Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 dicembre 2019, n. 34738

Trasferimento ad altra sede del lavoratore, Assenza
ingiustificata prolungata, Contestazione dell’addebito, Licenziamento
disciplinare

 

Rilevato che

 

– con sentenza in data 12 febbraio 2018, la Corte
d’Appello di Palermo, in riforma della sentenza resa dal Tribunale di Marsala
ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro intercorso fra M.D.P. e la L.
S.p.A. condannando quest’ultima a corrispondere alla lavoratrice una indennità
a titolo di risarcimento del danno subito commisurata a diciotto mensilità
della retribuzione globale di fatto compensando per un terzo le spese di lite;

– in particolare, il giudice di secondo grado,
condividendo la tesi di primo grado secondo cui non si verteva nell’ambito di
licenziamenti collettivi, bensì di un trasferimento ad altra sede cui era
seguito il licenziamento per assenza ingiustificata, ha ritenuto legittima la
collocazione della lavoratrice presso altra sede e la rilevanza disciplinare
della condotta della lavoratrice che omise di prendere servizio presso la nuova
sede senza giustificare tale assenza non consentita in assenza di idoneo avallo
in sede giudiziaria ed ha concluso così, in riforma del giudizio di primo
grado, ritenendo la sussistenza di una giusta causa di licenziamento;

– all’accoglimento del motivo di reclamo incidentale
in ordine alla riqualificazione del recesso la Corte ha fatto seguire, altresì,
la riforma della sentenza in ordine alla statuizione che aveva riconosciuto
l’indennità di mancato preavviso alla lavoratrice;

– al contempo, la Corte ha ritenuto fondato il
motivo di impugnazione con cui la reclamante aveva reiterato quanto affermato
in primo grado, ritenendo ingiustificato il lasso di tempo intercorso fra i
fatti e la contestazione dell’addebito disciplinare che la società aveva
giustificato sulla scorta della complessità della propria struttura
organizzativa, alla luce delle giurisprudenza di legittimità in tema di
immediatezza della contestazione ed ha così concluso per l’applicazione del
quinto comma dell’art. 18 come modificato dalla
legge n. 92/2012, dovendo escludersi l’insussistenza del fatto che implica
la tutela reale piena di cui al quarto comma;

– avverso tale pronunzia propone ricorso la L.
S.p.A., affidandolo a cinque motivi;

– resiste, con controricorso, M.D.P.;

– la D.I. S.p.A., già L. S.p.A., incorporante L.G.B.
S.p.A. ha presentato memoria ex art. 378
cod.proc.civ.

 

Considerato che

 

– con il primo motivo di ricorso si deduce l’omesso
esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione
tra le parti nella parte in cui il giudice di primo grado avrebbe omesso di
considerare che nel caso di specie l’inadempimento posto in essere dalla
lavoratrice era ancora in atto al momento dell’invio della contestazione
disciplinare integrando un’ipotesi di illecito disciplinare permanente,

– il motivo, prescindendo dalla promiscuità che lo
contraddistingue con il riferimento all’omesso esame di cui all’art. 360 co. 1 n. 5 ed alla violazione di legge di
cui al n. 3, non può trovare accoglimento;

– invero, in ordine alla omessa motivazione su un
fatto decisivo, consistente nell’esame delle risultanze istruttorie acquisite
nel giudizio di secondo grado, da cui emergerebbe l’esistenza di un’attività
costantemente sottoposta al controllo datoriale, si tratta, anche in tal caso,
di una valutazione di fatto totalmente sottratta al sindacato di legittimità, in
quanto in seguito alla riformulazione dell’art.
360, comma 1, n. 5 del cod. proc. civ., disposto dall’art. 54 col, lett. b), del DL 22
giugno 2012 n. 83, convertito con modificazioni nella legge 7 agosto 2012 n. 134 che ha limitato la
impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di
motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per
il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, con la
conseguenza che, al di fuori dell’indicata omissione, il controllo del vizio di
legittimità rimane circoscritto alla sola verifica della esistenza del
requisito motivazionale nel suo contenuto “minimo costituzionale”
richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost. ed
individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della
Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – in relazione alle note
ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del
provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente;

manifesta ed irriducibile contraddittorietà;
motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione
dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e che
determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto
requisito di validità ( fra le più recenti, Cass. n. 23940 del 2017);

