Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 16 dicembre 2019, n. 33130

Plurimi contratti di somministrazione a tempo determinato,
Invalidità, Proposizione dell’impugnativa in via stragiudiziale, Decadenza,
Sussiste, Impugnazione stragiudiziale dell’ultimo contratto della serie non si
estende ai contratti precedenti, Inapplicabilità della norma del CCNL per i
lavoratori somministrati, che richiama una norma di legge non più vigente

Rilevato che

la Corte d’appello di Brescia, confermando la
sentenza del locale Tribunale, ha rigettato il ricorso di A.W. nei confronti
della società di somministrazione O. s.p.a. – Agenzia per il lavoro, rivolto a
sentir accertare l’invalidità dei plurimi contratti di somministrazione a tempo
determinato intercorsi tra le parti tra il 12 dicembre 2013 e il 14 marzo 2015
e la conseguente sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato,
nonché a sentir dichiarare il diritto alla riammissione in servizio e la
corresponsione dell’indennità risarcitoria;

la Corte territoriale ha in particolare affermato
che, avendo il lavoratore proposto impugnativa in via stragiudiziale soltanto
l’11 maggio 2015, era decaduto dall’azione con riferimento ai contratti
stipulati fino all’il dicembre 2014, ma era ancora nei termini per esercitare
il diritto all’azione in giudizio in relazione agli ultimi due contratti –
intercorsi con la O. s.p.a. – rispettivamente dall’11 dicembre 2014 al 7
febbraio 2015 e dal 9 febbraio al 14 marzo 2015;

in merito ai due contratti da ultimo richiamati, la
Corte d’appello ha escluso l’applicabilità dell’art. 23 n. 1 del CCNL del 2008
per i lavoratori somministrati, nella parte in cui lo stesso richiedeva
l’indicazione della causale dell’apposizione del termine, attesa l’entrata in
vigore del d.l. n. 34/2014 il quale, abrogando
la prima parte del comma 4 dell’art.
20 del d.lgs. n. 276 del 2003 che sanciva l’obbligatorietà della ragione
giustificativa, aveva introdotto – per la prima volta – la figura del contratto
di somministrazione acausale;

ha, infine, statuito che da parte della Società non
si era verificata nessuna violazione della disposizione contrattuale che
stabilisce che il limite massimo di proroghe contrattuali ammissibili debba
limitarsi a sei in trentasei mesi; che era risultato accertato che il contratto
di somministrazione dell’Il settembre 2014 era stato prorogato per sei volte e
il contratto del 9 febbraio 2015 per due volte, e che i periodi di somministrazione
– così declinati temporalmente – non lasciavano margini interpretativi per
ritenere che gli stessi avessero riguardato otto proroghe di un unico contratto
di lavoro e, di conseguenza, che il numero delle proroghe avesse superato il
limite previsto dalla contrattazione collettiva;

la cassazione della sentenza è domandata da A.W.,
sulla base di tre motivi, illustrati da successiva memoria; la Società O.
s.p.a. – Agenzia per il lavoro ha resistito con tempestivo controricorso;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente
comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in
camera di consiglio.

 

Considerato che

 

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n.3 cod. proc. civ., parte
ricorrente contesta “Falsa applicazione dell’art. 6 L. n. 604/66, come
modificato dall’art. 32.1 L.
183/10, in relazione all’art. 2966 c.c. e 24 Cost., poiché nel caso di rapporti plurimi che
si siano succeduti nel tempo con sostanziale continuità, e comunque con un
intervallo tra l’uno e l’altro inferiore al termine di impugnativa
stragiudiziale, l’impugnativa proposta dal lavoratore si deve estendere anche
ai rapporti di lavoro precario costituiti anteriormente agli ultimi”;

la critica si appunta sul capo della sentenza che ha
ritenuto decaduto l’odierno ricorrente dalla impugnazione dei contratti di
lavoro somministrato a termine precedenti all’ultimo contratto stipulato,
affermando che l’impugnativa tempestiva dell’ultimo contratto non si estende a
ritroso a tutti i contratti precedenti;

