mutilati ed invalidi vedano sostituiti detti due ultimi trattamenti, di cui
sono titolari, con la pensione sociale corrisposta dall’Istituto Nazionale
della Previdenza sociale(INPS) pur continuando il Ministero dell’interno a
corrispondere loro, a titolo di assegno “ad personam”, la eventuale
differenza tra tale trattamento e quello in precedenza goduto (art. 9 legge 30 marzo 1971 n. 118;
art. 11 legge 18 dicembre 1973 n. 854; art. 8 d. Igs 23 novembre 1988 n.
509);

la previsione della pensione sociale c.d.
sostitutiva è contenuta nell’art.
19 legge n. 118 del 1971, secondo la quale “in sostituzione della
pensione o dell’assegno di cui agli art. 12 e 13 i mutilati e
invalidi civili, dal giorno successivo al compimento dell’età di 65 anni, su
comunicazione delle competenti prefetture, sono ammessi al godimento della
pensione sociale a carico del fondo di cui all’art. 26 della legge 30 aprile
1969 n. 153. Agli ultrasessantacinquenni …. inabili … la differenza …
tra l’importo della pensione sociale e quello della pensione di inabilità viene
corrisposta, con onere a carico del Ministero dell’interno…”.

si è infatti osservato che la pensione per gli
invalidi civili è prevista per coloro che hanno età compresa tra i 18 ed i 65
anni (l’art. 12 della legge n.
118 del 1971, relativo agli invalidi assoluti, non lo prescriveva
espressamente, ma la limitazione in relazione all’età, come ha rilevato anche
la dottrina, era evidente, alla luce dell’art. 19 della stessa legge, ed
è stata confermata dall’art. 11 della legge n. 854 del 1973) il sostantivo
“sostituzione” usato nel citato art. 19 è evidentemente
coerente con l’impossibilità del mantenimento della pensione d’invalidità al
compimento della predetta età. D’altra parte, l’affermazione che gli invalidi,
al compimento del sessantacinquesimo anno di età, sono “ammessi” al
godimento della pensione sociale sarebbe evidentemente pleonastica, atteso che
tale ammissione non è esclusiva di tale categoria di cittadini, ed ha invece un
senso in quanto si consideri che l’ammissione avviene per legge e non con atto
amministrativo, ed ha carattere automatico, prescindendo completamente, oltre
che dalla domanda dell’interessato, dall’accertamento, da parte dell’Istituto,
della rivalutazione della posizione patrimoniale della persona che fino al
sessantacinquesimo anno di età sia stata titolare della pensione d’invalidità,
in quanto tale condizione costituisce sufficiente presupposto per l’erogazione
della pensione sociale (cfr. in tali esatti termini: Cass., Sez. Un., 9 agosto
2001 n. 10972 cit.);

il ricorso va, quindi, rigettato e l’INPS, rimasto
soccombente, va condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di
cassazione, liquidate in dispositivo con attribuzione all’ avvocato Samuele
Scalise, che ha reso la prescritta dichiarazione.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 1800 per
compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del
15% e spese accessorie di legge, con distrazione in favore dell’avvocato S.
Scalise.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art.
13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis, del citato
D.P.R.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 dicembre 2019, n. 33397
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