– con riguardo alla dedotta violazione di legge, va
rilevato che, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, il vizio di
violazione di norme di diritto consiste nella deduzione di un’erronea
cognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie normativa
astratta e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della
stessa; viceversa l’allegazione di una errata ricostruzione della fattispecie
concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione
della norma ed inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui
censura è possibile , in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di
motivazione ;

– il discrimen tra l’una e l’altra ipotesi è segnato
dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla
contestata valutazione delle risultanze di causa (cfr. Cass n 7394 del 2010;
Cass. n. 14468 del 2015);

– il ricorrente, nella specie, deduce il vizio di
falsa applicazione per erronea interpretazione dell’art. 7 L. 300/1970 sotto il
profilo della qualificazione della mancanza posta in essere dalla lavoratrice
come illecito disciplinare permanente in ordine al lungo lasso di tempo
intercorso fra l’accadimento e la sua contestazione e / ritiene, quindi, che
debba essere censurata l’operazione di sussunzione effettuata;

– tuttavia, nel far ciò, parte ricorrente formula
censure alla ricostruzione dei fatti operata dalla Corte, che mirano ad una
rivalutazione dei fatti stessi diversa e non piuttosto ad una diversa
interpretazione della norma come vorrebbe allegare;

– con il secondo motivo di ricorso si deduce la
violazione degli artt. 111 Cost. e 132 n. 4 cod. proc. civ., con il terzo motivo, la
violazione dell’art. 225 CCNL
e degli artt. 1362 e segg. Cod. proc. civ. (ndr artt. 1362 e segg. cod.civ.), con il quarto motivo
ancora la violazione dell’art.
7 L. n. 300/70 e con il quinto motivo la violazione dell’art. 227 CCNL dipendenti aziende
del terziario, sempre in relazione alla ritenuta tardività della
contestazione;

– tutti e quattro i motivi, che vanno esaminati
congiuntamente per l’intima connessione, non possono essere accolti;

– la piana lettura della formulazione dei motivi
induce, infatti, ad affermare che sebbene parte ricorrente lamenti in ciascuno
di essi una violazione di legge, in realtà le argomentazioni da essa sostenute
si limitano a criticare sotto vari profili la valutazione compiuta dalla Corte
d’Appello, con doglianze intrise di circostanze fattuali mediante un pervasivo
rinvio ad attività asseritamente compiute nelle fasi precedenti ed attinenti ad
aspetti di mero fatto tentandosi di portare di nuovo all’attenzione del giudice
di legittimità una valutazione del tutto fattuale e, cioè, l’indagine
concernente il rilievo del lasso temporale trascorso fra la mancata
presentazione della lavoratrice nel nuovo posto di lavoro e l’intervenuta
contestazione dell’addebito, apprezzamento del tutto fattuale e, pertanto,
sottratto al sindacato di legittimità;

-deve quindi escludersi, ictu oculi, la deduzione di
una erronea sussunzione nelle disposizioni normative mentovate della
fattispecie considerata, apparendo, invece, chiarissima l’istanza volta ad
ottenere una inammissibile rivalutazione del merito della vicenda;

-alla luce delle suesposte argomentazioni, quindi,
il ricorso va respinto;

– le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate
come in dispositivo;

– sussistono i presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1 – bis dell’ articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 (ndr
comma 1 – bis dell’ articolo 13
comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002), se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Respinge il ricorso. Condanna la parte ricorrente
alla rifusione, in favore della parte controricorrente, delle spese di lite,
che liquida in complessivi euro 5000,00 per compensi e 200,00 per esborsi,
oltre spese generali al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art.
1 – bis dello stesso articolo 13 (ndr comma 1 – bis dello stesso articolo 13),
se dovuto.

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