secondo il ricorrente, la tesi propugnata dalla
Corte d’appello sulla base dell’interpretazione dell’art. 32 della I. n.183 del 2010,
sarebbe anticostituzionale per eccessiva compressione del diritto di difesa,
oltre che inconciliabile con la direttiva europea
2008/104/CE che impone agli Stati membri di garantire procedure
amministrative e giudiziarie finalizzate a salvaguardare i diritti dei
lavoratori tramite agenzia interinale, prevedendo sanzioni effettive,
dissuasive e proporzionate;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n.3 cod. proc. civ., deduce
“Violazione dell’art. 23 CCNL lavoratori somministrati 27.2.14, che
tuttora dispone che i contratti di lavoro intercorsi contengano l’indicazione
dei casi e le ragioni di carattere tecnico, produttivo e organizzativo o
sostitutivo che avrebbero determinato la costituzione del rapporto”;

la sentenza gravata avrebbe disconosciuto il ruolo
della contrattazione collettiva nel sistema di relazioni industriali là dove la
stessa aveva previsto che il contratto di lavoro in somministrazione dovesse
riportare l’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo in conformità con l’art. 20, co.4, del d.lgs. n.276 del
2003; la disposizione, in quanto migliorativa per i lavoratori
somministrati, avrebbe dovuto ritenersi vigente anche dopo l’introduzione del d.l. n.34 del 2014, il quale, ha abolito
l’obbligo della causale nei contratti di somministrazione a termine;

col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n.3 cod. proc. civ., si duole
della “Violazione dell’art. 42.1 del CCNL lavoratori somministrati 20.5.08
e dell’art. 47.1 del CCNL lavoratori somministrati 27.2.14 in relazione agli artt. 22.2 D.Igs 276/03, 1344 c.c. e 5.5 della Direttiva
2008/104/CE sul lavoro tramite agenzia interinale”; il motivo censura
la sentenza della Corte territoriale nella parte in cui ha statuito, in
violazione dell’art. 42 del CCNL di settore, che il periodo di assegnazione
iniziale possa essere prorogato più di sei volte nell’arco di trentasei mesi e
che, di fatto la società, stipulando senza soluzione di continuità più
contratti di somministrazione per la stessa attività, avrebbe superato il
numero massimo di proroghe imposte dalla disposizione contrattuale sopra
richiamata;

il primo motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis n.1 cod. proc. civ.;

il provvedimento impugnato ha deciso la questione
prospettata dal ricorrente in modo conforme alla giurisprudenza di questa
Corte, la quale ha avuto modo di affermare che “In tema di successione di
contratti di lavoro a termine in somministrazione, l’impugnazione stragiudiziale
dell’ultimo contratto della serie non si estende ai contratti precedenti,
neppure ove tra un contratto e l’altro sia decorso un termine inferiore a
quello di sessanta giorni utile per l’impugnativa, poiché l’inesistenza di un
unico continuativo rapporto di lavoro – il quale potrà determinarsi solo
“ex post”, a seguito dell’eventuale accertamento della illegittimità
del termine apposto – comporta la necessaria conseguenza che a ciascuno dei
predetti contratti si applichino le regole inerenti la loro impugnabilità”
(così Cass. n. 30134 del 2018);

l’esame del primo motivo non offre elementi per
mutare l’orientamento richiamato;

il secondo motivo è infondato;

la tesi di parte ricorrente non è in grado di
contrastare il ragionamento della Corte d’appello che si presenta esente da
vizi logico argomentativi, proponendo una lettura dei rapporti tra fonte legale
e contrattuale che trova conferma sia nei fondamenti teorici della materia
giuslavoristica sia nell’assestamento della normativa in tema di rapporti di lavoro
somministrati successiva al regime applicabile ratione temporis al caso in
esame, che ha ribadito la regola della acausalità del ricorso alla
somministrazione a termine;

lo “…spostamento dell’angolo visuale dal
piano del rapporto tra fonti normative, ove lo ha collocato l’appellante, a
quello dell’interpretazione contrattuale del CCNL…”  (p. 11 sent.) si rivela essere una scelta
quanto mai appropriata ai fini della soluzione della controversia, ed idonea ad
escludere qualsivoglia dubbio sulla ricorrenza di una volontà da parte della
Corte territoriale di tendere a ridimensionare il ruolo del contratto
collettivo nell’odierno sistema di relazioni industriali (p. 8 ric.);

stante la natura di fonte privatistica del contratto
collettivo di diritto comune, la Corte territoriale ha rilevato che il CCNL del
2008, nella parte in cui prevedeva l’obbligo della causale giustificativa, si
era limitato a richiamare la norma di legge all’epoca vigente, ossia l’art. 20, co.4 del d.lgs. n. 2003,
ma non conteneva (rectius: non avrebbe potuto contenere) una deroga “in
melius”a una norma futura il (d.l. n.34 del 2012) il cui contenuto
risultava ancora sconosciuto ai suoi stessi sottoscrittori; da ciò la Corte
territoriale fa conseguire la statuizione per la quale al mutare della
disciplina legale in tema di obbligo della causale giustificativa nella
somministrazione, la disposizione del CCNL del 2008 per i lavoratori
somministrati, deve considerarsi venuta meno dopo l’abrogazione della norma a
cui le parti collettive avevano inteso adeguarsi;

in base ad una corretta interpretazione del rapporto
tra fonti di diritto pubblico e di diritto privato la Corte territoriale ha
fatto prevalere la disposizione contenuta nella fonte eteronoma sulla diversa
volontà delle parti collettive espressa anteriormente alla modifica
legislativa;

il terzo motivo è inammissibile;

il ricorrente denuncia il superamento del limite
numerico delle sei proroghe nei trentasei mesi consentito per ciascun contratto
di somministrazione dall’art. 42 del CCNL del settore, così come la circostanza
che i due contratti controversi si fossero succeduti senza sostanziale
soluzione di continuità, essendo trascorso, tra l’ultima delle proroghe del
primo dei due contratti e il secondo contratto un intervallo di appena un
giorno;

la decisione gravata ha affrontato funditus
l’argomento dell’asserita violazione del regime delle proroghe da parte della
Società, statuendo che non risultavano essere state accordate più di sei
proroghe per ciascuno dei due contratti di somministrazione impugnati;

la conclusione fa corretta applicazione del
principio di diritto affermato da questa Corte, che ha ritenuto che a norma
delle disposizioni contrattuali è irrilevante l’intercorrere di un intervallo
fra un contratto di somministrazione e l’altro, e che la violazione della
clausola collettiva potrebbe eventualmente configurarsi soltanto nell’ipotesi
in cui il superamento del limite numerico di proroghe ammesse sia attribuibile
ad una condotta fraudolenta del datore di lavoro” la quale, attraverso la
stipulazione di un contratto di somministrazione successivo, senza soluzione di
continuità, abbia eluso il divieto di superare le sei proroghe previste (cfr. Cass. n. 29629 del 2018);

detta evenienza è stata negata dalla Corte
territoriale, la quale a seguito dell’accertamento di merito, ritenendo
legittimamente apposto il termine ai contratti di somministrazione sottoposti
al suo giudizio, ha escluso l’esistenza di un unico continuativo rapporto di
lavoro svoltosi in violazione del limite numerico di proroghe previsto
dall’autonomia collettiva (cfr. ancora Cass. n.30134 del 2018);

in definitiva, il ricorso va rigettato; le spese del
presente giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

considerato l’esito del giudizio, sussistono i
presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per il ricorso, a norma del comma 1-bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002,
ove dovuto.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
rimborso in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità,
che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 3000 per compensi professionali,
oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di
legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma
1-bis dello stesso art. 13, ove
dovuto.

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